"La Gazzetta del Mezzogiorno", 21 aprile 2017.
È passato quasi mezzo secolo da quel 22 aprile del 1970 che era stato
dichiarato in tutto il mondo "Giornata della Terra" (Earth Day), la prima
delle tante "giornate" che sono poi seguite nel nome "dell'ambiente",
"dell'ecologia", della "biodiversità", eccetera. Quante speranze in
questi decenni.
La primavera del 1970 arrivava portata dal vento dei grandi movimenti di
contestazione contro le esplosioni atomiche nell'atmosfera, che stavano
avvelenando con atomi radioattivi le acque e il corpo di tutti i viventi,
umani compresi; contro i pesticidi clorurati persistenti, denunciati dal
libro di Rachel Carson Primavera silenziosa; contro il piombo
tetraetile, il "miracoloso" additivo per benzina che permetteva alle
automobili di correre rombando e che lasciava uscire dai tubi di
scappamento il velenoso piombo in forma volatile, respirato da tutti gli
abitanti delle città; contro il "miracoloso" catalizzatore mercurio
che le industrie chimiche scaricavano, velenoso, nell'aria e nelle acque;
contro il petrolio sversato dalle petroliere in tutti i mari e oceani.
Arrivava dopo la sequenza di frane della Calabria e dopo la grande
alluvione di Firenze, Venezia e Trento che aveva fatto vedere ancora una
volta la fragilità del territorio italino.
Il mondo intero scopriva, in quella lontana primavera, l'"ecologia", la
parola magica che prometteva, ricordando le ineludibili leggi della natura,
un mondo più pulito e meno violento, in cui le singole persone e
l'intera comunità mondiale, nei paesi capitalisti, in quelli comunisti
e in quelli del terzo mondo (come si chiamava allora) poteva sperare di
cancellare almeno alcuni degli errori delle scelte economiche del passato.
Naturalmente anche allora c'erano i volonterosi portavoce degli
inquinatori, grandi e piccoli, che negavano i pericoli ambientali; nello
stesso tempo la compagnia petrolifera di stato, l'ENI, aveva fatto fare uno
studio in cui dimostrava che la prevenzione dei guasti ambientali sarebbe
costata, anche solo in termini di soldi, meno di quanto il paese avrebbe
dovuto spendere se si fosse continuato con frane, alluvioni, inquinamenti,
congestione urbana.
In quel 1970 l'allora presidente del Senato Fanfani convocò una serie
di audizioni, durate tre mesi, di studiosi e senatori di tutti i gruppi,
sui "Problemi dell'ecologia"; nel 1971 fu approvata all'unanimità
(cosa anche allora non comune) una mozione che elencava le azioni che
sarebbe stato necessario intraprendere per avere un ambiente migliore. Nel
1973 il governo del tempo predispose e pubblicò la prima relazione
sullo stato dell'ambiente, meritevole di essere letta ancora oggi.
Si può ben dire che da quella lontana "Giornata della Terra" si sia
messa in moto, per alcuni anni, una politica di revisione delle leggi
esistenti, di nuove leggi in difesa delle acque, dell'aria, di modifica dei
cicli produttivi, di identificazione e eliminazione dalle merci di molte
sostanze dannose.
Nei decenni passati da allora sono nati e morti partiti verdi, associazioni
ambientaliste, sono stati scritti milioni di articoli e centinaia di libri,
si sono tenute diecine di conferenze "ecologiche", si sono moltiplicate le
cattedre universitarie di discipline "ecologiche" e "ambientali".
Ma, purtroppo, è diminuita l'indignazione per le violenze
all'ambiente; sono aumentate, a parole, le dichiarazioni di amore
ecologico, ma nello stesso tempo l'abusivismo e i condoni edilizi hanno
soffocato gli spazi urbani, la divinizzazione dell'automobile e dei consumi
ha convinto la maggior parte delle persone che il successo economico deve
mettere in secondo o terzo piano la difesa dell'aria e delle acque.
La privatizzazione delle coste e delle spiagge, dei terreni soggetti a usi
pubblici, una dissennata compiacenza verso il turismo di assalto, ha
portato all'erosione delle spiagge e alla distruzione di vaste estensioni
di boschi; l'abbandono dell'agricoltura delle zone collinari e montuose ha
reso più frequenti le frane e le alluvioni, i cui danni si stanno
facendo più gravi perché le presenze umane si sono insediate nei
fondovalle, lungo il corso o addirittura "dentro" il corso dei fiumi e dei
torrenti e delle lame, proprio nelle zone in cui ogni pioggia più
intensa spazza via strade e case e vite umane.
L'abbandono di molte attività industriali ha lasciato vasti terreni
contaminati con i rifiuti spesso nocivi che percolano nelle acque
sotterranee e aspettano da anni le promesse "bonifiche". Ben orchestrate
operazioni pubblicitarie negano le responsabilità umane per i guasti
ambientali e mascherano di "verde" e di "biologico" mode consumistiche, dai
deodoranti ai divani, dalla benzina alle auto. Molti decenni di "ecologia"
a parole non sono riusciti ad evitare che in molte zone d'Italia (per non
parlare dei problemi planetari) manchi l'acqua, che molte grandi città
del Nord abbiano un'aria così inquinata da costringere gli
amministratori a vietare la circolazione automobilistica, almeno per alcune
ore ogni settimana.
In molte abitazioni il tetto è stato coperto, grazie ad agevolazioni
fiscali, con pannelli fotovoltaici, ma molte fognature sversano ancora le
acque sporche nel terreno o nei fiumi o nel mare. Si susseguono affollate
tavole rotonde sulla migliore raccolta differenziata, ma ancora gran parte
dei rifiuti urbani, diventati nel frattempo circa 35 milioni di tonnellate
all'anno, finiscono nelle discariche o negli inceneritori inquinanti.
Alcune buone leggi, come quella sulla difesa del suolo, sono state
abrogate, altre sono state attenuate nei vincoli necessari. Molte delle
violenze ambientali che compromettono la salute e che comportano i
peggioramenti del clima potrebbero essere diminuite ed eliminate se
ritrovassimo, in Italia e nel mondo, la carica di speranza e di
volontà politica, la forza di indignazione, che attraversò il
paese nella lontana primavera dei primi anni settanta del Novecento. Ci
riusciremo?