Nel mese di agosto 2005, in Florida,
negli Stati Uniti, in occasione del periodico congresso mondiale
sull’energia solare dell’International Solar Energy Society
(ISES), venne celebrato il cinquantesimo anniversario della prima
grande assise internazionale del settore, tenuta in Arizona nel 1955.
In quell’anno l’Association for
Applied Solar Energy (AFASE), dalla quale avranno origine nel 1964 la
Solar Energy Society (SES) e quindi nel 1970 l’attuale ISES,
organizzò in Arizona due importanti incontri. Il primo fu la
conferenza sulle “Scientific Basis of Solar Energy”, tenuta a
Tucson alla fine di ottobre, il secondo fu il “World Symposium on
Applied Solar Energy and a Solar Engineering Exhibit” tenuto a
Phoenix pochi giorni dopo. Entrambi gli eventi furono realizzati con
il sostegno di importanti agenzie nazionali e fondazioni private: la
National Academy of Sciences, la National Science Foundation, la
Rockefeller Foundation, la Ford Foundation, l’Office of Naval
Research, la United States Air Force, l’UNESCO e un certo numero di
società private attive nell’area delle due città. A questi eventi
parteciparono oltre mille persone tra scienziati, ingegneri,
imprenditori, nonché funzionari di varie istituzioni internazionali
e nazionali.
I delegati stranieri furono 130
provenienti da 31 paesi, compresa l’Italia con sei delegati. Per la
prima volta, coloro che si interessavano dello sfruttamento moderno
dell’energia solare, pochi e isolati nei vari paesi del mondo,
ebbero la possibilità di incontrarsi, confrontarsi e documentarsi
sui tentativi, i progetti, le ricerche, le realizzazioni industriali
in corso o del passato. Lo Stanford Research Institute fotografò nel
Directory of World Activities and Bibliography of Significant
Literature on Applied Solar Energy Research le attività svolte tra
il 1850 e il 1955 in 27 paesi, passando in rassegna oltre 4.000
riferimenti bibliografici. Vennero così a crearsi in Arizona le
condizioni per lo sviluppo di un’importante rete mondiale di
contatti e relazioni tra scienziati e studiosi, tra centri di ricerca
e imprese, che avrebbe avuto un impatto determinante nello sviluppo e
nella diffusione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche
sull’energia solare negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento e
nel porre le basi degli sviluppi successivi.
Credo non sia esagerato considerare
questi eventi del 1955 uno spartiacque tra l’uso dell’energia
solare nel passato e l’uso che, grazie alle grandi scoperte
scientifiche e agli straordinari sviluppi tecnologici degli ultimi
secoli, potremmo farne nel futuro. Un futuro che tuttavia stenta a
decollare. Proprio pensando al futuro, nell’ambito dell’ISES è
maturata l’idea di guardare al passato, cogliendo l’importante
occasione offerta dagli eventi sopra ricordati, per ricostruire la
storia di quanto accaduto negli ultimi cinquant’anni e, più in
generale, nelle epoche precedenti nello sviluppo dell’uso
dell’energia solare, nella convinzione che da essa sia possibile
trarne degli utili insegnamenti. Abbiamo cominciato con lo scrivere
innanzitutto la storia della nostra organizzazione: The Fifty-Year
History of the International Solar Energy Society racconta i
principali sviluppi nel campo dell’energia solare a livello
mondiale, documentando con fotografie, molte delle quali inedite, per
un totale di oltre mille pagine, in due volumi (1954/1980 e
1980/2004) che furono presentati al Congresso del 2005 in Florida.
Con la rivoluzione industriale e
l’introduzione dei combustibili fossili, appena 200 anni fa, l’uso
millenario dell’energia solare rinnovabile, fino a quel momento
praticamente esclusivo, cominciò a ridursi progressivamente. Secondo
l’International Energy Agency (IEA) nel 2000, su un totale di 9.958
Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di offerta di
fonti primarie di energia a livello mondiale, le energie rinnovabili
(includendo anche la geotermica) hanno contribuito per il 13,8 per
cento del totale dell’offerta. Tale percentuale è destinata a
diminuire ancora se non ci sarà un cambiamento sostanziale nel modo
di produrre e consumare l’energia. Tuttavia, proprio in Arizona nel
‘55, a mio avviso, nacquero i presupposti per un concreto utilizzo
dell’energia solare nello sviluppo delle future civiltà. Non si
tratterebbe di tornare indietro. Bensì di costruire, tenendo conto
di principi anche molto antichi, quali l’architettura passiva e
solare degli edifici, un mondo alimentato prevalentemente con
l’energia solare. Una grande risorsa messa a disposizione dalla
natura della quale abbiamo compreso meglio le potenzialità solo
nell’ultimo secolo e che le più avanzate conoscenze scientifiche e
tecnologiche ci promettono di poter utilizzare su larga scala, sempre
con la consapevolezza di dover rispettare i delicati meccanismi di
funzionamento della biosfera e gli equilibri termo fisici naturali
della Terra. C’è un’infinità di storie da raccontare di
pionieri dell’energia solare del Novecento. Storie di scienziati,
ingegneri, ricercatori, inventori, che, con le loro intuizioni e
scoperte e con la loro determinazione, hanno posto quei semi che
spetta ora a noi alimentare.
