Nella giornata della Terra di quest'anno così particolare (2020), nel
mezzo della pandemia da COVID 19, viene reso disponibile, attraverso la
piattaforma Youtube, Planet of the Humans (2019), documentario
scritto e diretto da Jeff Gibbs e co-prodotto da Michael Moore.
Un film prezioso, assolutamente da vedere, sicuramente scomodo. Anzi, per
molti aspetti, sembra proprio fare il verso ad un'altra pellicola, Una scomoda verità di Al Gore, che tanto clamore aveva
prodotto nel momento della sua uscita.
Il focus è comune, ma, in Planet of the Humans, Jeff Gibbs,
storico collaboratore di Micheal Moore (Fahrenheit 11/9, Bowling a Columbine) e attivista ecologista di lungo corso,
dimostra quella che è ormai una triste verità per molti,
ribaltando le posizioni del politico americano: "l'energia verde, l'energia
da fonti rinnovabili" non è certo "pulita", né sostenibile,
né rinnovabile; anzi, rappresenta un'ulteriore accelerazione ed
espansione della distruzione del nostro eco-sistema. Per farlo, il regista
parte dal suo personale percorso di presa di coscienza che lo ha condotto
dall'essere un fiducioso promotore delle "soluzioni" tecno-efficientiste ai
problemi ambientali al diventare, col passare degli anni, un preoccupato
oppositore dei giganti della green economy.
Se dovessimo trovare una ragione, tra le tante, per vedere Planet of the Humans la troveremmo, secondo chi scrive, nel fatto
che il film fa, una volta per tutte, chiarezza attorno alle pretese
"spaccature" all'interno del mondo ambientalista. E, in particolare, si
troverebbe risposta ai diversi "enigmi" che attanagliano la cosiddetta
galassia ambientalista: ad esempio lo scarsissimo appeal dei
"partiti verdi" in numerosi paesi d'Europa, Italia in testa, a fronte di
movimenti sociali partecipatissimi quali i Fridays For Future o il
movimento NO TAV in Italia; oppure la miriade di comitati nati per opporsi
a politiche, progetti e impianti legati alla cosiddetta green economy (mega-parchi fotovoltaici, grandi opere,
biocarburanti, biotecnologie, ecc.); o ancora, il continuo deterioramento
delle matrici ambientali e l'aumento delle emissioni climalteranti a
livello globale, nonostante gli enormi investimenti fatti (o semplicemente
promessi) sia a livello pubblico che privato per la "salvaguardia
dell'ambiente".
Infatti, il documentario, pur occupandosi soprattutto della realtà
statunitense, risulta utilissimo a comprendere come anche parte del mondo
ambientalista nostrano sia rimasta impantanata nella spasmodica ricerca di
scintillanti soluzioni tecnologiche ai problemi ambientali. Probabilmente
più affascinato dalle rassicuranti e semplicistiche soluzioni offerte,
a buon mercato, dalle retoriche legate alla green economy,
piuttosto che ad un'oggettiva valutazione dell'efficacia delle soluzioni
trovate. Perché è accaduto tutto ciò?
Sicuramente, tra le risposte, potremmo citare una "fisiologica"
rigidità umana a mutare i paradigmi dominanti, ad abbandonare il
comodo solco tracciato dalla fiducia indiscussa nello "sviluppo" umano.
Oppure scomodare un'altrettanta "naturale" propensione a credere a
narrazioni normalizzanti, rassicuranti a fronte della complessità
drammatica della questione ambientale. Facendo questo genere di
ragionamenti, rischieremmo però di risultare parzialissimi anche noi
nelle nostre riflessioni. Scavando più in profondità, come il
documentario fa, viene sicuramente più facile immaginare come
multinazionali e grandi investitori abbiano individuato nella green economy una ghiotta, quanto semplice, occasione per
espandere i propri mercati e, quindi, le proprie possibilità di
profitto. Con buona pace, ovviamente, di una presa in carico seria ed
efficace degli enormi problemi generati dal degrado ecologico del nostro
pianeta, del quale l'attuale pandemia non è che un sintomo piuttosto
evidente.
Arrivati a questo punto diventa abbastanza comprensibile capire come,
contro questo film, si sia scatenata una vera e propria "strategia del
tabacco", atta a screditare le tesi sostenute nel film, ben documentate
scientificamente e chiare nella loro esposizione. Una vera e propria
campagna diffamatoria con la quale si è cercato di insinuare nel
pubblico l'idea di un'opera controversa. Tutto ciò ha anche fornito
l'alibi per la rimozione, a più riprese, del film dalla stessa
piattaforma Youtube sulla quale è stato lanciato.
Per concludere questo breve commento, riteniamo, una volta di più, che
questo documentario dimostri come la crisi ecologica che stiamo
attraversando non sia affrontabile come un problema semplicemente tecnico o
tecnologico. Ma bensì, va affrontato come problema decisamente
politico, legato all'organizzazione, da un lato, del lavoro e
dell'economia, dall'altro legato alle asimmetrie di potere e gli squilibri
tra le varie aree geografiche del pianeta.