"Rinascita", 26 giugno 1970
Come dieci anni fa la programmazione, oggi è di moda l'ecologia. Lo
studio del rapporto uomo-ambiente, gli inquinamenti, la protezione della natura cominciano a interessare gli scienziati e
l'uomo della strada, l'ENI e i ministri italiani, il MEC e Italia nostra. Come per la programmazione, c'è il rischio che
partendo sul piede sbagliato si perda il passo e si inciampi. Il prezzo, se
subentrassero lo scetticismo e la passività, sarebbe assai alto.
L'Italia è fra i paesi più vulnerabili, anzi fra i più
colpiti dalla devastazione idrogeologica, dall'inquinamento dell'aria,
dell'acqua, del suolo, dalla distruzione del paesaggio e dalla rovina del
patrimonio artistico. L'industria di rapina, l'edilizia speculativa, la
debolezza dei poteri pubblici sono più accentuate che altrove. Ogni
cittadino è colpito nella sua salute, nel suo senso estetico, nella
sua psicologia, nei suoi interessi: esiste un'immensa potenzialità di
ribellione e di protesta, che resta silente o che viene deviata.
Vorrei dire con franchezza che su questo terrno si sono mossi più
rapidamente gli inquinatori, per cercare coperture propagandistiche (l'ENI
che convoca un convegno sui costi della polluzione!), che non gli
inquinati, hanno agito con maggior respiro alcune forze borghesi che non il
movimento operaio. Possiamo dimenticare che mentre il MEC lanciava l' Anno della conservazione della natura, in Italia ci attardavamo in
marginali dibattiti sull'uccellagione? Eppure non mancano singole
iniziative, come quelle prese in Toscana sulla sistemazione idrogeologica,
come il convegno dell'Istituto di sanità sugli inquinamenti nel quale
scienziati, sindacalisti e "politici" hanno avuto un fecondo incontro.
Tuttavia, manca una pressione politico-culturale organica, complessiva, vi
è timidezza e incertezza nell'affrontare i nodi centrali
dell'argomento. Per quali motivi?
È risultata subito chiara, nell'impostazione data da Richard Nixon, la
manovra per "depoliticizzare" l'America, per incanalare le giovani
generazioni e le tensioni sociali su di un tema neutrale, per
creare una "frontiera ecologica" che sostituisse quella razziale e quella
indocinese nell'interesse dell'opinione pubblica. Risulta anche chiaro che
dietro ogni proposta di intervento tecnico contro l'inquinamento vi sono
affari di miliardi: a volte, le stesse industrie che contaminano l'ambiente
vendono apparecchi o sostanze purificatrici. Vi è infine il riemergere
di istituzioni screditate che cercano "scopi morali": dalla NATO che crea
il Comitato delle sfide della società moderna, alla monarchia
belga (madre dell'Union minière) che rilancia la protezione
della fauna.
Tuttavia, depurato di questi inquinamenti affaristico-ideologici, il tema
dell'ecologia assume crescente rilevanza. Quando Nixon si chiede:
"Nell'anno 1980 il presidente, stando in questo stesso luogo, si
volgerà a guardare indietro a un decennio in cui il 70% della nostra
popolazione avrà vissuto in aree metropolitane strozzate dal traffico,
soffocate dallo smog, avvelenate dall'acqua, assordate dal rumore
e terrorizzate dalla criminalità?", non cerca soltanto un diversivo,
ma riconosce una situazione realmente drammatica creata dal capitalismo
americano, che così come rapina le ricchezze degli altri paesi,
distrugge la natura e altera l'ambiente vitale nella metropoli.
Il fatto che questa situazione sia più grave proprio negli USA, che il dominio complessivo del rapporto uomo-natura sfugga proprio nel
paese che ha i mezzi tecnici (produttivi e scientifici) più
perfezionati per assicurarsi un dominio settoriale, mostra quanto
poco il tema sia "neutrale", quanto scarse siano le possibilità di
risolverlo senza incidere sul meccanismo stesso della produzione
capitalistica. Il calcolo della "depoliticizzazione", il volto umanitario
della campagna di Nixon (e del MEC, e dei ministri italiani) rischiano
però di essere dei boomerang, se le masse raccolgono il
significato esplosivo del rapporto uomo-natura come aspetto essenziale del
riconoscimento dei propri bisogni, e della lotta per modificare gli attuali
indirizzi. Lo studio complessivo delle risorse naturali, degli equilibri
ecologici, della geoigiene, del metabolismo dei prodotti industriali, dei
danni a distanza, e delle possibilità di un assoggettamento che non sia spoliazione, depredamento della natura
, è indispensabile. Ma all'analisi scientifica vanno associate la
consapevolezza sociale e la pratica politica, per svelare i falsi bisogni
(i consumi irragionevoli che consumano il nostro pianeta), e per imporre
quei bisogni che assicurino il costante ricambio organico dell'uomo con la
natura, che avviene attraverso il lavoro.