Questo articolo costituisce un tassello
di un mosaico storico che per sua natura è molto ampio, sia per
estensione temporale sia per i temi trattati, e alla cui
ricostruzione nell’ambito dell’ISES e, a livello italiano, del
GSES,
stanno contribuendo studiosi e ricercatori di varia estrazione
disciplinare, fisici, chimici, ingegneri, architetti, storici,
archivisti, geografi, antropologi, sociologi, scienziati della
politica. Il mio contributo in questa occasione è mirato a
richiamare l’attenzione, da qui in poi, su alcuni eventi
immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale e precedenti
la creazione dell’International Solar Energy Society nel 1954 e gli
incontri tenuti in Arizona nel 1955.
Dal progetto Manhattan al
sogno di Daniels
Nel 1947 le moderne tecnologie solari e
le applicazioni civili dell’energia nucleare erano poco diffuse.
L’uso militare dell’energia nucleare aveva svegliato, forse per
la prima volta, le coscienze di ricercatori e tecnologi sulle proprie
responsabilità sociali, politiche e morali nel condurre le loro
attività di ricerca. Lo scienziato che meglio di tutti sintetizza
questo nuovo stato d’animo e che allo stesso tempo ha coltivato un
alto livello di conoscenze sull’energia solare e sull’energia
nucleare è Farrington Daniels (1889-1972), l’ispiratore e il
fondatore dell’International Solar Energy Society.
Dal 1975 uno dei più prestigiosi
riconoscimenti nel campo dell’energia solare porta proprio il suo
nome, il “Farrington Daniels Award”. Tuttavia, nonostante
l’esistenza di una biografia di oltre 500 pagine,
che racconta la sua prestigiosa e ricca carriera scientifica, sono
ancora in pochi a conoscere il ruolo chiave che Daniels ebbe durante
la Seconda Guerra Mondiale nello sviluppo dell’energia nucleare e
della bomba atomica e quindi degli effetti che tali eventi avrebbero
avuto sul resto della sua vita e sul suo impegno a favore
dell’energia solare. Una possibile spiegazione è che sulle
attività svolte da Daniels durante la guerra fu per un certo numero
di anni mantenuto il segreto, fino a quando le informazioni al
riguardo cominciarono a essere accessibili nell’ambito del Freedom
Information Act, la legge che negli Stati Uniti dispone il diritto di
accesso ai documenti ufficiali della pubblica amministrazione. I
primi lavori sulla fissione nucleare furono avviati negli Stati Uniti
presso la Columbia University da Enrico Fermi e colleghi (Eugene
Wigner, Leo Szilard, Herbert Anderson e altri) e per motivi di
sicurezza furono successivamente trasferiti a Chicago, dove il
progetto proseguì con il nome neutro di Manhattan Engineering
Project.
Nel 1942, il gruppo guidato da Enrico
Fermi, “Mr. Farmer” per motivi di segretezza, ottenne la prima
reazione nucleare controllata presso il Laboratorio di Metallurgia
del Progetto Manhattan. Subito dopo Farrington Daniels si unì al
gruppo. Dal 1944 al 1946 fu prima assistente al direttore e poi lui
stesso il direttore del Metallurgical Laboratory. Una fotografia
scattata nel 1947 lo ritrae accanto a Fermi e altri scienziati del
Progetto Manhattan durante una cerimonia di commemorazione della
prima reazione a catena controllata, avvenuta cinque anni prima a
Chicago.

Figura 1. Chicago, 2 dicembre 1947 - Farrington Daniels (secondo da
sinistra) accanto a Enrico Fermi (sulla destra) in occasione della
scoperta di una targa per il quinto anniversario dalla prima fissione
nucleare controllata.
