Pochi
conoscevano le reali condizioni di salute di Giorgio, ma erano in tanti a
pensare che il suo primo, lungo silenzio iniziato a metà dicembre 2018
costituisse un pessimo segnale premonitore. Ciononostante, quando il 4 luglio
2019 è iniziata a circolare la notizia della sua scomparsa la sorpresa e la
commozione si sono diffuse rapidamente. Lo testimonia il gran numero di
necrologi, dei quali pubblichiamo di seguito una parte, in cui l'informazione
biografica su Giorgio si intreccia costantemente a bilanci encomiastici del suo
operato e ad aperte dichiarazioni di affetto. Giorgio, lo abbiamo scritto e
continueremo a sottolinearlo, non è stato solo un formidabile divulgatore e
animatore culturale e un militante di grande generosità e capacità ma anche una
persona amabile, gentilmente ironica e incredibilmente disponibile, fino alla
fine. Un maestro accogliente, attento e maieutico come se ne possono incontrare
pochi. Questa è stata la cifra essenziale dei suoi rapporti con le tante le
persone che lo hanno incontrato nel corso dei decenni e soprattutto che hanno
lavorato con lui. Questa sezione di "Altronovecento" lo testimonia
ampiamente.
Luigi
Piccioni
***
In
morte di Giorgio Nebbia
Mario Agostinelli
Per tributare un
riconoscimento che non potrebbe certo ripagare il debito incommensurabile che
la mia generazione ha nei confronti di Giorgio Nebbia, forse con Laura Conti il
più straordinario innovatore tra quanti hanno colto nella capacità
trasformativa del lavoro assoggettato al capitale il pericolo più grave di
minare irreversibilmente la natura, la sua integrità, la sua indiscutibile
attitudine di alimentare una vita buona sulla Terra, rubo le parole ad una nota
con cui un amico mio e di Giorgio – Pier Paolo Poggio – ha annunciato una
scomparsa purtroppo da tempo messa in un conto doloroso.
«Sapevo – scrive
Pier Paolo - di Giorgio Nebbia attraverso i suoi articoli, in particolare i
contributi, molto originali, che apparivano nel bollettino di Italia Nostra.
L’ho conosciuto di persona verso la fine degli anni ’80, in occasione della
vicenda dell’Acna di Cengio (Savona). Il suo approccio era assolutamente non
convenzionale, non era più giovane ma partecipava direttamente agli incontri in
alta Valle Bormida, e con lui la moglie Gabriella, sobbarcandosi un lungo
viaggio. La sua impostazione del problema era chiarissima e, nello stesso
tempo, molto impegnativa. Andava bene contestare la fabbrica per il suo impatto
sulla salute e sull’ambiente ma bisognava studiare i cicli produttivi, sapere
esattamente cosa produceva e quali erano gli scarichi inquinanti, cosa aveva
prodotto nel corso dei suoi cento anni di attività. E questo non per una pur
meritevole conoscenza storica ma per poter intervenire in modo efficace, in
termini di bonifica, di risanamento dell’ambiente e di controllo sulla salute
dei lavoratori e della popolazione. Da allora è stato per me e per la
Fondazione Micheletti, l’interlocutore principale, un infaticabile e
inflessibile stimolatore di attività, iniziative, il più delle volte invisibili
perché dedicate alla salvaguardia degli archivi che hanno a che fare con la
produzione, le manifatture, il lavoro, l’energia. Gli studi più rilevanti sono
quelli che ha dedicato al ciclo delle merci, definendosi sempre orgogliosamente
merceologo, anche quando la merceologia veniva abolita, un po’ come se si
potessero abolire le merci. Di cui, anche un po’ per provocazione
intellettuale, metteva sempre in evidenza la dimensione materiale, naturale, il
carico quantitativo sulle matrici ambientali».
Per quanto mi riguarda
ho goduto della sua amicizia e di una curiosità quasi stupita per l’attenzione
che un sindacalista - quale ero io allora - dedicava non tanto all’incidente
clamoroso sul lavoro, che faceva notizia, quanto alla ricostruzione degli
effetti irreversibili che i cicli di trasformazione di materie e energia,
fagocitate nel vortice di produzioni spinte alla massimizzazione del profitto,
producevano “normalmente e quotidianamente” su un ambiente degradato e sui
cambiamenti della biosfera, mai presa seriamente in considerazione come spazio
vitale, luogo di riproduzione, bene comune da conservare. “Giorgio – conclude
il nostro comune amico - era persona estremamente avvertita, libera da schemi
ideologici, appassionato ma estremamente consapevole delle debolezze umane, e
però ostinatamente aperto alla speranza. Occorrerà molto tempo per conoscere
Giorgio Nebbia nelle sue molteplici dimensioni”. Oggi lo ricordiamo con lo
smarrimento che solo l’affetto più intenso può in minima parte colmare.
—Eddyburg, 9 luglio 2019
***
Per
Giorgio Nebbia
Alberto Berton
La mattina di
mercoledì 3 luglio, dopo un giugno eccezionalmente caldo, il Magister ci ha lasciati.
Soltanto pochi
mesi fa, stava abbastanza bene ed era come al solito molto attivo. Nonostante
qualche inevitabile acciacco dovuto ai suoi 93 anni compiuti lo scorso 23
aprile, Giorgio Nebbia era sempre il lucidissimo e generosissimo punto di
riferimento per l’ambientalismo critico e scientifico italiano, di cui è
riconosciuto unanimemente come il padre nobile.
Impegnato
quotidianamente su più fronti con articoli di divulgazione e di attualità per
giornali e riviste, conversazioni con studiosi e attivisti tramite mail e
telefono, azioni volte alla conservazione del patrimonio storico e scientifico
italiano, petizioni per cause sociali e ambientali, verso la fine dell’anno
scorso, Giorgio Nebbia aveva purtroppo subito un
improvviso deterioramento fisico,ma non mentale.
Il figlio Mario
si era trovato così costretto a fare da filtro alle comunicazioni del padre e
porre un limite alle sue troppo intense e numerose attività, aiutandolo a
seguire le relazioni più importanti, come quella con Pier Paolo Poggio,
direttore della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, il centro di ricerca a
cui Giorgio nel 2003 aveva affidato il vastissimo archivio che insieme alla
moglie Gabriella Menozzi aveva creato in oltre 40 anni di insegnamento,
ricerca, attività politica e militanza sui temi legati alla relazione tra le
merci, l’uomo e l’ambiente.
“Due TIR” tra
libri e documenti, come ama ricordare con affetto l’amico Poggio, a cui nel
corso del tempo, sempre su stimolo di Giorgio Nebbia, si erano aggiunti altri
“fondi” provenienti dai personaggi più importanti per la storia dell’ambiente
in Italia, da Laura Conti a Giovanni Francia, andando così a costituire
di fatto, all’interno della Fondazione Micheletti, il centro di documentazione
ecologicapiù importante in Italia.
Giorgio Nebbia si
definiva ironicamente un “povero chimico”. In realtà era Professore emerito di
Merceologia all’Università di Bari. Merceologo, studioso delle merci, delle
“cose” utili all’uomo oggetto di attività di scambio e di commercio, lo era
diventato un po’ per caso grazie all’incontro fortuito con Walter Ciusa,
laureato in Chimica, allora assistente alla cattedra di Merceologia
dell’Università di Bologna, di cui Nebbia, studente ai primi anni di Ingegneria
in cerca di un lavoro dignitoso, era diventato il giovanissimo segretario.
Ciusa,in quegli
anni, stava portando questa strana disciplina, nata alla confluenza tra le
scienze naturali, le discipline tecniche, l’economia e il commercio, oltre i
confini dell’analisi fisico-chimica delle merci finalizzata principalmente alla
determinazione della loro qualità intrinseca. Ciusa iniziò a studiare, o meglio
a “raccontare” le merci e i cicli produttivi che ne sono all’origine, non come
elementi isolati ma inserendoli nel contesto storico (storico-naturale,
storico-tecnico, storico-economico, storico-politico, storico-culturale) nel
quale queste si collocano.
Il giovane Nebbia
trascorse oltre un decennio a “bottega” da Ciusa, aiutando il promettente
merceologo a battere a macchina le dispense, a scrivere le lettere ai colleghi
professori, a svolgere le analisi di laboratorio e a preparare i concorsi
universitari. L’ufficio di Ciusaera diventato negli anni Cinquanta un luogo di
incontro per scienziati eterodossi, come Girolamo Azzi,l’agronomo che era stato
fino dagli anni Venti del Novecento pioniere di fama internazionale
dell’ecologia e della climatologia agraria, ritiratosi da Perugia a Bologna
dopo il pensionamento. Fu proprio grazie all’incontro con questo anziano
professore che il giovane Giorgio Nebbia sentì per la prima volta parlare di
una nuova disciplina:l’ecologia.
Nonostante
l’approccio storico alla merceologia, Giorgio Nebbia racconta che Ciusa non fu
mai particolarmente interessato all’ecologia, al di là della merce. Fu la
personale missione, curiosità e passione del giovane Nebbia a spingerlo ad
occuparsi del problema della scarsità di acqua dolce e della sua soluzione
attraverso la dissalazione dell’acqua di mare con l’energia solare.
Giorgio Nebbia,
già negli anni Cinquanta, a Bologna,iniziò così ad occuparsi di ecologia umana
partendo dal problema dell’acqua, problema che del resto, nella sua veste
meteorico-agraria, era stato il punto di partenza dell’indagine scientifica del
giovane Girolamo Azzi, lo scienziato imolese fondatore dimenticato
dell’ecologia agraria e dell’agro-ecologia, che Nebbiaricorda come “pioniere
dell’ecologia”.
Nella seconda
metà degli anni Cinquanta a Bologna, divenuto assistente di Ciusadopo che
quest’ultimo aveva vinto la cattedra e lui si era laureato in chimica, Giorgio
Nebbia visse dall’interno di un attrezzato ufficio merceologico l’intensa
stagione di scandali legati alle frodi alimentari che colpirono l’Italia
durante il miracolo economico, come quelli denunciati dalla serie di articoli
dell’Espresso iniziati col titolo “L’asino nella bottiglia”, dove l’opinione
pubblica prese coscienza che parte dell’olio di oliva italiano veniva tagliato
con olii derivati da scarti di macellazione,come gli zoccoli di asini e cavalli
importati per usi industriali.
Le frodi
alimentari hanno rappresentato un interesse costante nella lunga attività di
Giorgio Nebbia, il quale avrebbe voluto raccontare e ascoltare di più a
riguardo del problema delle frodi, che da una parte (nella sua dimensione
storica) lo appassionava enormemente -passione che condivideva con la moglie
Gabriella- e dall’altra parte (nella sua dimensione economico e politica)lo
motivava, in qualità di merceologo, nella ricerca di azioni a tutela del
consumatore.
“Vinta la
cattedra” di merceologia a Bari a soli 34 anni, dal 1960 Giorgio Nebbia iniziò
a raccontare la sua storia delle merci a generazioni di studenti pugliesi,
diventando, nel contempo, prima un’autorità riconosciuta sull’acqua, poi
sull’inquinamento e infine sui problemi ambientali in senso generale.
La pubblicazione
di Primavera Silenzionsa di Rachel Carson del 1962, aveva aperto la stagione
dell’Ecologia Politica, che trovò la sua Primavera all’inizio degli anni
Settanta con la pubblicazione, quasi simultanea, del Cerchio da Chiudere di Barry Commoner , di La Legge dell’Entropia e il Processo Economico di Nicholas
Georgescu Roegen, dei Limiti dello
Sviluppo del Club di Roma. Giorgio Nebbia entrò con naturalezza nel
nascente dibattito internazionale sui problemi ecologici e nel 1972 fu uno dei
pochi italiani a partecipare alla Conferenza di Stoccolma sull’ Ambiente Umano,
la prima conferenza mondiale sui temi ambientali, in rappresentanza del
Vaticano.
Giorgio Nebbia è
sempre stato un credente, ancorché “turbato”, come amava qualificarsi. Del
resto la sua successiva inclinazione politica, quella verso il PCI, non venne
apprezzata dagli ambienti ecclesiali. Giorgio non vide mai il suo cristianesimo
e il suo comunismo come incompatibili, continuando a condividere la tutela dei
più deboli, lavoratori e consumatori, con la fede religiosa. Grande fu la sua
gioia e la sua speranza alla lettura dell’Enciclica “ecologista”Laudato Si.