Ora, se i temi dell'ambiente interno della fabbrica sono emersi con forza
nell'autunno 1969, non è apparso chiaro invece quanto la fabbrica
capitalistica contagiasse della sua nocività l'ambiente circostante,
quanto la condizione operaia fosse cosa che riguarda settori larghissimi
della popolazione, quanto le singole riforme per cui si lottava (la salute,
la casa, i trasporti) avessero come substrato comune l'esigenza di
modificare il rapporto tra fabbrica e società, fra uomo e ambiente,
fra collettività e territorio. E come, perciò, le riforme chieste
dalle classi lavoratrici rispondessero all'interesse di tutti,
imponessero una programmazione complessiva dello sviluppo economico,
chiamassero forme nuove di democrazia e di controllo non solo a livello
aziendale, ma di Comune, di zona, di Regione.
I problemi dell'ambiente (la natura, mediata dalla produzione sociale) sono
apparsi scissi dalla politica. Nella nostra passività ecologica ha pesato, oltre all'infastidita reazione
alla propaganda di Nixon e di Alberto di Liegi, la credenza che "la lotta
politico-sociale richiede la partecipazione di di tutta la classe oppressa,
e ha quindi in sé una fortissima carica democratica ed egualitaria; la
lotta contro la natura, invece, in quanto si combatte essenzialmente con
mezzi scientifico-tecnici, dà un ruolo di protagonisti soltanto a
pochi competenti e lascia tutti gli altri in una posizione, se non di pura
attesa, almeno di ausilio subalterno", come ha scritto Sebastianao
Timpanaro.
Emerge, al contrario, proprio in questa fase, l'insufficienza di una lotta
contro la natura (o meglio: per umanizzare totalmente la natura) che sia
condotta soltanto con mezzi scientifico-tecnologici e "lasciata ai
competenti". Emerge l'esigenza di un rapporto nuovo fra le classi
lavoratrici e la conoscenza scientifica, fra le lotte che si conducono sul
terreno immediato (la nocività in fabbrica, lo smog, le acque
inquinate, il turismo in pericolo, Venezia che sprofonda e Pozzuoli che
sale, i gas delle auto, il verde urbano, ecc.) e la consapevolrezza storica
che si sta combattendo, in questa generazione, una guerra che non ha
precedenti, che ha per teatro l'intero pianeta, e che ha per posta
l'alternativa fra il dissennato depauperamento e il vantaggioso dominio
della natura.
E' questa "un'altra cosa" rispetto all'azione politica? Oppure, l'azione
politica (e l'iniziativa culturale, e il dibattito teorico) deve essere
oggi nutrita anche di questi contenuti? Possiamo considerare la
natura - come hanno fatto le correnti principali del marxismo in Italia -
solo come un antefatto, uno spazio morto dal quale, una volta
emerso l'uomo, ci si deve allontanare perché "indegno di
considerazione analitica in quanto spazio dei non-valori, o solo degno di
considerazione trascendente per coloro che ne abbisognano" (Aloisi)? Oppure
il recupero della storia naturale nella storia umana può dare maggiore
concretezza all'analisi marxista, può svelare meglio quanto
l'imperialismo sia oggi (alla lettera) nemico del genere umano e
quanto il socialismo sia, pur nelle sue contraddizioni, la sola speranza di
salvezza e di progresso?
Nella politica ecologica si intrecciano esigenze immediate,
implicazioni economiche, soluzioni di prospettiva. Alle prime ha fatto
cenno, per esempio, il ministro Mariotti quando ha rivelato, al convegno
dell'ENI, che il regolamento sugli scarichi industriali "è fermo da
tre anni al ministero dell'Industria, mentre la responsabilità di
questo ritardo pesa e in modo insostenibile". Delle implicazioni economiche
ha parlato chiaramente la Fiat ("i costi sarebbero troppo alti"); ma
più spesso, il rapportro fra costi sociali e profitti privati viene
sottaciuto, e i profitti fanno il loro corso devastatore. Delle prospettive
si parla nell'elaborazione del piano quinquennale 1971-75, senza che si
approntino gli strumenti di intervento (e di ricerca) idonei a far
prevalere l'interesse pubblico.
La soluzione globale è quella indicata da Engels: un processo di
trasformazione durante il quale "tutto l'ambito delle condizioni di vita,
che fino a ora ha dominato gli uomini, passerà sotto il comando e la
revisione degli uomini stessi: che diverranno, così, per la prima
volta effettivi signori della natura, perché saranno signori della
propria consociazione".