Nel 1944 Daniels fu tra i primi
scienziati a proporre lo sviluppo dell’energia nucleare per la
produzione di energia elettrica, un’idea che circolava nel mondo
della ricerca sin dagli anni Trenta. Daniels propose di costruire un
piccolo reattore nucleare (5-50 MW) a letto fluido, di sfere di
uranio arricchito, moderato da ossido di berillio, raffreddato con
gas elio. La “Daniels pile” fu presa in seria considerazione. Nel
1945 la Monsanto fu incaricata di progettarne la versione operativa e
il Progetto Manhattan decise di destinare circa tre milioni di
dollari per la sua costruzione presso il Laboratorio di Oak Ridge.
Tuttavia, la Guerra Fredda stava per
cominciare e nel 1947, subito dopo che era stato deciso di procedere
alla costruzione del reattore, l’Atomic Energy Commission (AEC), di
recente istituzione, cancellò il progetto. Un brillante laureato
“Sailed with the Navy”, come Daniels riferì successivamente,
presentò l’idea competitiva di un reattore nucleare pressurizzato
ad acqua leggera, che consentì la costruzione del primo sommergibile
a propulsione nucleare. La decisione della AEC, secondo Daniels, pose
in effetti termine alla possibilità per gli Stati Uniti di costruire
il primo impianto nucleare di potenza per scopi pacifici già nel
1948 o, al più tardi, nel 1949, lasciando questo primato all’Unione
Sovietica, che realizzò il primo impianto nucleare per la produzione
di energia elettrica nel 1954. Con la direzione del Metallurgical
Laboratory di Chicago, il più affollato del Progetto Manhattan –
con circa 2000 persone – Daniels ebbe un ruolo chiave nella
realizzazione della bomba atomica e condivise con gli altri
scienziati il peso di ciò che andava accadendo e che sarebbe
accaduto. A tale proposito, sono interessanti i ricordi di John
Simpson, professore al Dipartimento di Fisica dell’Università di
Chicago e testimone del Progetto Manhattan.
In alcune note personali pubblicate nel
1981,
Simpson ricorda vari eventi che portarono nel 1944 alla nascita del
Movimento degli scienziati atomici di Chicago, del quale divenne
successivamente il primo presidente. Tra questi eventi, ci fu la
decisione di tenere una serie di seminari serali all’interno del
Metallurgical Laboratory per discutere le implicazioni di natura
sociale, politica e morale associate all’energia nucleare e alla
bomba, nel caso questa avesse funzionato. Le strettissime misure di
sicurezza, per cui i vari gruppi di scienziati operavano senza che
gli uni sapessero degli altri, facevano temere guai per tutti. I
comandi militari avevano impedito che gli scienziati si riunissero in
gruppi superiori alle 2 o 3 persone. Fu trovata quindi un’ingegnosa
soluzione per poter continuare i propri dibattiti, una soluzione che
fu, con complicità, ignorata da Farrington Daniels, diventato il
nuovo direttore del Metallurgical Laboratory nel 1945. Il 12 luglio
di quell’anno, quattro giorni prima del test della prima bomba
nucleare ad Alamogordo, nel New Mexico, Arthur Compton chiese a
Daniels, quale direttore del Laboratorio, di sentire l’opinione
degli scienziati che lì erano impegnati in merito al possibile uso
della bomba.
Questi furono intervistati uno per uno
e invitati a votare segretamente senza alcuna discussione. Le
interviste furono del tutto volontarie e informali e vi partecipò
circa il 50 per cento del personale. I risultati dell’inchiesta,
che indicavano cinque possibili usi alternativi della bomba e a
fianco di ciascuno il numero di voti assegnati dagli interpellati,
furono sintetizzati in un documento che fu inviato da Arthur Compton
al Segretario per la Guerra Henry Stimson con la firma di Farrington
Daniels quale direttore del Laboratorio.
Dopo le esplosioni delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki,
Daniels rivolse tutto il suo impegno a spiegare e indicare cosa fare
per affrontare gli immensi problemi sollevati dalla potenza
dell’energia nucleare. Una sua ampia riflessione al riguardo fu
pubblicata nel Congressional Record del 5 novembre 1945 con il titolo
“What We Do About the Atomic Bomb?”, anche se priva del suo nome
per i motivi di segretezza a quel tempo ancora esistenti. In quella
intervista, che affronta praticamente tutti i temi sollevati dalla
invenzione della bomba atomica, Daniels concludeva sulla necessità
di rimuovere le cause della guerra quali la pressione demografica,
l’idea di razze superiori, le limitazioni di tipo economico,
l’isolazionismo e i tentativi di vendere all’infinito senza mai
comprare. L’io intelligente e illuminato secondo Daniels poteva
fare molto, ma la sola reale soluzione stava nell’elevare gli
standard morali degli uomini e delle nazioni del mondo.