Personalmente
credo che il suo “sentirsi comunista” volesse dire innanzitutto non
considerare, a differenza della maggior parte degli economisti ortodossi, la
ricerca del profitto monetario e dell’interesse egoistico come unica forma
razionale per l’allocazione delle risorse, ovvero per la produzione e lo
scambio delle merci. Giorgio Nebbia ha sempre creduto nell’importanza
dell’azione pubblica per la regolazione del processo economico al fine del
soddisfacimento dei bisogni di base dell’Uomo: la casa, i vestiti, il cibo, i
trasporti, la pace, ecc… , mantenendo nel contempo sempre vivo l’interesse e la
curiosità per l’attività innovatrice degli imprenditori e le loro vicissitudini
personali, oggetto di una continua attività di appassionata ricerca e di instancabile
divulgazione. In questo Giorgio Nebbia fu molto vicino a Georgescu Roegen ,
economista “scomodo” dal cuore caldo e dal cervello fine, allievo di Joseph
Schumpeter e padre fondatore della bioeconomia, scuola del pensiero economico
della quale credo che Giorgio Nebbia possa essere considerato l’esponente
principale in Italia, fatto che ha certamente contribuito al nostro incontro.
Ho profondamente
amato il Giorgio Nebbia bioeconomista, capace di rendere semplici ragionamenti
complessi, di fissare “in quattro paginette” le cose che realmente
contano e di smascherare con gentilezza e ironia i vari “miti
economici” che tanto piacciono al mondo degli affari ma che risultano
estremamente deboli alla luce di una onesta analisi della “storia naturale
delle merci”: il rifiuto zero, l’impatto zero, l’emissione zero, la perfetta
sostenibilità e circolarità del processo economico. Il ciclo irreversibile( e
quindi storico) Natura Merce Natura, contrapposto a quello reversibile (e
quindi astorico)Denaro Merce Denaro, in una visione bioeconomica, e quindi
entropica, in cui«purtroppo la natura non da niente gratis”,
dove ogni azione economica ha un costo irreversibile, che dovranno pagare le
generazioni future in quanto l’Uomo con la Tecnica deforma storicamente la Natura
rendendola sempre meno adatta a supportare la (sua) vita sul pianeta. Non è un
messaggio disperato ma è la consapevolezza del limite, e quindi del valore
delle cose, nella prospettiva ultima ma mai realizzabile di “godere la
vita senza consumare” che si declina, in concreto, in uno stile di vita sobrio
ma appassionato e nella denuncia della produzione delle “merci oscene”, in primis gli armamenti.
Ho profondamente
amato Giorgio Nebbia storico delle merci e della tecnica, dove la ricostruzione
del passato era sempre affiancata dalla visione di un futuro di scarsità di
risorse non rinnovabili ma di abbondanza di risorse rinnovabili, quelle di
origine solare, in primo luogo agricole.
Ho profondamente
amato Giorgio Nebbia attivista, sempre pronto ad impegnarsi non solo per la
conservazione delle risorse naturali, della fauna e della flora ma anche del
nostro patrimonio storico, tecnico e culturale, del nostro patrimonio
bibliografico innanzitutto, sempre a rischio di dissipazione.
Ho profondamente
amato Giorgio Nebbia amico e maestro, verso cui anche io ho un debito enorme,
la cui dipartita lascia un vuoto colmabile solo dalla responsabilità di
approfondire e divulgare i suoi insegnamenti.
Professore di
merceologia, scienziato a difesa dei più deboli, attivista ambientalista
impegnato per anni in battaglie storiche come quella contro il nucleare,
storico della tecnica,instancabile divulgatore di ecologia, uomo politico di
sinistra, esperto di acqua e di energia solare, economista delle cose,
bibliofilo e archivista, bioeconomista roegeniano, credente turbato,
pacifista radicale, amico e maestro: come dice Pier Paolo Poggio
"occorrerà molto tempo per conoscere Giorgio Nebbia nelle sue molteplici
dimensioni."
In sintesi mi
sento di dire che Giorgio Nebbia è stato un “ecologista integrale”, nel senso
dell’ecologia integrale auspicata da Papa Francesco nella Laudato Sì, “che
comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali»,inscindibilmente legate
con la questione ambientale.
Giorgio Nebbia,
uomo di una generosità e di una umanità straordinaria, ci lascia un’eredità
scientifica e culturale preziosissima, unica al mondo, da custodire non come
una reliquia ma come un seme da rigenerare. La Fondazione Micheletti è oggi il
custode di questa eredità. Giorgio Nebbia ne era perfettamente consapevole
tanto che prima del funerale la famiglia ha ricordato che, per volontà del
defunto, "si prega di non portare fiori, ma di fare eventuali donazioni
alla Fondazione Luigi Micheletti di Brescia"
Giorgio, in
occasione dei suoi 90 anni, dopo avere augurato a tutti una vita bella
come la sua, fece un augurio a se stesso, “che la morte mi colga vivo”.
Nella sua
biblioteca, nei suoi scritti, nel suo archivio, nei video-racconti documentati
dall’amico Luigi Piccioni, nelle sue innumerevoli mail, nel Centro di Storia
dell'Ambiente promosso dalla Fondazione Luigi Micheletti, nelle parole dei
tanti che oggi lo ricordano con stima e affetto, Giorgio Nebbia continua a
vivere anche dopo la sua morte.
HastaSiempre!, Magister
***
Giorgio Nebbia, una grande anima ecologista
Michele Boato
Ci ha lasciato anche la terza «grande
anima» del movimento ecologista italiano: la prima era Laura Conti, «andata
avanti» il 25 maggio del 1993, vera madre di tutti/e noi, dal punto di vista
culturale; il secondo è stato Alex Langer, di cui il 3 luglio abbiamo ricordato
l’anniversario della tristissima partenza, avvenuta tra le colline fiorentine
nel 1995.
Ora tocca a Giorgio Nebbia che fino a
pochissimi mesi fa, all’età di 93 anni !, ha continuato ad illuminarci con i
suoi scritti chiari, precisi e spesso coraggiosi, come quelli che ogni giovedì
apparivano nella sua rubrica Naturalmente» dell’inserto Extra Terrestre nel
manifesto.
Sue le prime denunce, dal 1972 all’81, con
durissimi articoli sul quotidiano Il Giorno delle pesanti frodi alimentari
relative all’olio di colza, ai coloranti ed altri additivi, all’aggiunta
criminale di alcol metilico nel vino, ai nitriti, ormoni e antibiotici nelle
carni.
Alle sue denunce si sono affiancate allora
le inchieste dei giornalisti dell’Espresso e i primi interventi dei Nas dei
carabinieri.
Giorgio l’ho conosciuto nel 1976 a Bari,
come uno dei pochi professori di quell’Università che, invece di insultare il
creativo Movimento degli Studenti Fuori Sede attivissimo in quella città,
apriva una vera discussione in aula, spesso «scavalcando» gli stessi studenti
nelle proposte di riforma.
Poi, tornato a Mestre, l’ho ritrovato nel
1979 all’isola di San Giorgio, come uno dei pochissimi scienziati (assieme a
Virginio Bettini e Gianni Mattioli) col coraggio di remare contro il nucleare,
durante la famosa Conferenza nazionale sulla Sicurezza nucleare, che ha visto
attraversare Venezia da una delle più grandi manifestazioni antinucleari di
quegli anni.
Da allora non ha mai smesso di aiutarci
ogni volta che glielo chiedevamo. Leggendario il suo sostegno alla causa,
durata vari anni (dal 1984 al 1988), contro lo scarico a mare delle 3.200
tonnellate di fanghi al fosforo che ogni giorno una nave della Montedison
portava da Marghera all’Adriatico contribuendo alla sua eutrofizzazione. Ci ha
inviato per posta un malloppo pesante forse 5 kg, con la dimostrazione che quei
fanghi potevano essere seccati e riciclati come sottofondo stradale, esperienza
che lui aveva studiato per le piste dell’aeroporto di Washington. È stato il
contributo che ci ha permesso di mettere l’industria con le spalle al muro e ha
spostato finalmente, una parte di sindacato dei chimici al nostro fianco,
invece che a quello degli inquinatori come era successo fino a quel momento.
Insuperato, come contributo ad un’economia
ecologica, il saggio «Un’Italia sostenibile?» scritto da Giorgio nel 1996 per
la rivista Ecologia politica, che abbiamo ripubblicato, come libretto
dell’Ecoistituto del Veneto, l’anno successivo col titolo «Alla scoperta di una
Italia sostenibile», in cui Nebbia appare veramente come una stella polare per
il futuro della nostra società. Una grande anima, al pari di Gandhi e di Chico
Mendez.
—Il Manifesto, 6 luglio 2019
***
Caro Giorgio, buon viaggio
Valentina
Calicchia
93 anni. Tanti ne
aveva Giorgio Nebbia quando ha deciso di andarsene. Dire "Addio" ad
un uomo del suo spessore non è facile. Non è semplice ricordare in qualche riga
la sua caratura umana e il suo spessore professionale.
In molti in questi
giorni hanno cercato di farlo: giornalisti, scienziati e amici hanno provato
a cercare parole utili e adatte a descrivere la grandezza di una mente che ha
stravolto il pensiero contemporaneo su un argomento/una materia, l'ambiente e
l'ecologia, che il suo tempo stava appena scoprendo e su cui noi, oggi,
cerchiamo di interrogarci. Giorgio Nebbia, per chi come noi vive di
ambientalismo, è stato un faro che ci ha guidati con lungimiranza attraverso i
problemi e le sfide dell'attualità. E' stato professore universitario,
chimico, padre di una scienza ambientale a cui ancora oggi si guarda con
sospetto.
Giorgio Nebbia è
stato per noi di "Verdi Ambiente e Società-VAS Onlus" un amico
saggio, un esperto a cui chiedere consiglio, con cui confrontarsi attraverso
una dialettica sempre stimolante e sincera.
E' stato nel
board scientifico del Premio Internazionale Verde Ambiente e ha
collaborato per oltre 30 anni con la nostra rivista Verde Ambiente, tenendovi
una "rubrica” nella quale poter discorrere non solo di ambiente ma
di chimica, merci, trattamento dei rifiuti, di rapporti tra economia e
ecologia.
Comunicare era
per lui un obiettivo ed un dovere, si è fatto ponte tra il rigore della
scienza e la sete di comprensione di molti, trattando argomenti complessi in
più di 3000 articoli scritti, tra riviste e periodici, in maniera competente e
accessibile; poiché se critica, lucidità e chiarezza disarmante hanno
costituito la tela di ogni suo scritto, l'altra immancabile qualità che gli va
riconosciuta è l'umanità del suo operato e la forza dirompente con la quale,
non sempre facilmente, nella lotta al capitale, ha messo la dignità umana
davanti al profitto.
"Ci
sono un miliardo e mezzo di persone nel mondo che non hanno gabinetti - diceva - ecco, se io fossi un imprenditore, mi metterei a
fabbricare gabinetti per i Paesi in cui essi mancano”.
Per la sua
immensa produzione, per le sue riflessioni e osservazioni sul mondo e per
l'indiscutibile innovazione del suo pensiero, nel 2011 VAS Onlus gli conferì il Premio Internazionale di
ecologia Verde Ambiente.
Per questo e per
tanto altro, noi non ce la sentiamo di dirti "Addio, Giorgio", questo
è solo un arrivederci e la testimonianza scritta che il nostro debito nei tuoi
confronti sarà la guida per affrontare le sfide del presente e del futuro con
coraggio e ancora più determinazione.
P. S.
: ricordi di Guido Pollice
"Alle parole
e allo scritto di Valentina c'è poco da aggiungere. L'esperienza parlamentare
per due legislature (alla Camera e poi al Senato) ha orientato il nostro
rapporto e la comune vicinanza politica. A Giorgio devo il mio impegno
ambientalista che dura dal lontano 1991. A lui devo la tenacia, la pazienza, la
modestia e soprattutto il sapere.
Tutte le volte
che lo chiamavo e, forse, lo disturbavo (troppe volte!!!), chiedevo "c'è
il professore" - lui mi rispondeva - "non c'è, le passo suo
fratello..." e su questo scherzo e gioco iniziava il nostro colloquio
quotidiano e mi dava i suoi consigli per 'navigare in questo mare tempestoso
'. Ciao Giorgio."
