I temi sociali, in genere, e quelli
economici, in particolare, sono al centro del pontificato di
Francesco. Si avverte nei suoi interventi la forza di un magistero
che non guarda malinconicamente ai problemi, ma stimola i credenti a
offrire un contributo determinante per risolverli. La sfida è
aperta, compresa quella di rifondare l’economia. Vediamo tre tappe
nella sua riflessione: a) quella programmatica in Evangelium gaudium
(EG); b) la scelta di accompagnare alcune prassi innovative; c) la
proposta coraggiosa di Laudato si’ (LS).
Prima tappa: “questa
economia uccide”
“Questa economia uccide” (EG 53):
l’affermazione ha fatto discutere e storcere il naso a diversi
economisti. L’analisi risale all’inizio del pontificato e va
interpretata correttamente. Infatti, non è in discussione l’economia
come tale, che è un’attività umana fondamentale, ma “questa
economia” che genera esclusione sociale. Gli “scarti” umani
riempiono le periferie, non abitano i luoghi decisionali e subiscono
la violenza del potere economico in mano a pochi privilegiati.
Siamo di fronte a una cultura che
anestetizza le coscienze, a tal punto che preoccupa il ribasso di
qualche punto della Borsa mondiale e non la morte per freddo di un
anziano costretto a vivere per strada. La cultura del benessere
addormenta la volontà di cambiare: annienta il desiderio di capire e
rimuovere le cause. La disuguaglianza chiude gli occhi, rattrappisce
il cuore e genera indifferenza. L’esclusione e l’ingiustizia sono
altresì cause di violenza. La preoccupazione di difendersi non può
far dimenticare che, senza uguaglianza di opportunità, si prepara il
terreno verso nuove forme di aggressione e guerra. Un sistema sociale
ed economico iniquo conduce all’uso della violenza dentro spirali
incontrollate.
Impoverimento, vite di scarto,
esclusioni sono l’esito drammatico di un modello di sviluppo
consumistico, dove a essere oggetto di consumo non sono solo le
risorse e le cose, ma le persone. L’esito ha un nome preciso:
“economia senza volto” (EG 55). A fondamento vi è una mancanza
grave di orientamento antropologico. L’uomo è considerato come
strumento e non nel suo pieno valore. È ridotto a bene di consumo,
secondo la spietata logica dell’usa e getta. A questo riguardo,
Francesco coglie l’occasione per un’esplicita contestazione della
teoria della “ricaduta favorevole”, secondo la quale nel libero
mercato la crescita offrirebbe da sé risposta alla disuguaglianza.
La ricchezza prodotta, infatti, scivolerebbe a cascata verso tutta la
società e migliorerebbe le condizioni di tutti. Si tratta, in
realtà, di un’opinione non confermata dai fatti e che “esprime
una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono
il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema
economico imperante” (EG 54). La conseguenza è che gli esclusi
rimangono al palo. E, soprattutto, si opera una “globalizzazione
dell’indifferenza”, che porta all’incapacità di piangere per
il dolore altrui e di provare compassione per il grido del povero.
È evidente: il problema sta nella
situazione per cui il denaro, invece di servire la vita umana, la
domina e governa a seconda dei propri interessi. Come non rendersi
conto di ciò che accade in campo lavorativo? Non si debellano la
disoccupazione giovanile crescente, il precariato nei contratti, le
forme di assistenzialismo di ritorno, il ricatto violento con
costrizione di restituire sottobanco una parte dello stipendio, la
corruzione, la delocalizzazione dell’impresa con dumping sociale.
È il segno evidente del divorzio tra
etica ed economia. Si sono separati in modo netto i due tempi: la
produzione della ricchezza e la sua distribuzione. La triste
conclusione è l’elogio della filantropia, con l’uscita di scena
della giustizia. Si osannano i grandi ricchi di turno, Warren Buffett
o Bill Gates, che danno vita a fondazioni filantropiche, mentre
sarebbe più opportuno favorire l’interdipendenza dei due momenti
fin dal primo istante. L’etica deve guidare anche il momento
produttivo, facendo tesoro del valore della persona come protagonista
sulla scena economica. Non può accontentarsi di scendere in campo
nel secondo tempo della partita, a distribuire una ricchezza già
prodotta, magari con metodi discutibili.