Finita la Guerra, cancellato il
programma di costruzione della sua pila nucleare, Daniels tornò nel
1947 all’Università del Winsconsin. Portava con sé l’esperienza
di aver contribuito alla nascita dell’era atomica e i timori delle
sue conseguenze. Pensava che l’energia solare avrebbe potuto
contribuire significativamente al benessere dell’umanità e che le
promesse dell’energia nucleare costituissero un’importante
sollecitazione a darsi da fare per accelerarne lo sviluppo. Il mondo,
infatti, aveva realizzato quanto fosse indispensabile la
disponibilità di energia per lo sviluppo economico e sociale. Era
quindi necessario trovare nuove fonti che, tuttavia, fossero prive
dei rischi associati all’energia nucleare. All’età di 58 anni,
lo scienziato che aveva ricoperto un ruolo chiave nel progetto
Manhattan, che aveva assistito nel deserto del New Mexico alla prima
esplosione nucleare, che era stato un pioniere dell’uso
dell’energia nucleare per scopi pacifici, diventò il massimo
esperto di energia solare in epoca moderna. Un impegno che durerà
venticinque anni, fino alla sua morte. Sebbene Daniels arrivasse al
settore del solare dalla ricerca in campo nucleare, si era nel
passato indirettamente occupato di energia solare nel corso dei suoi
studi sugli effetti delle radiazioni in biologia nel 1928 e delle sue
ricerche nel campo della fotosintesi nel 1938. Daniels, che aveva
nutrito un profondo interesse per l’energia solare già durante il
periodo della guerra,
fece la sua prima relazione su questo tema in occasione del simposio
sulle nuove fonti di energia tenutosi a Washington il 15 settembre
del 1948 durante le celebrazioni del centenario della American
Association for the Advancement of Science.
Si tratta di un documento che con
grande lucidità e competenza passa in rassegna tutte le potenzialità
di questa fonte e che incita la scienza ad andare avanti
indipendentemente dalle applicazioni pratiche dell’energia solare
al momento, anche con lo scopo di accumulare un bagaglio di
conoscenze che si sarebbero potute rivelare utili nei momenti di
emergenza dovuti a catastrofi quali guerre, sovrappopolazione,
esaurimento del petrolio e del carbone. Negli anni successivi, e fino
alla creazione dell’AFASE (Association for Applied Solar Energy)
nel 1954, Daniels partecipò e organizzò egli stesso vari incontri
sull’energia solare. Nel 1952 incontrò Henry Sargent, presidente
dell’Arizona Power Service Company, e gli parlò dell’esigenza di
creare un’organizzazione per promuovere lo sviluppo e le
applicazioni dell’energia solare, vale a dire l’industria del
solare. Due anni dopo, il 17 marzo 1954, Sargent, insieme a Walter
Bimson, presidente della Valley National Bank, e Frank Snell, un
avvocato di fama di Phoenix, fondò l’AFASE dalla quale ebbe
origine l’ISES. “L’idea di un’associazione”, ricordò
Sargent in occasione del World Symposium on Applied Solar Energy del
1955, “nacque da una conversazione tra Farrington Daniels e me di
due anni fa.
Sembrò auspicabile avere
un’associazione che fosse un canale di comunicazione, non solo per
incoraggiare ulteriori lavori scientifici e ingegneristici
sull’energia solare, ma anche che potesse servire quale strumento
per presentare all’industria e al mondo degli affari informazioni
accurate sullo stato dell’arte del settore. Anche con lo scopo di
attrarre il sostegno dei capitali privati nello sviluppo e nelle
applicazioni dell’utilizzo dell’energia solare che promettono di
essere economicamente fattibili. Daniels, dal suo primo discorso nel
1948 fino alla sua morte pubblicherà una cinquantina di relazioni e
terrà più di un centinaio di discorsi sull’energia solare. Il suo
libro The Direct Use of Sun’s Energy
pubblicato nel 1964, resta ancora oggi una pietra miliare della
storia dell’energia solare.
Le assise internazionali
sul nucleare e sul solare
La prima grande assise internazionale
sugli aspetti scientifici e le applicazioni tecniche dell’energia
solare a cui è dedicato questo articolo si svolse nello stesso anno,
il 1955, in cui ebbe luogo a Ginevra nel mese di agosto la grande
conferenza voluta dagli Stati Uniti per promuovere l’uso pacifico
dell’energia nucleare. Gli incontri sull’energia solare in
Arizona si tennero invece a cavallo dei mesi di ottobre e novembre.
Come si arrivò a questi due eventi?