—Verde Ambiente, n. 3, maggio-giugno 2019
***
Giorgio Nebbia, colui che risponde sempre
al telefono
Nicola Capone e Luigi Piccioni
Giorgio Nebbia è
morto: fino alla fine dello scorso anno era stato quotidianamente presente
nelle iniziative della Fondazione Micheletti e coi suoi scritti, come sempre
acuto, preciso, lucido, con la sua capacità unica di coinvolgere, stimolare,
incoraggiare, incitare all’azione e alla ricerca.
Studioso, maestro
di generazioni di merceologi, attivista ambientalista, parlamentare ecologista
ma soprattutto scrittore e divulgatore prolifico e instancabile, Nebbia è stato
una delle grandi firme del giornalismo ambientalista italiano. Il suo ruolo di
educatore, in questo senso, è paragonabile soltanto a quello di Antonio Cederna,
che non casualmente condivise con lui la decima legislatura alla Camera nel
gruppo della Sinistra Indipendente.
Nonostante
nell’arco di oltre mezzo secolo Giorgio abbia dato un contributo inestimabile
alla crescita di una coscienza ambientale in Italia, non solo il suo ruolo non
era affatto esaurito ma la sua scomparsa lascia un vuoto estremamente difficile
da colmare. La felicità della sua scrittura, donata sempre in modo
assolutamente generoso, la curiosità inesausta e la capacità di trasmetterla in
modo contagioso, la capacità di tenere solidamente il filo della memoria tra le
varie generazioni di attivisti, lo sguardo critico ma tecnicamente ineccepibile
sui rapporti tra tecnologia, produzione, società e ambiente, ne hanno fatto una
figura unica in Italia, che non ha chi possa raccoglierne la sfaccettata
eredità.
Un grande
studioso, un grande attivista, un grande compagno; ma anche un uomo rotondo,
affettuoso, di una generosità ineguagliabile. Nelle celebrazioni per il suo
novantesimo compleanno, al Senato, nel 2016, Giovanna Ricoveri ne definì
efficacemente il profilo come colui che risponde sempre personalmente al
telefono, e sempre con gentilezza, attenzione e disponibilità.
Così ci piace
ricordarlo.
In nome di queste sue qualità vorremmo –
umilmente – cercare di rimanere nell’orma da lui tracciata.
—Greenreport, 5 luglio 2019
***
Giorgio
Nebbia, l’ecologista giusto
Marinella Correggia
Ricordi. Un uomo di sinistra, ma avanti. Breve storia
di un professore che per tutta la vita ha praticato e insegnato un’ecologia
utile per tutti, il suo impegno generoso lo ha spinto sempre in prima fila in
tutte le lotte ambientaliste
«Il verde, unica
fonte, mossa dal Sole, della vita»: in un articolo su l’Extraterrestre di fine
2018, Giorgio Nebbia (morto il 3 luglio scorso) dava un andamento poetico a una
constatazione scientifica. Nello stesso periodo, a proposito delle miniere
insanguinate, scriveva: «Agli africani il dolore e la fatica del lavoro».
Un tema, quello
della violenza umana e ambientale nei processi di produzione scambio e consumo,
che egli sviluppò nel testo La violenza delle merci (Ecoistituto del
Veneto,1999). Contro un capitalismo sanguinoso e insostenibile, imperialistico
e bellicoso, iniquo e distruttivo, l’ecologia poteva essere uno strumento di
conoscenza «utile a diffondere la solidarietà internazionale».
Irraggiungibile
esempio di ecologista, scienziato, docente, educatore, politico a sinistra,
divulgatore del sapere davvero per tutti (con migliaia di articoli, dossier,
relazioni), il professor Giorgio Nebbia è stato per molti decenni il crocevia
di lotte ma anche di proposte, di studi ma anche di applicazioni. Generoso,
gentile e privo di narcisismo, si è messo a disposizione non solo di lotte di
carattere nazionale e mondiale, ma anche di una miriade di associazioni,
comitati e cause «minori».
Ne davano conto
tre anni fa, come di augurio per il suo novantesimo compleanno, diversi
ambientalisti, attivisti, studiosi autori del libro collettivo Per Giorgio
Nebbia. Ecologia e giustizia sociale, edito nel 2016 dalla Fondazione
Micheletti che lo ha avuto come colonna portante della rivista Altronovecento e
dell’archivio.
Già da giovane
merceologo a metà degli anni 1950 intrattiene contatti internazionali per lo
sviluppo delle applicazioni dell’energia solare, in particolare la
dissalazione; membro della piccola comunità solare italiana («il futuro è
solare»), negli anni 1960 sperimenta distillatori sulla terrazza dell’Istituto
di merceologia a Bari e ai giardini Margherita della sua Bologna.
Nel 1972
partecipa, con altri antesignani dell’ambientalismo, alla Conferenza Onu su
«Ambiente e sviluppo» a Stoccolma; nello stesso periodo, a Bari, il professore
aiuta i comizi dei ragazzi che esigono dai candidati alle amministrative
un’agenda di impegno ambientale. Del resto, come spiegherà nel 2015 in
un’intervista a Teleambiente, «quando si parlava di problemi ambientali, un
povero professore di merceologia sapeva bene che era materia sua, perché
nell’ambiente finivano gli scarti» dei cicli produttivi.
Intanto denuncia
a mezzo stampa ogni genere di frodi alimentari, riuscendo a provocare
interventi di controllo. Nel 1978 è fra i promotori del referendum contro la
caccia – che non raggiunge il quorum. E’ in nome della necessità di un «grande
movimento di liberazione per sconfiggere le ingiustizie portate dalle merci,
fra gli esseri umani e la natura», per ispirare le merci ai valori, che Giorgio
Nebbia diventa parte attiva in molti conflitti ambientali, rispetto ai quali
individua quattro soggetti: inquinatori, inquinato, Stato, scienziati.
Alla fine degli
anni 1970 è fra i pochi scienziati antinuclearisti alla conferenza nazionale
sulla sicurezza nucleare, a Venezia. Aiuta a strutturare il movimento contro
una forma di energia che «non è né economica, né pulita, né sicura». E quanto
alle armi nucleari, il suo impegno era sfociato di recente nella proposta di un
gruppo di scienziati per lo studio di un mega programma di messa in sicurezza e
neutralizzazione dell’arsenale mondiale. Si sarebbe creato lavoro; del resto
per Nebbia era imprescindibile trovare alternative occupazionali – oltre alla
riduzione dell’orario.
Nel testo Per
Giorgio Nebbia si evocano le «migliaia di chilometri percorsi per incontri con
comitati, sit-in, marce e tutte le varianti dell’impegno politico dal basso».
Partecipa ad esempio alle mobilitazioni nell’alta valle Bormida, avvelenata
dall’Acna di Cengio, la fabbrica chimica in provincia di Savona. Anche
l’impegno dei cittadini e degli enti locali contro il polo chimico Farmoplant
lo vede protagonista, da consigliere comunale a Massa Carrara fra il 1985 e il
1987. Negli stessi anni sostiene la causa ambientalista contro lo scarico in
Adriatico dei fanghi al fosforo del petrolchimico di Porto Marghera, proponendo
alternative che contribuiscono a spostare parte del sindacato. Sul tema
dell’acqua partecipa a gruppi di lavoro, scegliendo come asse l’ecosistema
bacino idrografico.
Da parlamentare per due legislature, nel
gruppo Sinistra indipendente, «sempre all’opposizione e quindi perdevamo sempre,
quasi sempre», si impegna sui temi più svariati (e non sempre perdendo): la
legge per la difesa del suolo varata in quegli anni, l’inquinamento da concimi,
pesticidi, detersivi, piombo tetraetile e la sicurezza nelle fabbriche. Ma
Giorgio nel 2018 ha anche messo su carta il suo sogno, con il saggio
fantascientifico (ricco di dati, percorsi e grande speranza) Lettera dal 2100.
La società post-capitalistica comunitaria, nel libro di vari autori Alle
frontiere del capitale (Jaca Book e Fondazione Micheletti, 2018). «Siamo alle
soglie del XXII secolo; ci lasciamo alle spalle un secolo di grandi
rivoluzionarie transizioni, un mondo a lungo violento, dominato dal potere
economico e finanziario, sostenuto da eserciti sempre più potenti e devastanti.
L’umanità è stata più volte, nel secolo passato, alle soglie di conflitti fra
paesi e popoli che avrebbero potuto spazzare via la vita umana e vasti
territori della biosfera. Vittima della paura e del sospetto, è stata esposta
ad eventi meteorologici estremi che si sono manifestati con tempeste,
alluvioni, siccità. Con fatica è stato realizzato un mondo in cui le unità
comunitarie sono state costruite sulla base dell’affinità fra popoli, in cui
città diffuse nel territorio sono integrate con attività agricole, in cui l’agricoltura
è stata di nuovo riconosciuta come la fonte primaria di lavoro, di cibo e di
materie prime, un mondo di popoli solidali e indipendenti, in cui la
circolazione di beni e di persone non è più dominata dal denaro, ma dal diritto
di ciascuna persona ad una vita dignitosa e decente».
—Il Manifesto, 11 luglio 2019
***
Un
ricordo di Giorgio Nebbia
Claudio
Della Volpe
Questo
post è basato in piccola parte sui miei ricordi ma soprattutto sulla
formidabile intervista fatta a Giorgio Nebbia nel 2016 da Luigi
Piccioni e riportata qui; dura quasi tre ore e se avete pazienza è molto
interessante, quasi un archivio della cultura e della vita italiana del 900
attraverso gli occhi di un protagonista.
Come tutti
i lettori sanno Giorgio è stato redattore anche di questo blog, una delle tante
attività che ha svolto nel suo quasi-secolo di vita attivissima. Dunque questo
breve ricordo gli è dovuto. Se volete cercare gli articoli con i quali ha
contribuito al nostro blog basta che mettiate “Nebbia” nella finestrella in
alto a destra, ne troverete decine. Giorgio era stato nominato socio onorario
della SCI, su mia proposta, prima del 2010.
Giorgio
Nebbia nasce a Bologna nell’aprile 1926, da una famiglia che era però metà
toscana e in Toscana rimarrà un pezzo di cuore fra Livorno e Massa, dove il
padre aveva costruito, a Poveromo, una casetta delle vacanze, in via delle
Macchie.
Ma il
sogno piccolo borghese della famiglia impiegatizia di Giorgio dura poco, perché
la crisi del 29 fa perdere il lavoro al padre; e segue dunque un periodo di
ristrettezze che culmina poi durante la guerra con la morte del padre e il
ritorno a Bologna, che era la patria della mamma.
Qui si
inizia il percorso universitario di Giorgio, nel primissimo dopoguerra; in un
primo momento iscritto a ingegneria e studente lavoratore, conosce per caso
colui che diventerà suo mentore, Walter Ciusa, allora associato di merceologia
a Bologna, che lo assume come collaboratore del suo lavoro accademico. Giorgio
aveva conoscenza dell’inglese, disegnava bene e questo lo rende già un buon
collaboratore; in questo periodo Giorgio incontra la chimica analitica e si
scopre un buon analista; Ciusa più tardi gli consiglia di lasciare ingegneria
ed iscriversi a Chimica; Giorgio si iscrive a Chimica a Bari, dove pensava di
riuscire a laurearsi prima e infatti si laurea nel 1949. In
un articolo del 2011 lui stesso ci racconta il contenuto
della tesi di laurea.
“Nei
primi del Novecento i perfezionamenti dei metodi di analisi chimica
consentirono di separare e caratterizzare numerose sostanze che si rivelarono
cancerogene. Si trattava in gran parte di idrocarburi aromatici policiclici,
contenenti diecine di atomi di carbonio e idrogeno uniti fra loro in “anelli”.
La svolta fondamentale si ebbe con le ricerche condotte negli anni trenta del Novecento
da James Wilfred Cook (1900-1975) che preparò per sintesi numerosi idrocarburi
policiclici ad alto grado di purezza con cui fu possibile riconoscere il vario
grado di cancerogenicità di ciascuno. Il più tossico si rivelò appunto il
3,4-benzopirene, generalmente indicato come benzo(a)pirene per distinguerlo dal
benzo(e)pirene (4,5-benzopirene) che ha lo stesso numero di atomi di carbonio e
idrogeno, ma disposti diversamente. Negli anni 40 fu possibile anche
identificare a quali strutture molecolari era maggiormente associata l’attività
cancerogena. Per inciso è stato l’argomento della mia tesi di laurea in chimica
nel 1949 nell’Università di Bari e di un successivo libro.”