La risposta adeguata consiste in una
nuova mentalità, che parta da uno sguardo diverso sull’umanità e
si metta in ascolto degli ultimi. L’inclusione è possibile solo se
si comincia a parlare in termini di comunità, “di priorità della
vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di
alcuni” (EG 188). La solidarietà è l’atteggiamento etico in
grado di riscattare la nostra umanità, prima ancora di quella dei
poveri e degli impoveriti.
Seconda tappa: i poeti
sociali
Alla luce di queste convinzioni è nato
un progetto d’incontro con i movimenti popolari. Sono i poveri, gli
scartati, emarginati, che chiedono attenzione. La Chiesa di Francesco
ne ascolta le istanze e ne organizza la rinascita. Si tratta di un
mondo variegato che va dai contadini brasiliani Sem terra ai
Cartoneros argentini, dalle comunità di nativi asiatici ai
latinoamericani (es: i Lenca dell’Honduras) o africani (tra essi il
Mufis: Union for Informal Sector-Malawi), dai comitati di madri delle
mense popolari ai gruppi per il diritto all’acqua, da chi difende
l’ambiente a chi tutela il lavoro minorile, dai piccoli artigiani
ai venditori ambulanti, dagli operai di fabbriche occupate e imprese
recuperate ad alcuni centri sociali, dai contadini che incarnano
l’agricoltura familiare ai membri di cooperative, dagli abitanti
delle baraccopoli ai collaboratori domestici e badanti. Sono
movimenti che creano lavoro dove sembrano prevalere gli “scarti
dell’economia idolatrica”.
A Santa Cruz il papa li ha definiti
“poeti sociali: creatori di lavoro, costruttori di case, produttori
di generi alimentari, soprattutto per quanti sono scartati dal
mercato mondiale”. Questi movimenti escono da una condizione di
emarginazione sociale attraverso il protagonismo del lavoro.
Contestano una visione assistenziale della loro condizione e assumono
fino in fondo il principio ecclesiale della destinazione universale
dei beni. Alle risposte transitorie e occasionali oppongono un lavoro
dignitoso, l’impegno costruttivo, la creatività e solidarietà
partecipativa. Di fronte alla tentazione di imporre modelli di
consumo uniformi, figli della cultura del pensiero unico dell’usa e
getta, i poveri sanno organizzarsi. Si pensano non come parte di un
ingranaggio, ma come persone libere.
Terza tappa: l’ecologia
integrale
C’è un passaggio di Evangelii
gaudium che vale la pena meditare: “In questo sistema, che tende a
fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che
sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli
interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta”
(EG 56). È la terza tappa dell’economia di Francesco: dar voce
alla creazione, dono di Dio che rischia di finire calpestato in nome
di un materialismo idolatra del denaro, disposto a mercificare ogni
cosa. Diventa fondamentale, per una rinnovata economia, l’enciclica
Laudato si’, che si colloca nel solco della dottrina sociale della
Chiesa, riprendendo il tema della destinazione universale dei beni
(cfr. LS 93-95): “Credenti e non credenti sono d’accordo sul
fatto che la terra è essenzialmente un’eredità comune, i cui
frutti devono andare a beneficio di tutti. Per i credenti questo
diventa una questione di fedeltà al Creatore, perché Dio ha creato
il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni approccio ecologico deve
integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti
fondamentali dei più svantaggiati” (LS 93).
Ciò comporta che i beni della terra
non possono essere a vantaggio solo di alcuni e contesta le forme di
ingiustizia che mantengono strutture di peccato, che calpestano la
dignità delle persone. La fame nel mondo è una di queste. Anche lo
spreco rappresenta una contraddizione plateale: c’è cibo
sufficiente per tutti eppure non vi è un’oculata distribuzione che
consenta ad ogni persona di sedersi alla mensa dell’umanità. Lo
spreco grida doppiamente vendetta agli occhi dei poveri: li esclude
da ciò che appartiene loro e consuma molteplici risorse (es. acqua,
energia ecc.) per produrre ciò che viene buttato in pattumiera, a
danno di tutti.