Per capirlo è utile ricordare alcune iniziative prese dal presidente
Harry Truman successivamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Usciti vincitori, gli Stati Uniti avevano provato al mondo e a loro
stessi di essere capaci di sviluppare le tecnologie più avanzate e
desideravano mantenere una leadership mondiale. Fu su questa base
che, nel gennaio 1951, Truman affidò a William Paley l’incarico di
presiedere la President’s Materials Policy Commission con lo scopo
di studiare la disponibilità delle materie prime sul lungo periodo,
facendo una netta distinzione tra quelle necessarie per motivi
difensivi e quelle indispensabili allo sviluppo del paese. Secondo
Truman gli Stati Uniti non potevano consentire che una penuria di
materie prime mettesse a rischio la sicurezza del paese o costituisse
un collo di bottiglia per la sua espansione economica. La Commissione
avrebbe pertanto dovuto effettuare una ricognizione di tutti gli
aspetti principali legati al rifornimento delle materie prime sul
lungo periodo e indicare le politiche da perseguire a tal fine. Il 2
giugno 1952 Paley presentò a Truman i risultati del suo lavoro,
svolto con la consulenza di esperti del mondo dell’industria,
dell’accademia e delle istituzioni governative. In uno dei quattro
volumi nei quali furono raccolte le analisi e le conclusioni dello
studio,
un intero capitolo fu dedicato a “The Possibilities of Solar
Energy”.
In questo documento furono sintetizzati
i risultati di un più ampio studio, effettuato da Palmer Putnam nel
luglio del 1951 in qualità di consulente dell’Atomic Energy
Commission, sulle conoscenze del momento e sulle future frontiere
scientifiche e tecnologiche per lo sviluppo dell’energia solare.
Furono passati in rassegna tutti i metodi di raccolta e conversione
dell’energia solare nelle forme di energia comunemente utilizzate,
da quello naturale delle fotosintesi, alle pompe di calore, ai
collettori solari termici, al riscaldamento delle case costruite
appositamente per essere riscaldate con il Sole (prevedendo di
costruirne negli Stati Uniti 13 milioni entro il 1975), alla
produzione di acqua dolce, alla produzione di elettricità con
sistemi a concentrazione, allo sfruttamento dell’energia solare
attraverso i venti e i gradienti termici delle acque tropicali, alla
fotosintesi biologica controllata, alla fotosintesi non biologica, al
fotovoltaico.
A questo studio contribuì anche
Farrington Daniels. Il rapporto concludeva che fino a quel momento
erano stati fatti solo sforzi infinitesimali per promuovere l’energia
solare e sottolineava l’importanza di condurre una politica
aggressiva di sviluppo in tutto il settore dell’energia solare, un
settore nel quale, secondo il rapporto della commissione Paley, gli
Stati Uniti avrebbero potuto dare un contributo immenso per il
benessere del mondo libero. Questa prospettiva, sotto la presidenza
Truman, era inserita in un vasto ambito di considerazioni, tra cui
quella che lo sviluppo dell’energia nucleare per la produzione di
elettricità avrebbe contribuito significativamente ad accrescere i
rischi di proliferazione degli arsenali nucleari e i pericoli di
guerre atomiche, con la decisione quindi auspicata di mantenere il
segreto su tutte le informazioni sull’energia nucleare. Ma la
politica di Truman si rivelò presto fallimentare per la celerità
con la quale l’Unione Sovietica si stava dotando di armi nucleari.
L’impostazione di Truman finì, quindi, per essere capovolta con la
vittoria di Eisenhower alle elezioni per la Casa Bianca. L’8
dicembre 1953, Eisenhower, parlando alle Nazioni Unite, annunciò “la
determinazione dell’America a risolvere lo spaventoso dilemma
nucleare – dedicando completamente il cuore e la mente a trovare il
modo con il quale la miracolosa inventività dell’uomo non fosse
dedicata alla sua morte, ma fosse consacrata alla sua vita”.
Qualcuno chiamò questo programma di Eisenhower “Gli Atomi per la
Pace” e con questa frase fu propagandato l’atomo pacifico,
diventando, secondo John Perlin, storico dell’energia solare, la
carta in mano agli americani per vincere la Guerra Fredda.
Per Perlin la proposta di promuovere lo
sviluppo dell’energia nucleare per scopi pacifici fu infatti molto
efficace nel cambiare il ritratto fatto dai sovietici degli Stati
Uniti come paese guerrafondaio e nel contrastare i sentimenti dei
loro nemici. Gli Stati Uniti promettevano di dare ai paesi del mondo
i materiali nucleari per poter condurre le loro ricerche atomiche
pacifiche.