Il libro è
Maria Prato e G. Nebbia, “Le sostanze cancerogene”, Bari, Leonardo da Vinci
Editore, 1950, 151 pp.
A questo
punto quello che lui stesso descrive come un colpo di fortuna; Ciusa diventa
ordinario di Merceologia e lo chiama come assistente a Bologna, a soli 5 giorni
dalla laurea. Per la prima volta Giorgio ha un vero lavoro pagato dallo Stato,
come lui stesso dice orgogliosamente. Questo ruolo di assistente alla cattedra
di merceologia Giorgio lo manterrà per dieci anni fino al 1959.
La
merceologia nell’idea di Nebbia è “il racconto di come si fanno le cose”,
ereditato da un Ciusa che era a sua volta molto interessato alla storia delle
merci ed alla loro evoluzione. Nebbia dunque raccoglie insieme l’eredità
culturale del mondo chimico ma anche di quello umanistico , una impostazione a
cui rimarrà sempre fedele.
In questi
anni il grosso della sua attività di ricerca è dedicato ai metodi della chimica
analitica e pubblica anche in tedesco.
Nel 1959
viene chiamato a coprire la cattedra di merceologia a Bari.
Giorgio
Nebbia, secondo da sinistra a Bari negli anni '60, con alcuni collaboratori ed
un distillatore solare sul tetto dell’università.
Questo
segna un cambiamento nell’indirizzo delle sue ricerche; quelle che gli erano
state rimproverate a volte come le “curiosità” o perfino capricci da Ciusa o da
altri, entrano con maggiore peso nella sua attività di ricerca; entrano in
gioco, l’energia, l’acqua, l’ambiente; rimane l’interesse per le merci e la
loro storia tanto che si sobbarca un corso di Storia delle merci provenienti da
paesi asiatici, ma la sensibilità per l’acqua, che dopo tutto è una merce
basica, per l’energia che è anche una merce (e che merce!) crescono. Di questo
periodo mi fa piacere ricordare un articolo brevissimo con cui corresse un
altro breve articolo su Journal Chemical Education , 1969, e che riporto
qui sotto integralmente. Si tratta di un argomento affascinante e di grande
impatto didattico e culturale: chi è più efficiente la Volkswagen o il colibrì?
Nebbia
trova un errore nell’ultimo conticino di Gerlach che ne inverte radicalmente il
senso.
Come
potete vedere la sua conclusione ha un impatto che oserei definire filosofico;
l’”unità termodinamica del mondo”; un concetto che condivido totalmente e che
sarebbe utile far condividere ai nostri politici più illustri ed ai loro
“esperti” che di solito la termodinamica non se la filano molto.
Giorgio
Nebbia fine anni 70, era consigliere comunale a Massa e presidente della
Società degli Amici di Ronchi e Poveromo. Erano gli anni in cui partecipò alle
mobilitazioni contro l’inquinamento generato dalla Farmoplant.
Inizia con
gli anni 70 la fase che potremmo definire ambientalista di Nebbia. Gli impegni
sui temi dell’acqua, dell’energia, della dissalazione, dei rifiuti si saldano
con una visione che di base è cattolica, ma che vira rapidamente verso
sinistra.
Dunque di
questi anni è l’impegno nella costruzione di associazioni ambientaliste grandi
e piccole, di una divulgazione che ha prodotto nel tempo migliaia di articoli
che sono conservati con tutto l’archivio dei libri e dati presso la Fondazione
Micheletti.
Gli
articoli di Giorgio assommano ad oltre 2000; di questi una rapida ricerca su
Google Scholar ne fa trovare 450 dei quali articoli di tipo scientifico sono
oltre 130. Purtroppo non riuscite a metterli in ordine temporale perchè
probabilmente Giorgio non si era mai iscritto a Google Scholar che d’altronde è
nato DOPO che lui era andato in pensione; comunque è una lettura utile a
scandire la varietà di interessi che si sono susseguiti nel tempo.
Durante
gli anni 80 viene eletto due volte in Parlamento per la Sinistra Indipendente
prima come deputato nella IX legislatura (1983-87) e poi come senatore nella X
(1987-92). Sono gli anni in cui si discute del nucleare e si vota il primo
referendum antinucleare (1987) nel quale Giorgio costituisce un punto di
riferimento degli antinuclearisti. D’altronde rimarrà tale anche nel corso del
secondo referendum , quello del 2011. Quello fu un periodo eccezionale per la
chimica italiana ripetto alla politica; erano in parlamento parecchi chimici
fra i quali oltre Giorgio vale la pena di ricordare Enzo Tiezzi.
Nel 1995
va in pensione, ma continua la sua attività pubblicistica sia con libri che che
sui quotidiani e sulle riviste.
Era stato
nominato professore
emerito, ed ottenne le lauree
honoris
causa in scienze economiche e sociali dall’Università
del Molise e in economia
e commercio dagli atenei di Bari e Foggia.
Personalmente
ho conosciuto Giorgio in questa più recente fase della sua vita, perché era
iscritto alla lista di discussione sulla merce regina, il petrolio, una lista
che era stata messa su da Ugo Bardi quando aveva fondato l’associazione
ASPO-Italia, per studiare il picco del petrolio. Non ci siamo mai incontrati di
persona ma ci siamo sentiti varie volte; ovviamente non mi era sconosciuto,
anzi avevo già letto molte cose scritte da lui fin da studente e mi sentivo un
po’ imbarazzato a parlargli così come se fosse uno qualunque.
Giorgio
come altri “grandi” che ho conosciuto era di una semplicità disarmante,
rispondeva personalmente alle chiamate ed alle mails, non c’era alcun filtro
col pubblico.
Aveva
scoperto da solo che avevo un mio blog personale, sul quale esponevo le mie
idee sullle cose del mondo e ovviamente le nostre idee politiche erano molto
consonanti; subito mi propose di conservarne copia; era uno che conservava tutto,
faceva copia di tutto; sembra che conservasse anche i biglietti del tram.
Mi battei
con successo per farlo nominare socio onorario della SCI e gli proposi di
collaborare col nascente blog della SCI; lui aderì con entusiasmo e fece subito
varie proposte di successo, come la serie di articoli: Chi gli ha dato il nome?
Dedicata a strumenti o dispositivi di laboratorio di cui ricostruì la storia;
ed anche un’altra serie di post di successo è stata quella dedicata alla
economia circolare; nei quali l’idea di base era che l’economia circolare non è
una invenzione recente ma la riscoperta di qualcosa che l’industria chimica ha
nel suo DNA.
Era poi
una continua risorsa per la ricostruzione della Storia della Chimica nei suoi
più disparati aspetti. A partire dalla storia del Parlamento italiano
ovviamente e del ruolo che vi avevano avuto chimici come Avogadro e Cannizzaro.
Quando
compì 90 anni ebbe una festa par suo, dunque condita di pubblicazioni varie ;
la più interessante delle quali è la raccolta di suoi scritti
Un
quaderno speciale di Altro900 con scritti di Giorgio si può scaricare da: http://www.fondazionemicheletti.eu/altronovecento/quaderni/4/AltroNovecento-4_Nebbia-Piccioni_Scritti-di-storia-dell-ambiente.pdf
Il
testamento di Giorgio:
http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/sm-4014-lettera-dal-2100-2018/
Giorgio ci
ha anche lasciato un testamento ed è un testamento particolare, uno scritto che
è una sorta di piccolo romanzo di fantascienza ma anche scritto politico, ma
anche novella breve ma anche lettera, una lettera dal futuro, la lettera dal
2100 in cui immagina di ricevere una lettera da chi ha vissuto e ormai digerito
le gigantesche trasformazioni che stiamo vivendo. Scritta nel 2018 e pubblicata
da Pier Paolo Poggio (a cura di), “Comunismo eretico e pensiero critico”,
volume V, JacaBook e Fondazione Luigi Micheletti, p. 47-60, ottobre 2018, ve ne
accludo qualche brano.
La
crisi economica e ambientale dell’inizio del ventesimo secolo è dovuta e
esacerbata dalle regole, ormai globalmente adottate, della società capitalistica
basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sul dogma dell’aumento
del possesso e dei consumi dei beni materiali. E’ possibile prevedere —
come ci scrivono dall’inizio del XXII secolo — la trasformazione della società
attuale in una società postcapitalistica comunitaria in grado di soddisfare,
con le risorse naturali esistenti, una popolazione terrestre di dieci miliardi
di persone con minore impoverimento delle risorse naturali e con minori
inquinamenti e danni ambientali. …….. Nella società comunitaria i bisogni
di ciascuna persona vengono soddisfatti con il lavoro a cui ciascuna persona è
tenuto, nell’ambito delle sue capacità, nell’agricoltura, nelle industrie e nei
servizi….
La
inaccettabile differenza fra la ricchezza dei vari paesi, misurata in
arbitrarie unità monetarie, che caratterizzava il mondo all’inizio del 2000 ha
portato all’attuale revisione delle forme di pagamento delle merci e del
lavoro, su scala internazionale, in unità fisiche, legate al consumo di
energia, e al numero di ore di lavoro necessarie per ottenere ciascuna merce e
servizio. Queste unità sono regolate su scala internazionale da una banca
centrale comunitaria……
La
transizione ha comportato una grande modifica della struttura dell’agricoltura
e delle foreste, la principale fonte degli alimenti e di molti materiali da
costruzione….
Ogni
persona ogni anno, in media, ha bisogno di alimenti costituiti da circa 300 kg
di sostanze nutritive (carboidrati, grassi, proteine animali e vegetali,
grassi, eccetera) ottenibili con la produzione di circa 1000 kg/anno, circa 10
miliardi di tonnellate all’anno, di prodotti vegetali e animali. La
coltivazione intensiva dei suoli, con forti apporti di concimi e pesticidi, è
stata sostituita da coltivazioni di superfici di suolo adatte a fornire
principalmente alimenti alle comunità vicine, con la prevalente partecipazione
al lavoro dei membri di ciascuna comunità. Venuta meno la proprietà privata dei
terreni agricoli si è visto che la superficie disponibile era largamente
sufficiente a soddisfare i fabbisogni alimentari mondiali……
L’altra
grande materia naturale essenziale per soddisfare i bisogni elementari umani è
costituita dall’acqua: sul pianeta Terra, fra oceani e continenti, si trova una
riserva, uno stock, di circa 1.400 milioni di chilometri cubi di acqua; la
maggior parte è nei mari e negli oceani sotto forma di acqua salina,
inutilizzabile dagli esseri umani; solo il 3 per cento di tutta l’acqua del
pianeta è presente sotto forma di acqua dolce, priva o povera di sali, e la
maggior parte di questa è allo stato solido, come ghiaccio, nei ghiacciai
polari e di montagna; resta una frazione (circa 10 milioni di km3)
di acqua dolce liquida che si trova nel sottosuolo, nei laghi, nei fiumi……
Una
parte di questo fabbisogno è soddisfatto con l’acqua recuperata dal trattamento
e depurazione delle acque usate, sia domestiche, sia zootecniche, grazie ai
progressi in tali tecniche che permettono di ottenere acqua usabile in
agricoltura e in attività non domestiche; si ottengono anche fanghi di
depurazione dai quali è possibile ottenere per fermentazione metano usato come
combustibile (contabilizzato come energia dalla biomassa)……
Operazioni
che erano difficili quando grandi masse di persone abitavano grandi città
lontane dalle attività agricole e che ora sono rese possibili della diffusione
di piccole comunità urbane integrate nei terreni agricoli…….
Non
ci sono dati sui consumi di acqua nelle varie attività industriali, alcune
delle quali usano l’acqua soltanto a fini di raffreddamento e la restituiscono
nei corpi naturali da cui l’hanno prelevata (fiumi, laghi) nella stessa
quantità e soltanto con una più elevata temperatura (inquinamento termico)……
In
particolari casi di emergenza acqua dolce viene ricavata anche dal mare con
processi di dissalazione che usano elettricità, come i processi di osmosi
inversa.