In questa prospettiva, la visione
evangelica e cristiana non può che abbracciare la liberazione
dall’ideologia del privato o dell’assoluta libertà individuale
che ha dominato nel recente passato. Oggi raccogliamo i cocci di
ideologie materialiste, che hanno offerto una visione riduttiva del
rapporto dell’uomo con i beni. Invocare una giusta collocazione del
principio della partecipazione di tutti ai beni della terra è opera
di giustizia del nostro tempo. Si tratta di condividere
l’affermazione: “La peggior discriminazione di cui soffrono i
poveri è la mancanza di attenzione spirituale” (EG 200). È in
gioco la dignità dei credenti, chiamati a rendere credibile il loro
passaggio sulla terra.
LS non teme di considerare il primato
della politica sull’economia. Non in nome di una netta separazione,
ma di un comune servizio alla vita. Riprendendo un’affermazione del
Compendio della dottrina sociale della Chiesa (Cdsc), Francesco
ricorda che “l’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del
mercato non sono in grado difendere o di promuovere adeguatamente”
(n. 470). Politica ed economia devono viaggiare a braccetto. LS 194
invoca il coraggio di cambiare modello di sviluppo globale: ciò
esige di pensare al senso dell’economia e alla sua finalità.
Osserva Francesco che “non basta conciliare, in una via di mezzo,
la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione
dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono
solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di
ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che
non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente
superiore, non può considerarsi progresso” (LS 194).
La ricerca della qualità di vita
superiore non corrisponde necessariamente alla crescita dell’economia
misurabile in termini di Pil: i segnali di un pessimo sviluppo sono
visibili nel deteriorarsi dell’ambiente, nella fragile
relazionalità tra le persone, nell’esaurimento delle risorse,
nella scarsa qualità del cibo. Per questo, LS mette in guardia dal
fare della sostenibilità un diversivo e un mezzo per portare il
discorso ecologico all’interno della finanza e della tecnocrazia.
In tal modo, la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si
riduce a spot pubblicitario o a operazione di facciata pur di
continuare a fare soldi. In realtà, la conversione ecologica lavora
per un’economia che non schiaccia la persona, ma la valorizza per
ciò che può offrire al bene comune.
Uno sguardo sintetico
Le tre tappe mostrano un percorso ben definito: l’analisi della
realtà con le sue contraddizioni; lo sguardo verso buone pratiche; e
la proposta di un’economia in stretta connessione con l’ecologia.
I rilievi che il magistero di Francesco fa al modello economico non
sono secondari. A questo itinerario possiamo aggiungere una notazione
di metodo che viene dall’idea di convocare ad Assisi un’iniziativa
come Economy of Francesco (marzo 2020). C’è la volontà di
guardare oltre modelli di sviluppo incapaci di giustizia. Per farlo è
necessario investire sui giovani, ossia su chi potrebbe essere meno
condizionato dai paraocchi ideologici del passato. Talvolta si ha
l’impressione che le ideologie del Novecento abbiano conquistato le
menti a tal punto da non riuscire a liberare le energie migliori del
nuovo secolo. Non è facile, ma la Chiesa di Francesco ha avviato un
processo inarrestabile. Un’economia alternativa a quella
materialistica e consumistica va ridisegnata con coraggio. Occorrono
innovatori sociali, creativi capaci di sognare non solo valori
diversi a quelli utilitaristici, ma persino una società dove le
relazioni umane trovano spazi adeguati. Solo lo sguardo della
giustizia fa vedere in modo nuovo la realtà. Comunque sia, è più
facile capirlo che viverlo. Per attuarlo, bisogna incrociare la
bellezza della condivisione. La “perfetta letizia” del Terzo
Millennio.