Rivelarono inoltre i programmi per una
conferenza internazionale nella quale i massimi scienziati mondiali
si sarebbero incontrati per discutere degli usi pacifici dell’energia
nucleare. Il piano ricevette l’approvazione delle Nazioni Unite e,
nell’agosto del 1955, dirigenti politici e scienziati di tutto il
mondo si incontrarono a Ginevra ottenendo l’attenzione delle prime
pagine dei giornali e degli altri media per vari giorni. Ben diverse
furono le condizioni nelle quali si svolse, alcuni mesi dopo, il
“World Symposium on Applied Solar Energy” in Arizona. L’AFASE e
lo Stanford Research Institute, che lo organizzarono, poterono
contare solo su alcune sponsorship di agenzie nazionali, di
fondazioni private e di imprenditori dell’Arizona. Le potenzialità
indicate nel rapporto della commissione Paley voluta da Truman, tra
cui quella di costruire 13 milioni di case riscaldate con l’energia
solare, furono presto dimenticate.
L’impegno riversato nei programmi
nucleari, non solo negli Stati Uniti, fece sì che quello di governi
e istituzioni allo sviluppo dell’energia solare divenne negli anni
successivi del tutto marginale. Questa situazione la si può
chiaramente cogliere nel racconto sui primi anni di vita dell’ISES
fatto da Jack Duffie, uno stretto collaboratore di Farrington Daniels
sin dagli inizi degli anni Cinquanta del Novecento. Testimone diretto
della nascita dell’AFASE, Duffie mostra come ambizioni e speranze
di un rapido sviluppo industriale dell’energia solare si fossero
presto stemperate e la stessa AFASE rischiò il fallimento a seguito
delle difficoltà di natura finanziaria e organizzativa che la
colpirono per mancanza di sostegno al settore. Tra i fatti ricordati
da Duffie, che contribuirono alla crisi dell’AFASE, va evidenziato
il forzato abbandono del progetto di una casa solare costruita
nell’area di Phoenix selezionato a seguito di un concorso
internazionale che aveva visto un’importante partecipazione di
architetti e ingegneri da tutto il mondo. Si trattò di un insuccesso
proprio nel settore nel quale la Paley Commission aveva previsto un
grande sviluppo.
L’energia solare in
Italia
La storia italiana è ricca di
invenzioni e applicazioni per l’uso dell’energia solare. Una
storia testimoniata da numerosi resti archeologici e trattati di
studiosi di tutte le epoche, da Vitruvio agli scienziati e agli
ingegneri del Rinascimento, che studiarono l’ottica e
sperimentarono concentratori e altre macchine solari. Poi,
l’introduzione nell’Ottocento dei combustibili fossili, di cui
l’Italia è povera, spinse a cercare di sfruttare le risorse
energetiche proprie per affrancarsi dalle importazioni estere.
Nel giugno del 1854, in un suo
intervento alla Camera Piemontese, Cavour affermava: “Poter
trasformare l’acqua che cade in forza portatile, farebbe per il
nostro paese quello che hanno fatto le macchine a vapore per
l’Inghilterra. Noi abbiamo in cadute d’acqua più forza motrice
che ne abbia l’Inghilterra con tutte le macchine a vapore in
attività”.
La prima fase dell’industrializzazione italiana fu possibile
proprio grazie al cosiddetto carbone bianco, vale a dire l’energia
solare idrica delle valli alpine. L’idea di utilizzare fonti
energetiche non di importazione si rafforzò durante il Fascismo con
le politiche autarchiche. Prima della Seconda Guerra Mondiale oltre
il 90 per cento dell’energia elettrica prodotta in Italia era di
origine solare idrica. Il successo nello sfruttamento di questa fonte
ispirò studiosi e ricercatori a guardare anche all’energia solare
diretta e diffusa.
Ricordo qui solo l’appello lanciato
da uno scienziato di grande fama, Orso Mario Corbino. In occasione
del XIX congresso della Società Italiana per il Progresso delle
Scienze (SIPS) tenutosi a Bolzano nel 1930, nella relazione “Energia
idraulica e termica”,
Corbino caldeggiò l’uso dell’energia solare che, analogamente
all’energia idrica, avrebbe potuto consentire nuovi traguardi nello
sviluppo del paese consentendo di utilizzare una fonte energetica
propria e abbondante, “su un cerchio del diametro di un chilometro
di raggio viene tanta energia da superare quella che si può produrre
con tutti gli impianti idroelettrici italiani messi insieme. Se anche
il rendimento della trasformazione fosse non molto elevato, si
riconosce subito quali grandi conseguenze economiche potrebbe avere
la risoluzione del problema di trasformare direttamente quella
energia in energia elettrica”.