Dopo
il cibo e l’acqua il principale bisogno delle società umane è rappresentato
dall’energia che è indispensabile, sotto forma di calore e di elettricità, per
produrre le merci, consente gli spostamenti, contribuisce alla diffusione delle
conoscenze e dell’informazione e permette di difendersi dal freddo…….
Il
programma delle nuove comunità è stato basato sul principio di graduale
eliminazione del ricorso ai combustibili fossili, il cui uso è limitato alla
produzione di alcuni combustibili liquidi e di alcune materie prime industriali
in alcune produzioni metallurgiche, e nella chimica, e di contemporanea
chiusura di tutte le centrali nucleari……
L’energia
necessaria per le attività umane, 600 EJ/anno è principalmente derivata
direttamente o indirettamente dal Sole.
Oggi
è stato possibile contenere il fabbisogno di energia dei 10 miliardi abitanti
del pianeta a 600 GJ/anno, con una disponibilità media di circa 60
GJ/anno.persona (equivalente a circa 18.000 kWh/anno.persona e ad una potenza
di circa 2000 watt), e oscillazioni fra 50 e 80 GJ/anno.persona a seconda del
clima e delle condizioni produttive. Questo significa che i paesi con più
alti consumi e sprechi sono stati costretti a contenere tali consumi agli usi
più essenziali, in modo da assicurare ai paesi più poveri una disponibilità di
energia sufficiente ad una vita decente.
Una
“società a 2000 watt” era stata auspicata già cento anni fa come risposta al
pericolo di esaurimento delle riserve di combustibili fossili e alle crescenti
emissioni di gas serra nell’atmosfera…….
Ai
fini dell’utilizzazione “umana” dell’energia solare va notato subito che
l’intensità della radiazione solare è maggiore nei paesi meno abitati; molti
dei paesi che un secolo fa erano arretrati, hanno potuto uscire dalla miseria
proprio grazie all’uso dell’energia solare; la società comunitaria ha così
potuto contribuire a ristabilire una forma di giustizia distributiva energetica
fra i diversi paesi della Terra, realizzando la profezia formulata due secoli
fa dal professore italiano Giacomo Ciamician, “i paesi tropicali ospiterebbero
di nuovo la civiltà che in questo modo tornerebbe ai suoi luoghi di
origine“……..
La
struttura economica della società comunitaria richiede molti macchinari e
oggetti e strumenti che devono essere fabbricati con processi industriali.
Questi sono diffusi nel territorio integrati con le attività agricole e le
abitazioni; la loro localizzazione è pianificata in modo da ridurre le necessità
di trasporto delle materie prime e dei prodotti a grandi distanze e da ridurre
il pendolarismo dei lavoratori fra fabbriche e miniere e abitazioni……
Macchine
e merci sono prodotte con criteri di standardizzazione che assicurano una lunga
durata e limitata manutenzione. I processi industriali richiedono minerali,
metalli, materie estratte dalla biomassa, prodotti chimici, e inevitabilmente
sono fonti di rifiuti e scorie.
L’abolizione
degli eserciti ha portato ad un graduale declino e poi estinzione delle fabbriche
di armi ed esplosivi.
Mentre
nella società capitalistica l’unico criterio che stava alla base della
produzione industriale era la massimizzazione del profitto degli imprenditori,
e tale obiettivo era raggiunto spingendo i cittadini ad acquistare sempre nuove
merci progettate per una breve durata, tale da assicurare la sostituzione con
nuovi modelli, nella società comunitaria la progettazione dei prodotti
industriali è basata su una elevata standardizzazione e su una lunga durata di
ciascun oggetto…….
Nella
società comunitaria odierna la mobilità di persone e merci è assicurata in gran
parte da trasporti ferroviari elettrici, con una ristrutturazione delle linee
ferroviarie dando priorità alla mobilità richiesta dalle persone che vanno al
lavoro e alle scuole.
Oggi
è praticamente eliminato il possesso privato di autoveicoli e il trasporto di
persone è assicurato dalle comunità sia mediante efficaci mezzi di trasporto
collettivo elettrici, sia mediante prestito di autoveicoli di proprietà
collettiva per il tempo necessario alla mobilità richiesta……..
Siamo
alle soglie del XXII secolo; ci lasciamo alle spalle un secolo di grandi
rivoluzionarie transizioni, un mondo a lungo violento, dominato dal potere
economico e finanziario, sostenuto da eserciti sempre più potenti e armi sempre
più devastanti. L’umanità è stata più volte, nel secolo passato, alle soglie di
conflitti fra paesi e popoli che avrebbero potuto spazzare via la vita umana e
vasti territori della biosfera, vittima della paura e del sospetto, è stata
esposta ad eventi meteorologici che si sono manifestati con tempeste,
alluvioni, siccità.
Fino
a quando le “grandi paure” hanno spinto a riconoscere che alla radice dei
guasti e delle disuguaglianze stava dell’ideologia capitalistica del “di più”,
dell’avidità di alcune classi e popoli nei confronti dei beni della natura da
accumulare sottraendoli ad altre persone e popoli.
Con
fatica abbiamo così realizzato un mondo in cui le unità comunitarie sono state
costruite sulla base dell’affinità fra popoli, in cui città diffuse nel
territorio sono integrate con attività agricole, in cui l’agricoltura è stata
di nuovo riconosciuta come la fonte primaria di lavoro, di cibo e di materie
prime, un mondo di popoli solidali e indipendenti, in cui la circolazione di
beni e di persone non è più dominata dal denaro, ma dal dritto di ciascuna
persona ad una vita dignitosa e decente.
Questo è
il sogno è il lascito di Giorgio.
Giorgio,
grazie di essere stato con noi; questo augurio che ci fai, a noi che restiamo
piace; non ti dimenticheremo; che la terra ti sia lieve!
Bibiliografia
essenziale.
http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/
—https://ilblogdellasci.wordpress.com/2019/07/22/un-ricordo-di-giorgio-nebbia/
***
Addio
professore
Elisabetta Galgani
All’età di 93 anni, a luglio, ci ha lasciati Giorgio
Nebbia. Pioniere dell’ambientalismo italiano, professore universitario e
parlamentare
La sua ultima
intervista l’ha concessa proprio a “Nuova Ecologia”. Un cerchio che si è chiuso
visto che Giorgio Nebbia, pioniere del movimento ambientalista italiano,
professore universitario e parlamentare, è stato fra i primi collaboratori
della nostra rivista e membro del comitato scientifico di Legambiente. Negli
ultimi mesi Nebbia già stava male e ci chiese, scusandosi, di poter rispondere
alle domande via email. Parlava lentamente al telefono perché era stato vittima
di un ictus. Accettammo, anche se non eravamo sicuri del risultato. Ci consegnò
uno scritto lungo senza neanche un errore di battitura, in cui ragionava di
conflitti, ambiente e giustizia sociale. Il suo cervello, all’età di 93 anni,
era lucidissimo, nonostante la salute incerta. D’altra parte, le sue prime
battaglie da ambientalista le aveva combattute insieme a personaggi del calibro
di Antonio Cederna e Laura Conti. “II professor Giorgio Nebbia è stato per
molti decenni il crocevia di lotte ma anche di proposte, di studi ma anche di
applicazioni - lo racconta così la giornalista Marinella Correggia sul manifesto,
il quotidiano con cui più ha collaborato - Generoso, gentile e privo di
narcisismo, si è messo a disposizione non solo di lotte di carattere nazionale
e mondiale, ma anche di una miriade di associazioni, comitati e cause minori”.
Da ragazzo si era laureato in Chimica e
divenne prima assistente all’università di Bologna, poi nel ‘59 professore
ordinario di Merceologia alla facoltà di Economia dell’università di Bari.
Studiò tutta la vita la scienza delle merci, dedicandosi ad approfondimenti
sull’impatto ambientale e l’ecosostenibilità. Nel 1972 partecipò alla
conferenza Onu su “Ambiente e sviluppo” a Stoccolma, nel ‘78 fu tra i promotori
del referendum contro la caccia. Si distinse sempre come scienziato
antinuclearista. Si unì alle mobilitazioni nell’alta valle Bormida, avvelenata
dall’Acna di Cengio e alla fine degli anni ‘80 si battè contro lo scarico in
Adriatico dei fanghi al fosforo del petrolchimic di Porto Marghera. Intanto
“sfornava” numerosi libri, fra i quali L’energia solare e le sue applicazioni
(Feltrinelli, 1966), Il problema dell’acqua (Cacucci Editore, 1969), La società
dei rifiuti (Edipuglia, 1990), Lo sviluppo sostenibile (Edizioni Cultura della
pace, 1991), La violenza delle merci (Ecoistituto del Veneto, 1999). Da
parlamentare per due legislature (dall’83 al ‘92), eletto fra le fila degli
“indipendenti di sinistra”, si impegnò su diversi fronti: la legge per la
difesa del suolo varata in quegli anni, l’inquinamento da concimi, pesticidi,
detersivi e la sicurezza nelle fabbriche. Nel ‘95, dopo aver scritto centinaia
di articoli per quotidiani come “Il Giorno”, “Il Messaggero”, “L’Unità”, “il
manifesto”, divenne professore emerito e ottenne le lauree honoris causa in
Scienze economiche e sociali dall’università del Molise e in Economia e commercio
dagli atenei di Bari e Foggia. A noi piace ricordarlo con le parole della sua
ultima intervista. “La soluzione va cercata nella lezione fondamentale
dell’ecologia: da nessun altro corpo celeste, eccetto la Terra, possiamo trarre
le cose necessarie per la vita, anche per quella tecnologica degli umani, in
nessun altro posto nello spazio possiamo mettere i nostri rifiuti. Viviamo,
insomma, sulla Terra come gli astronauti in una navicella spaziale grande,
ricca dì foreste, acque, animali, minerali, ma di dimensioni limitate”.
—Nuova ecologia, settembre 2019
***
Giorgio
Nebbia, profeta dell’ambiente
Mario Salomone
Si è spenta una grande voce della cultura ambientale
italiana. Ma resta viva nei suoi scritti e anche in una videointervista.
All’età di 93 anni, il 3 luglio 2019, si è spento Giorgio Nebbia, uno dei padri
dell’ambientalismo italiano, suscitando il cordoglio di tutta la comunità
impegnata nella critica a un modello di sviluppo che ha apportato gravi danni
tato agli esseri umani quanto al pianeta. Collaboratore da sempre anche di
“.eco”, era autore di migliaia di articoli su giornali e periodici e di molti
libri. Per la nostra rivista aveva scritto tra l’altro “Erano andati a sciare”,
un volume di dodici suoi racconti scientifici, caratterizzati, come sempre, da
uno stile efficace e agile.
Ci ha lasciato
Giorgio Nebbia, uno dei padri e delle grandi voci della cultura ambientale
italiana. Qualche mese fa il peggioramento delle sue condizioni di salute, come
mi aveva detto, lo aveva costretto a interrompere la sua collaborazione
settimanale, e altrettanto aveva dovuto fare con l’Extraterrestre, il bel
supplemento ecologista del quotidiano “Il Manifesto”. I suoi “racconti” restano
sul nostro sito (rivistaeco.it) nella rubrica Tecnica&Ecologia, percorrendo,
dall’antichità ai giorni nostri, la storia avventurosa di scienza e tecnologia,
con le sue grandi scoperte, ma anche con i suoi grandi problemi sociali e
ambientali. Così come ci resta il volume Erano andati a sciare, che in suo
ricordo abbiamo reso disponibile gratuitamente sulla piattaforma unica di
accesso a tutte le nostre pubblicazioni e resta la sua voce, nella
videointervista che gli avevamo fatto in occasione della presentazione del
numero 18/2016 di Culture della sostenibilità dedicato a “Teorie e pratiche
dell’Antropocene” e che potete trovare sul nostro canale YouTube. Giorgio
infatti aveva scritto per noi “L’uomo come modificatore della Terra” come
saggio introduttivo del fascicolo. In Erano andati a sciare aveva raccolto
dodici racconti inediti, che percorrono la storia della scienza e della
tecnologia nella Rivoluzione industriale (il periodo che ormai molti chiamano
Antropocene) dai primordi a quella terribile svolta (imposta dalla necessità di
arrivare prima di Hitler) che è la scoperta di come scatenare l’immensa potenza
della fissione nucleare. Collaboratore da sempre della nostra rivista, anche
con i suoi articoli sull’edizione cartacea, Giorgio Nebbia generosamente non si
è mai risparmiato e ha messo la sua intelligenza e la sua penna al servizio di
decine di testate e di imprese culturali. Grazie Giorgio: in moltissimi ti
hanno pianto e ricordato e tutti ti sono grati e non ti dimenticheranno, perché
a tutti hai dato molto.