Esisteva, dunque, un certo interesse
per l’energia solare al momento del congresso in Arizona del 1955,
tanto che per quei tempi vi fu una partecipazione italiana
significativa con Gino Bozza e Mario Dornig del Politecnico di
Milano, Luigi D’Amelio dell’Università di Napoli, Federico
Filippi del Centro Nazionale Agricolo di Torino, Fausto Lona
dell’Istituto di Botanica di Parma e Enrico Gasperini della Società
SOMOR (Società Motori Recuperi) di Ferruccio Grassi di Lecco. Le
positive notizie sugli sviluppi dell’energia solare provenienti
dall’Arizona, tra cui quelle sull’invenzione della cella
fotovoltaica al silicio, grazie anche ai resoconti di Dornig e altri,
si diffusero tuttavia in Italia allo stesso momento del crescente
interesse per le prospettive aperte dalle scoperte sull’energia
nucleare, alle quali l’Italia aveva significativamente contribuito
con Enrico Fermi.
Sull’onda del lancio degli “Atomi
per la Pace” l’Italia aveva avviato con il CNRN (Centro Nazionale
Ricerche Nucleari), fondato nel 1952, un vastissimo programma di
ricerca nucleare al quale aveva destinato consistenti finanziamenti
stimati a quell’epoca in 35 miliardi di lire tra il 1952 e il 1960.
Nel 1958 a Ginevra, l’Italia mostrò al mondo una serie di
importanti realizzazioni: tre centrali nucleari in costruzione, il
sincrotrone quasi ultimato, un reattore di ricerca pronto per entrare
in funzione a Ispra, l’avvio della costruzione vicino a Roma del
più grande centro di ricerca nucleare alla Casaccia.
Il settore dell’energia solare, nel generale entusiasmo per
l’energia nucleare, anche in Italia veniva quindi lasciato
indietro. Nel 1960 veniva approvata la legge che istituiva il CNEN
(Comitato Nazionale Energia Nucleare) con la missione di favorire lo
sviluppo delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare. Questa
organizzazione nasceva sotto i migliori auspici.
Gli organismi internazionali indicavano
proprio nell’Italia e nel Giappone, gli unici paesi
industrializzati senza risorse nazionali di combustibili fossili, i
due paesi che per primi avrebbero imboccato la strada di una
massiccia nuclearizzazione. Lo sviluppo dell’energia nucleare
veniva visto come lo strumento di rivincita di un paese senza fonti
fossili di energia nei confronti dei paesi ricchi di carbone e
petrolio. Fino a questo momento, come abbiamo visto, l’Italia
utilizzava soprattutto le proprie risorse idriche, con le quali nel
1955 produceva più dell’80 per cento del suo fabbisogno elettrico.
A questo si aggiunga che il piano Marshall a sostegno della
ricostruzione postbellica dell’Italia diede uno speciale impulso
all’installazione di nuovi impianti termoelettrici e, tra il 1956 e
il 1965, per la prima volta la potenza installata in impianti con
combustibili fossili cominciò a superare la potenza installata in
impianti idroelettrici. Nel paese dove l’energia nucleare aveva
mosso i primi fondamentali passi con Enrico Fermi e che aveva con
determinazione intrapreso la strada per l’utilizzo dell’energia
nucleare, il solare era praticamente ignorato come possibile
alternativa ai combustibili fossili. Cosa è cambiato dal 1955?
Oggi uno dei paesi leader al mondo
nello sviluppo e nell’applicazione dell’energia solare è la
Germania. Forse non a caso dal 1995 a Friburgo c’è la sede
centrale dell’ISES, ivi trasferita dalla Australia dove, a sua
volta, si era spostata dall’Arizona nel 1970. La Germania è anche
il paese che più di tutti sembra impegnato in una strategia di lungo
periodo nel promuovere l’energia solare.