—Eco, settembre
2019
***
Addio a Giorgio Nebbia profeta dell’ambiente
Ugo Leone
“Dalla cultura ecologica – scriveva Giorgio Nebbia –
trarrebbero stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli
economisti dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso,
ecologico, appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso
l’ambiente naturale abitato dall’uomo”. Il messaggio del grande ambientalista
scomparso ai suoi eredi: ritrovare il senso vero dell’ecologia, contro il
dilagare del “greenwashing”.
Dopo Gilberto
Marselli è toccato a Giorgio Nebbia lasciare un vuoto nella cultura che sarebbe
riduttivo definire genericamente ambientalista. Lo dico perché me lo consente
l’antica amicizia che ci legava da oltre cinquant’anni. Ci conoscemmo a Napoli
alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso negli studi RAI per partecipare
ad un programma televisivo sull’acqua condotto da Aldo Falivena. Per me la cosa
sorprendente fu, tra l’altro, che Giorgio se ne stava come me tra il pubblico,
non fu invitato ad intervenire e nulla disse, pur avendo molto da dire
sull’acqua (e non solo). Poi, da quando nel 1971 andai ad insegnare Geografia
all’Università di Lecce, ebbi più volte l’occasione di approfittare di quella
amicizia: prima con qualche conferenza nell’Università di Lecce, poi per la partecipazione,
nel 1973, al primo dei tre convegni sulla “salvaguardia dell’ambiente nel
Mezzogiorno” che negli anni Settanta organizzai presso quella Università. Con
Nebbia c’erano, Lucio Gambi, Pietro Dohrn, Marcello Vittorini, Francesco
Compagna. Insomma, un bel parterre…
Il PIL indicatore negativo della qualità
ambientale: il paradosso di Nauru
L’ecologia entrò
in Parlamento e ci fu perfino un breve “Ministero dell’ecologia”, ben presto
soppresso; solo dopo vari anni sarebbe stato istituito un ministero ma questa
volta “dell’ambiente”.
La relazione di
Giorgio era su “Compatibilità fra ambiente e sviluppo con speciale riguardo ai
problemi del Mezzogiorno”. Cominciò spiegando perché il PIL fosse da intendere
come “indicatore positivo di un certo tipo di sviluppo economico, ma un
indicatore negativo della qualità ambientale”. E per farlo raccontò, tra
l’altro, il paradosso dell’isola di Nauru, in Oceania, dove una piccola
comunità di seimila abitanti godeva di un reddito pro-capite superiore a quello
degli statunitensi. Ciò perché l’isola di Nauru era un enorme giacimento di
minerali fosfatici che i Nauriani esportavano ricavando lauti guadagni. Così
facendo, però, i Nauriani vendevano pezzo pezzo il loro territorio, cioè il
loro capitale, col risultato, una volta venduta tutta l’isola, di doversi
trasferire altrove dal momento che il loro reddito era stato ottenuto “a spese
della loro stessa casa, del loro stesso territorio”.
La
mancanza di scelte alternative. Che fine ha fatto l’ecologia?
Da questo
paradosso Nebbia ricavava che se il PIL è un indice di progresso tale che il
suo aumento è accompagnato da una degradazione del territorio, da un
inquinamento dell’ambiente, da un impoverimento e peggioramento delle risorse
che dobbiamo gestire per conto anche delle generazioni future, “è un indice
sbagliato”. Su questo siamo sempre in più a concordare, ma la discussione è
rimasta esercitazione verbale, non anche oggetto di scelte alternative del modo
di crescere senza compromettere la qualità e l’integrità dell’ambiente. Tanto
da indurre Nebbia a chiedersi cinquant’anni dopo (La Gazzetta del Mezzogiorno,
martedì 19 gennaio 2016) “Che fine ha fatto l’ecologia?”. Fu solo con la
“generazione del Sessantotto” che fu individuata nell’ecologia la bandiera di
una contestazione della società dei consumi e del relativo inquinamento, della
congestione delle megalopoli, dei nuovi veleni. L’apice dell’attenzione per
l’ecologia si ebbe nel 1970 e la nuova parola significò aspirazione a “cose
buone”, pulite. I venditori – osservò Nebbia – non persero tempo ad appiccicare
il nome “ecologia”, ai detersivi, alla benzina, ai tessuti. Diecine di cattedre
universitarie cambiarono nome e presero il nome di “ecologia”.
Il messaggio di Giorgio Nebbia
Ben
presto il potere economico riconobbe che questa gran passione per l’ecologia li
costringeva a cambiare i cicli produttivi, a depurare i rifiuti, e a guadagnare
di meno e l’attenzione per l’ecologia declinò presto e comparvero nuovi
aggettivi più accattivanti come “verde”, “sostenibile” e, più recentemente
“biologico”, da associare al nome di prodotti commerciali da indicare come
“buoni”. “Io spero – concludeva Nebbia in una sorta di messaggio ai suoi eredi
– che gli ecologi, quelli veri, ritrovino la passione di far conoscere ad alta
voce il contenuto e gli avvertimenti della loro disciplina la cui conoscenza,
soltanto, offre le ricette per rallentare i guasti ambientali, a cominciare
dagli inarrestabili mutamenti climatici. Dalla cultura ecologica trarrebbero
stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli economisti dal
momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso, ecologico,
appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso l’ambiente
naturale abitato dall’uomo.”
—Eco, settembre 2019
***
Addio
a Giorgio Nebbia, il nostro prestigioso extraterrestre
L’Extraterrestre
Giorgio Nebbia e
l’ExtraTerrestre si stavano simpatici. Molto simpatici. Ogni giovedì, con il
giornale in mano, ci telefonava sempre per complimentarsi: «Che bello, bravi!
Anche questo numero mi sembra buono». Ci teneva a questa strana creatura, un
entusiasmo da farci arrossire. Era un maestro. Poi ci spiegava cosa avrebbe
voluto scrivere per il prossimo numero ma soprattutto ci chiedeva cosa avremmo
voluto che scrivesse. Aveva anche una rubrica fissa molto seguita -
Naturalmente! - ed era sempre il primo ad inviarci il pezzo. Scriveva anche
quando stava male, preciso e puntuale. Poi, qualche mese fa, quando le sue
condizioni di salute andavano peggiorando, la mail di commiato all’ExtraTerrestre:
«Mi dispiace molto rinunciare a quest’appuntamento settimanale ma ogni riga mi
costa fatica». Per Et è stata la perdita di una colonna.
La sua erudizione ambientalista era
stupefacente, sapeva tutto di risorse naturali, energia, materiali, insomma di tutte
«le cose» (le merci) che hanno a che fare con la vita. Ci ha insegnato molte
cose. E anche i lettori hanno imparato molto dalle sue gradevoli lezioni. Ciao
Giorgio, e che la terra ti sia davvero lieve. Naturalmente!
—L’Extraterrestre, 4 luglio 2019
***
Giorgio
Nebbia e l’elogio dell’acacia (con le spine)
Teodoro
Margarita
Questo pianeta ha
necessità di giovani come Greta Thunberg. Esse non possono venire al mondo
senza il sostrato ineludibile costituito dagli studi, dalle fatiche puntuali,
dalla passione che permea tutta una vita di ricerche che uomini come Giorgio
Nebbia hanno condotto. Entusiasmo che contagia, capacità comunicativa, essere
un vulcano moltiplicatore delle buone teorie ed idee che a dismisura divulgate
possono scatenare movimenti, è la chiave per aggregare e mobilitare, suscitare
quel lievito di vita che invoca e può imporre il cambiamento. Giorgio Nebbia in
Italia, con Laura Conti, Robert Dumont in Francia, Robert Jungk in Germania,
Barry Commoner negli Usa, sono solo alcuni degli scienziati che hanno
profondamente smosso il mondo intellettuale ed hanno saputo conquistare per le
scienze dell’ecologia un posto di preminenza.
A sua volta,
Giorgio Nebbia, si sentiva debitore e parte del contributo di questa nuova
koinè internazionale di studiosi che nell’ecologia hanno visto la chiave di
svolta per arrestare la catastrofe ambientale, climatica, planetaria,
imminente. Ha scritto pagine forti contro quella che definiva «l’ecologia delle
contesse», quell’ecologismo da salotto o da pochi presunti illuminati che non
sanno cogliere il nesso tra l’impatto anche immediatamente doloroso nella vita
degli uomini, degli operai, di noi tutti in quanto consumatori, e quanto sta
sconvolgendo con l’immissione di nuove sostanze chimiche cancerogene o comunque
pericolose nel nostro cibo, in quello che mangiamo e che respiriamo ogni
giorno. Gli sono grato, in modo particolare, per avere ricordato, nella sua
rubrica Naturalmente!, Dario Paccino. E’ stato il punto di riferimento di
un’area antinucleare ed antimperialista importante in questo paese, quell’area
che ha lottato duramente contro la centrale nucleare di Montalto di Castro, che
si è battuta contro l’insediamento dei missili a Comiso.
Gli sono grato
per un articolo da tenere a mente, un contributo monografico sulle virtù
dell’acacia. Se per gli ecologisti da salotto l’acacia è un’essenza «aliena»,
una infestante da eradicare in quanto non autoctona, Giorgio Nebbia ne ha
scritto un’apologia che sentiamo di condividere. Quale sarebbe l’alternativa,
su quei terreni abbandonati, attraversati dagli incendi, franati, se non
giungessero i semi fertilissimi di questa leguminosa miracolosa? Quanto
costerebbe il doveroso rimboschimento? Le acacie, quelle robinie tanto care al
Re di Francia ed al suo giardiniere, Jean Robin, e predilette dal nostro
Alessandro Manzoni, hanno il pregio di essere , appunto, delle leguminose,
quindi di fissare l’azoto nel terreno, di crescere rapidamente, di costituire
un mantello vegetale necessario e quindi franare ulteriore erosione, erosione
che è colpevole di frane e smottamenti. Giorgio Nebbia ne esaltava tutte queste
virtù non trascurando i fiori altamente melliferi, il legname, ottimo per
innumerevoli usi. Concludeva, e sorridiamo, che «hanno le spine», e meno male,
caro Giorgio, le «contesse ecologiste da salotto» detto senza acrimonia, anzi
debbono pur pungersi, e lasciare il posto alle giovani e combattive come Greta
Thunberg. Che la terra ti sia lieve, caro Giorgio, vecchia quercia, hai difeso
e permesso anche la nascita del nostro pensiero radicale e combattivo nel
Fronte degli Orti, te ne siamo grati.
—Il Manifesto, 11
luglio 2019
***
Nebbia,
il «merceologo» maestro di vita e di movimento
Giuseppe
Onufrio
Se in Italia una
forte componente dell’ambientalismo ha avuto e ha una base nella cultura
scientifica lo si deve anche a Giorgio Nebbia. È stato tra i primissimi a
introdurre l’analisi del ciclo delle merci, con una particolare attenzione alla
quantificazione e qualificazione degli effetti ambientali, in qualche modo antesignana
della moderna Life Cycle Analysis.
Con la precisione
del chimico riusciva a dissezionare in modo analitico i temi senza mai perdere
però una capacità di lettura complessiva, storica e culturale, che ha sempre
contrassegnato la sua cifra.
Era parte del
nucleo storico dell’ambientalismo e per me, giovane studente in fisica, fu
davvero un incontro importante.
Era l’aprile del
1977: mentre a Bologna il mouvement discuteva le tesi di Toni Negri su
Stato e rivoluzione, ci riunivamo a Verona per discutere di nucleare e energie
alternative. Con Gianni Mattioli, Massimo Scalia e altri, anche Giorgio Nebbia
era coinvolto nella strutturazione del movimento antinucleare, nato in Italia
come altrove su impulso anche di personalità del mondo scientifico.
Nel 1981 a
Bologna, dove studiavo, con il Comitato per il controllo delle scelte
energetiche riuscii a organizzare un convegno contro il nucleare assieme alla
Flm. Fu un momento importante: questa combinazione tra una organizzazione
antinucleare e il sindacato dei metalmeccanici aveva attirato l’attenzione di
Giorgio Bocca e grazie anche all’abilità di Marcello Stecco responsabile stampa
del sindacato che scrisse, per la prima volta, un ampio articolo una pagina su
la Repubblica dando spazio alle tesi antinucleari espresse da esponenti della
comunità scientifica. Certamente l’intervento di Giorgio Nebbia, assieme a
quelli di Mattioli, Scalia e De Santis avevano colpito per la forza e la base
scientifica degli argomenti.
Così pochi anni
dopo, nell’affrontare la tesi di laurea sugli effetti ambientali e sanitari del
carbone, gli chiesi di poter essere seguito per una parte merceologica del
lavoro, mentre per quelli specificamente fisici il relatore era Enzo De Santis,
che ci ha lasciato qualche anno fa.
Era il modo migliore, scrivere una tesi,
per poterlo frequentare e «usarne» le competenze e, dunque, per imparare
qualcosa. Già: non sono tante le persone da cui davvero si impara qualcosa
nella vita e, per me, Giorgio Nebbia è stato tra questi pochi. Come capita, ci
siamo poi persi di vista e sentiti pochissimo. L’ultima volta un anno fa:
ringraziandolo per la bella recensione del libro su Greenpeace Italia
pubblicata in queste pagine aggiungevo due righe per ricordargli quel periodo
della tesi e come abbia influito sulla mia formazione. Questo, per fortuna,
gliel’ho potuto scrivere, ricevendo una risposta altrettanto affettuosa. Ciao
Giorgio.
—Il Manifesto, 4 luglio 2019
***
Giorgio
Nebbia, ha coniugato il marxismo con l’ecologia
Tonino Perna
Giorgio Nebbia è
stato insieme a Laura Conti il fondatore della scienza ecologica in Italia. È
inutile pensare di racchiudere in poche righe il grande contributo che ha dato
sul piano scientifico e politico al nostro paese, ma vorrei sottolineare la sua
capacità di coniugare il marxismo con lecologia che è quello che oggi ci manca
per far ripartire una sinistra allaltezza delle sfide del nostro tempo.
Ho avuto il
piacere e l’onore di conoscere Giorgio Nebbia nella sua casa romana nel lontano
ottobre del 1983.
Mi aveva chiesto
di andare a casa sua perché aveva beccato una brutta influenza e mi ricevette
con grande cordialità che mi imbarazzava: io ero un ricercatore di sociologia
economica alle prime armi e lui già affermato docente universitario e padre
della merceologia «critica», una disciplina che grazie al suo contributo usciva
allora dalle secche di una sorta di toponomastica delle merci.
Curò con grande
generosità la preziosa postfazione al mio volume Mercanti, Imprenditori,
Consumatori: dipendenza e questione alimentare ( F. Angeli 1984) e poi mi
mise in contatto diretto con Giovanna Ricoveri, sua grande amica e compagna di
viaggio in quella entusiasmante avventura della rivista Capitalismo, Natura,
Socialismo che ha dato una grande contributo di analisi e proposte per uscire da
questo modello di sviluppo capitalistico distruttivo di risorse umane e
ambientali.
Ci mancherei
tanto Giorgio ma il tuo grande lavoro non andrà perduto e la sensibilità
ambientale delle nuove generazioni lo stanno dimostrando in questi ultimi
tempi.
Grazie per tutto
quello che hai fatto.
—Il Manifesto, 4
luglio 2019
***
L’insegnamento
dubbioso di Giorgio Nebbia
Guglielmo Ragozzino
Il compianto Giorgio Nebbia ha studiato a lungo la
natura delle merci e il loro impatto sulla Terra, in un dibattito costante tra
malthusiani e cornucopia che riguarda ancora il nostro futuro prossimo.
“Gli autori delle
indagini sul futuro si possono dividere sostanzialmente in due grandi gruppi. I
malthusiani, il cui capostipite è stato Malthus, sostengono che il pianeta
Terra non riesce, per quanti sforzi tecnici si facciano, a fornire le risorse
naturali da cui trarre cibo, acqua, energia, carta, eccetera – in quantità
crescente, adeguata al prevedibile continuo aumento della popolazione
mondiale”. Il passo che precede, naturalmente di Giorgio Nebbia, che ci ha
lasciato nel mese scorso, non trascura, brevemente, gli aspetti nuovi,
intervenuti negli ultimi due secoli: “Malthus allora non lo poteva sapere”. E
prosegue: “I cornucopiani, pronipoti di Condorcet e Goodwin, gli autori con cui
se la prende Malthus nel suo saggio, sono invece convinti che adeguate
strutture politiche e invenzioni siano in grado di rendere disponibile
crescenti quantità di beni per una crescente popolazione terrestre a cui è
riservato un futuro di abbondanza e di benessere”.
Il futuro di cui
si occupa Nebbia è quello del 2025 (si chiama infatti “Duemilaventicinque”,
sesto capitolo di “Le merci e i valori Per una critica ecologica al
capitalismo” Jaka Book alce nero 2002, il testo che abbiamo saccheggiato); è
futuro anche per noi, anche se molto prossimo.
Nebbia scriveva
all’inizio di questo secolo; per giocare alla pari, possiamo trasporre al 2040
le sue indicazioni, accompagnate, secondo il suo stile, da molte cifre e molti
fatti. Le cifre in realtà cambiano solo nelle virgole. I fatti concreti sono
solidi ancora oggi, accompagnati com’erano da studio, approfondimento, buon
senso, tolleranza. Nebbia è sicuro di quanto sostiene: ha studiato a fondo, ha
discusso, ha provato. Però non mette alla berlina chi la pensa diveramente. In
molte occasioni della sua operosa vita si è trovato di fronte un diverso
parere; nella controversa questione nucleare con i suoi quasi compagni di
partito del Pci (Nebbia era stato eletto parlamentare della “Sinistra
indipendente” nel 1983 alla Camera e nel 1987 al Senato); nei contrasti tra
popolazione e lavoro, nei conflitti sulle merci, prima e dopo essere prodotte,
prima e dopo essere usate. Il Dizionario tecnico- ecologico delle merci (Jaca
Book-Fondazione Luigi Micheletti) è uno strumento senza uguali, con un
centinaio di voci, da Acciaio a Zucchero. Ecco l’inizio della voce “Detersivi”:
“Un filosofo ed economista dell’Ottocento, Karl Marx, scrisse che nella sua (e
nostra attuale) società esiste la finzione giuridica che ogni cittadino abbia
una conoscenza enciclopedica delle merci. Le etichette dei preparati per lavare
offrono un esempio di come i cittadini siano tenuti all’oscuro delle merci, la
cui ipotetica conoscenza è davvero una fictio juris. La lettura di tali
etichette, infatti, non fornisce alcuna informazione non solo su quello che il
preparato contiene, ma ancor meno sull’effetto inquinante di ciascuno”.
Nella lunga e
affettuosa intervista di Pier Paolo Poggio a Giorgio Nebbia (contenuta in Il
caso italiano – Industria, chimica e ambiente, Jaca Book 2012, pp. 359-372)
risalta la netta preferenza di Nebbia per Malthus. Però è ribadita la sua
scelta costante, come anche il suo forte impegno di ascoltare e cercare di
capire, sempre, Condorcet, Goodwin e i loro distinti seguaci.
Nebbia è deciso e
tollerante in un tempo: ha letto e studiato a fondo la questione particolare –
per esempio l’energia nucleare – e sa come stanno le cose, assicura. Però la
scienza e la storia insegnano che si può sempre sbagliare e in qualche modo,
più in là nel tempo, risultare che avessero ragione loro; o quasi. Conta
soprattutto studiare (e insegnare), riflettere e agire. Nebbia si occupa a
lungo di acqua.
Lo fa con l’aiuto
di Gabriella, sua moglie. Non si accontenta di imparare e spiegare ogni aspetto;
capisce che il problema principale è la rarità dell’acqua ”dolce” e studia il
modo di moltiplicarla con la dissalazione, attuata servendosi di energia a poco
prezzo come quella del sole o del mare stesso.
Il racconto
autobiografico di Nebbia a Poggio (e a noi lettori, sorpresi e ammirati) parte
proprio dalla scuola: studente d’ingegneria nella natale Bologna, è ben presto
dirottato nella chimica. Il suo chimico- professore, Walter Ciusa, lo indirizza
verso una branca semi trascurata dai maggiori docenti e marginale per gli studi
e i fasti accademici di chimica ed economia. Nebbia insegnerà così a Bari
“merceologia” per molti decenni, salvo un periodo di nove anni, per due mandati
parlamentari.
Lo studio è la
“merceologia”, intesa però come conoscenza delle materie e non tanto riguardo
al valore di scambio, o di mercato, delle merci. Lo studio delle merci ha due
conseguenze nell’università di Nebbia: da un lato riesce per qualche anno a
studiare e insegnare i valori d’uso delle merci, dall’altro a spiegare il
“dopo”. Cosa avviene di tutta la natura che costituisce la base necessaria e
poi lo scarto della produzione – agricola, industriale – delle merci? Le
conseguenze, per riassumere, sono di acqua velenosa, suolo compromesso, residui
inutili, gas mefitico. Tutto questo rientra, o per dirla in una parola, inquina
irrimediabilmente la natura di prima. Inoltre quando la merce ha compiuto il
suo ciclo, cosa avviene di essa? La natura – terra, acqua, aria – servirà
ancora, senza rimedio, da discarica. Le merci consumate avranno ancora una
volta l’effetto di sporcare tutto.
Per imparare, per
insegnare tutto questo andirivieni delle merci non basta fare lezioni – anni e
anni di lezioni – dalla cattedra di Bari-merceologia. Occorre leggere,
imparare, scrivere dove capita, dove qualcuno inviti un pensatore gentile e
irriducibile, serve fare campagne, comizi, inventare soluzioni, perfino farsi
eleggere deputato e senatore, con i voti del partito comunista che per una
buona metà è cornucopiano”, seguace di Condorcet e di Goodwin, sia pure senza
saperlo e comunque contrario al reverendo Malthus.
Una specie di conciliazione finale tra
Malthus e gli antagonisti la si trova in un recente scritto di Nebbia, nel
fascicolo “Terra” 44/2010 di Parolechiave. Gli tocca il compito di scrivere
“Ricchezze della terra” e comincia così: “I circa settemila milioni di persone
esistenti sulla Terra possono ‘vivere’, cioè mangiare, scaldarsi, muoversi,
comunicare, soltanto disponendo di beni materiali che possono essere tratti
soltanto dalla Terra. Anche i beni apparentemente immateriali dipendono in gran
parte da cose materiali; non è possibile avere felicità, dignità, libertà, se
manca il cibo, l’acqua, un rifugio per la famiglia; non è possibile avere
salute se non si dispone di acqua potabile, di gabinetti, di fognature, di
servizi sanitari…. I beni materiali tratti dalla Terra sono dotati di utilità,
di valore d’uso, indipendentemente dal modo in cui sono ottenuti, se in cambio
di denaro o gratis; nello stesso tempo chi acquista materiali dalla Terra
inevitabilmente è costretto, prima o poi, in una forma o nell’altra, a
restituire alla terra quello che le ha sottratto”.
—Sbilanciamoci, 18 luglio 2019
***
Addio
Giorgio Nebbia, maestro dell'ecologia
Edo
Ronchi
Ho
conosciuto Giorgio Nebbia nel 1983: ero un giovane parlamentare trentenne e lui pure
deputato ma già professore e noto ambientalista cinquantenne. Ora che è
morto, ai primi di luglio a 93 anni, mi
vengono in mente tanti ricordi: le prime discussioni sull’energia nucleare,
quelle più tardi sulla bonifica dell’ACNA di Cengio, i suoi puntuali commenti
alle varie edizioni dell’Italia del Riciclo e tanti altri.
Giorgio
non era mai generico e superficiale, era sempre aggiornato e competente, ma mai
presuntuoso. Io che mi ero accostato a lui come a un maestro, mi sono trovato
subito a mio agio, con una persona che, negli anni, è sempre stata cortese e
disponibile, specie quando, su qualche specifica questione, non ero in sintonia
con lui.