Secondo il Consiglio Tedesco per il
Cambiamento Globale (WBGU), un organismo al lavoro dagli inizi degli
anni Novanta e composto dai massimi responsabili delle politiche
energetiche tedesche nel campo della ricerca scientifica e
tecnologica, dell’ambiente, dell’economia e delle relazioni
internazionali, uno scenario energetico mondiale esemplare e capace
di assicurare uno sviluppo duraturo dovrebbe ribaltare l’attuale
situazione e condurre a una nuova infrastruttura energetica, nella
quale le energie rinnovabili dovrebbero avere un ruolo centrale
mentre i combustibili fossili e l’energia nucleare ne avrebbero uno
marginale. Nella prospettiva del WBGU l’energia solare, nelle sue
forme dirette e indirette, potrebbe quindi tornare a essere la
principale fonte di energia per l’umanità, come lo è stata per
millenni, fino al momento dell’introduzione e l’uso su larga
scala dei combustibili fossili. La crescente disponibilità di nuove
e avanzate tecnologie per il risparmio energetico e solari, nate
dagli sviluppi tecnico scientifici del XIX e del XX secolo, ormai
decine e decine, consentirebbero sin da ora di bruciare meno
combustibili fossili e/o sostituirli con l’energia del Sole. Un
presupposto importante per poter assicurare uno sviluppo sostenibile
a livello mondiale con l’utilizzo dell’energia solare è,
tuttavia, quello di muoversi entro definiti “binari” ecologici e
socio economici, al fine di assicurare la salvaguardia dei sistemi
naturali e combattere la povertà. È questa una sfida di grande
portata culturale. In appena 200 anni l’uso dei combustibili
fossili ha cominciato a produrre effetti misurabili sul sistema
Terra, come quello dell’aumento della concentrazione dell’anidride
carbonica nell’atmosfera e il conseguente cambiamento climatico del
quale si occupa il Protocollo di Kyoto. Ma altre e forse anche più
importanti modifiche riguardano l’habitat umano e con esso il
rapporto che abbiamo con il territorio e le sue risorse, cambiato
strutturalmente proprio a seguito dell’uso dell’energia
concentrata dei combustibili fossili, che ha facilitato la crescita
delle dimensioni delle città.
Altro fenomeno parallelo è lo
spopolamento delle aree rurali. Si tratta di una tendenza comune a
tutto il mondo e che sembra destinata ad aumentare. Oggi le città
sono responsabili per circa il 75 per cento degli attuali consumi
globali di energia e nel loro ambito i sistemi più energivori e
diffusi, gli edifici, consumano circa 38 per cento dell’energia
prodotta. Nonostante questo dato la tendenza generale è di
continuare a progettarli e costruirli come se l’abbondanza
energetica dell’ultimo secolo fosse garantita per sempre. Nel mondo
si stima che vengano costruiti dagli 8 ai 10 milioni di nuovi edifici
all’anno. Questi, quindi, dovrebbero essere i primi sistemi
energetici sui quali puntare per l’uso moderno dell’energia
solare. Oggi, in un’abitazione media italiana, il 77 per cento
dell’energia consumata serve per il riscaldamento, il 17 per cento
per produrre acqua sanitaria, l’11 per cento per cucinare e il
resto riguarda l’illuminazione e gli elettrodomestici.
Questa ripartizione è naturalmente
diversa negli edifici commerciali, nei quali il maggior consumo
riguarda la climatizzazione e l’illuminazione. Questi consumi
potrebbero essere facilmente ridotti fino al 75 per cento e oltre
dotando gli edifici di un efficace isolamento termico, ottimizzandone
l’illuminazione naturale, raffrescandone gli ambienti in estate con
sistemi di ventilazione naturale, per esempio, ricorrendo ad
apparecchiature e macchine ad alta efficienza energetica e a basso
consumo.
La fattibilità tecnica ed economica di queste soluzioni è
dimostrata da migliaia di nuovi edifici residenziali e commerciali
costruiti, nella maggior parte dei casi, nell’Europa centrale e
settentrionale, prevedendo consumi compresi tra i 15 e i 30 kWh/(m2
anno), a fronte dei 270 kWh/(m2 anno) di quelli tradizionali. Il
ridotto fabbisogno energetico per calore ed elettricità di un
edificio rende concreta la possibilità che questo possa essere
soddisfatto con l’uso dell’energia solare raccolta con collettori
solari termici e moduli fotovoltaici e varie altre tecnologie
integrate nella stessa struttura edilizia. Esiste persino la
prospettiva che gli edifici, come dei grandi collettori solari,
possano produrre dal Sole non solo tutta l’energia necessaria al
loro funzionamento, ma anche quantità in esubero da esportare. In
sintesi, la progettazione, la costruzione e la gestione di edifici
energeticamente efficienti, a basso consumo energetico, è un valido
esempio di come poter cominciare ad affrontare le sfide sopra
richiamate. Un esempio, appunto, da estendere progressivamente a
tutto il tessuto urbano, sottolineando come la questione energetica
comporti un deciso approccio sistemico sul nostro ambiente costruito,
con implicazioni di vasta portata culturale. Vale la pena di essere
ottimisti.