Il
contributo culturale della sua laboriosa e lunga attività spero sia più
conosciuto e valorizzato. So che, in buona parte, è raccolto presso il Centro
di storia dell’ambiente della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia. Vorrei,
in suo ricordo, richiamare quello che ritengo fra i suoi più importanti
contributi, non sempre compreso appieno nella sua portata: quello relativo al
ruolo delle merci sia nella insostenibilità ecologica, sia nel cambiamento
verso la sostenibilità .
Nei
modelli di economia circolare ha grande rilievo la responsabilità estesa del
produttore che coinvolge l’intero ciclo di vita del prodotto. Giorgio Nebbia
partiva dal prodotto-merce e proponeva di ricostruire tutta la filiera
coinvolgendo il produttore, ma anche il consumatore.
La
battaglia contro l’inquinamento chimico di una certa agricoltura che aveva
portato alla “Primavera silenziosa” nei campi era più efficace se si partiva
dai residui chimici pericolosi per la salute che lasciava negli alimenti
venduti ai supermercati, per fare un esempio.
Oppure per
affrontare il problema della gestione di una massa crescente di rifiuti - altro
tema caro a Giorgio Nebbia- non si potevano ignorare i modelli del consumismo
delle merci che li generano. Giorgio è stato fra i primi a proporre l’ecodesign
delle merci: di progettare i prodotti per il mercato in modo che generassero
meno rifiuti, che fossero di lunga durata, riparabili e interamente
riciclabili.
Come
studioso delle merci sottolineava il peso del mercato, delle logiche economiche
capitalistiche e di breve termine che lo determinano, nel definire caratteristiche
di prodotti e di processi produttivi che generano insostenibilità ecologica.
Individuato il problema si è già sulla buona strada per la soluzione che sta in
modelli ormai affermati di economia mista - di mercato ma con significativo
ruolo pubblico - di economia di mercato regolata in modo sostenibile, di
meccanismi fiscali utilizzati per internalizzare costi e benefici non
pienamente riconosciuti dal mercato e via dicendo.
Attenzione
però che queste soluzioni non sono nate dal conformismo del pensiero economico
tradizionale, ma, invece, proprio da quello critico, oltre che dalle esperienze
di tanti fallimenti ambientali del mercato.
I portatori di pensiero critico come
Giorgio Nebbia sono sempre percepiti come spigolosi, raramente sono comodi,
spesso sono in dissenso radicale e minoritario. Anche per questo gli sono
riconoscente: ben seminato caro Giorgio.
—The Huffington Post, 19 luglio 2019
***
La pubblicazione di questo necrologio è stata possibile anche
per l’impegno di Tommaso Luzzati, professore dell’Università di Pisa ed editor della rivista
scientifica EcologicalEconomics, che si
ringrazia.
Giorgio Nebbia (1926–2019)
Franco
Ruzzenenti
Giorgio Nebbia fu
tra i primi e più importanti ambientalisti italiani, anche se nel suo modo
particolare ed eterodosso. Marxista e cattolico, tra il 1983 e il 1992 è stato
membro del parlamento per la sinistra indipendente, e come figura politica ha
cercato di infondere il pensiero ecologico nei partiti di sinistra, a quel
tempo così votati allo sviluppo e alla crescita.
Pur non essendo
un membro del Club di Roma, ha combattuto, intellettualmente e politicamente,
per diffondere il concetto di limiti alla crescita e ha iniziato a pubblicare
già negli anni '60 sul potenziale conflitto tra uomo e natura nel dominio della
tecnologia, la tecnosfera, come la chiamava Giorgio, e dei processi ecologici,
la biosfera. Ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca di un terreno teorico e
politico per conciliare l'economia con l'ecologia, nel quadro di una società
più giusta ed equa e con un'attenzione particolare al ruolo della classe
operaia in questa tensione.
La giustizia
sociale e la riconciliazione ecologica non erano separabili nel pensiero e
nell'attivismo di Giorgio. Questa apparente contraddizione, che sta diventando
sempre più imminente oggi, è uno dei suoi principali lasciti morali. Ai tempi
della fine della storia, quando il conflitto sociale sembrava andarsi placando
o almeno diventare meno evidente e l'imminente crisi ambientale attirava
l'attenzione nel dibattito pubblico, non si è mai arreso all'idea che il
capitalismo alla fine avesse trionfato e sradicato la povertà per sempre, in
Occidente e nel resto del mondo. Previde il problema della riduzione della
povertà senza combustibili fossili (Nebbia,
2001).
Giorgio Nebbia fu
anche un grande scienziato e un precursore dell'incrocio tra scienze sociali e
scienze forti. Chimico per formazione, nel 1959 Nebbia divenne professore alla
Facoltà di Economia dell'Università di Bariin merceologia, una parola italiana
che difficilmente poteva essere tradotta in inglese (commoditology) , una vecchia disciplina (Warenkunde, in tedesco) che studia la produzione, le
caratteristiche e l’uso dei beni con un approccio scientifico. Durante tutta la
sua carriera accademica ha perseguito l'obiettivo di applicare le leggi fisiche
allo studio dell'economia e ha gettato le basi per una solida contabilità
fisica dell'analisi economica intersettoriale in un momento in cui questo
approccio era nuovo (Physical Input Output Tables, o PIOT).
Come molti
scienziati della sua generazione, il suo lavoro e la sua reputazione erano
principalmente confinati nel contesto italiano e solo poche pubblicazioni sono
disponibili in inglese. Tuttavia, molti studiosi internazionali hanno
riconosciuto il suo lavoro fondamentale come uno dei primi studi sulle tabelle
degliinpute deglioutput fisici (Giljum
and Hubacek, 2001; Hoekstra
and Van Den Bergh, 2002; Allenby,
2002). Il suo primo e unico studio sui flussi
di massa globali dell'economia italiana elaborati nel 1995 ha la caratteristica
peculiare, forse unica, di incorporare il sistema economico all'interno del
sistema biofisico (Nebbia,
2000). Nelle sue tabelle, una voce denominata
“Natura” è concepita per bilanciare tutti i flussi di materiale attraverso la
matrice economica al fine di soddisfare la legge della conservazione e
riflettere l'assunzione e lo smaltimento, da e verso l'ecosistema ospitante.
Nonostante sia stato scritto in italiano, questo lavoro è ampiamente citato
nella letteratura scientifica e un recente progetto internazionale volto a
stimare le tabelle di input-output fisici globali ha dato un riconoscimento al
suo contributo (Merciai
and Schmidt, 2018).
La perseveranza e
la coerenza con cui ha sostenuto la causa ambientale, nonché il rigore
scientifico con cui lo ha fatto, sono il suo più grande lascito. In omaggio a
lui in occasione del suo 90 ° compleanno, il 10 maggio 2016, si è tenuta una
conferenza sulla sua eredità al Senato italiano a Roma. L’evento è stato
pubblicato (in italiano) dalla Fondazione Micheletti (Andria
et al., 2016), una fondazione che rende disponibili sul
suo sito web molti articoli di giornale su questioni ambientali di Nebbia e che
è stato usato per scrivere (vedi http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/).
Il 4 luglio 2019,
all'età di novantatré anni, Giorgio Nebbia è morto a Roma, in Italia. Noi, come
studiosi e come attivisti, siamo grati alla sua lezione, per l'instancabile
motivazione che ci ha mostrato e per l'esempio morale e intellettuale da
seguire sulla strada del cambiamento, verso una società migliore e sostenibile.
Riferimenti
bibliografici:
Allenby,
2002
B. Allenby, Earth systemsengineering and management,IEEETechnol.
Soc. Mag., 19 (4) (2002), pp. 10-24
Andria
et al., 2016
Andria, et al., Per Giorgio: Ecologia e giustizia
sociale,Fondazione Micheletti (2016)
http://www.fondazionemicheletti.eu/italiano/news/dettaglio_news.asp?id=298&pagina=14&filtro=undefined
Giljum
and Hubacek, 2001
S. Giljum, K.
Hubacek, International Trade,
MaterialFlows and Land Use: Developing a PhysicalTrade Balance for the European
Union,(2001)
Hoekstra
and Van DenBergh, 2002
R. Hoekstra, J.C.
Van DenBergh, Structuraldecompositionanalysis
of physicalflows in the economy, Environ. Resour. Econ., 23 (3) (2002), pp.
357-378
Merciai
and Schmidt, 2018
S. Merciai, J.
Schmidt,Methodology for the construction
of global multi-regionalhybridsupply and use tables for the EXIOBASE v3
database,J. Ind. Ecol., 22 (3) (2018), pp. 516-531
Nebbia,
2000
G. Nebbia, Contabilità monetaria e contabilità
ambientale,Economia Pubblica, 6 (2000), pp. 1000-1029
Nebbia,
2001
G. Nebbia, Twentytwenty-five,Futures, 33 (1)
(2001), pp. 43-54
—EcologicalEconomics,
Volume 167, gennaio 2020
***
La buona battaglia. Ricordo di Giorgio Nebbia
Marino
Ruzzenenti
Alcuni incontri
segnano profondamente il nostro percorso esistenziale: per me lo è stato quasi
trent’anni fa, quello, fortunatissimo, con Giorgio Nebbia. La grande storia, il
crollo del muro e del comunismo sovietico, coincideva, sorprendentemente con la
mia piccola vicenda individuale: la conclusione di più di un ventennio di
impegno politico e sindacale, nel movimento studentesco, prima, nel partito
comunista e nella Cgil poi. Si chiudeva una fase di lotte e di profondi
cambiamenti sociali sostenuta da una visione del mondo forte, nitida, quale
sembrava offrirci la cultura marxista. E si chiudeva con il senso angoscioso di
una sconfitta epocale che si stava consumando e con lo smarrimento indotto da
strumenti interpretativi che si intuivano ormai inadeguati.
Era facile
smarrirsi, in quei frangenti; capitò a molti, forse troppi. Ecco, la mia
fortuna fu di incrociare Giorgio Nebbia, che avevo invitato a Brescia a
presentare il suo Sviluppo sostenibile,
da poco edito. Da quel momento Giorgio mi ha accompagnato, con la sua sempre
discreta ma solidissima presenza, fatta di suggerimenti, consigli, stimoli e
illuminanti riflessioni.
La ricerca
storica, che avevo praticato per un certo periodo da giovane, fu il terreno
privilegiato del nostro dialogo, un terreno che mi ha permesso di rielaborare
criticamente e positivamente quel passaggio cruciale della storia
dell’Occidente nel tramonto del “secolo breve”. Scoprii, con piacere, che
Giorgio, di formazione scientifica, chimico, docente di merceologia
all’Università di Bari, considerava la dimensione storica come essenziale e
ineludibile per la stessa ricerca scientifica e per l’innovazione tecnologica,
soprattutto se queste intendono perseguire il bene dell’umanità. Insomma la
dimensione storica come ancoraggio di una critica della Tecnica e delle
“trappole tecnologiche, come amava definirne i tanti inciampi, che pur
contestandone la presunta oggettività, rifuggiva dalle fumisterie filosofiche
(da Heidegger al nostro Severino) di una Tecnica assurta ad una sorta di
divinità, ormai sottratta al controllo degli umani, di fatto assolti perché
“irresponsabili” ed impotenti. La storia era lì a mostrare come il percorso
della scienza e della tecnologia, quindi delle merci e della tecnosfera
sovrapposta alla biosfera, ha visto e vede protagonisti gli uomini, con le loro
curiosità ed intelligenze, ma anche con progetti sociali, meccanismi di potere
e con la distruttività che sanno esprimere. La sintonia con un autore che ha
testardamente cercato di far conoscere, Lewis Mumford (1895-1990), nasceva
proprio da questa visione della tecnica, allo stesso tempo fortemente critica,
ma anche fiduciosa: come Mumford pensava che all’attuale era paleotecnica,
caratterizzata dalla megamacchina alimentata dai fossili e distruttiva
dell’ambiente, potesse e dovesse seguire un’era neotecnica, “meno violenta, più
equilibrata, più rispettosa degli esseri umani e delle risorse naturali”. E
Giorgio è stato un maestro impareggiabile nell’esaltare i risultati
straordinari del percorso della tecnica, ma anche nello scovarne la faccia
“nera”, spesso occultata, la “violenza delle merci” verso gli umani e verso la
natura. Tra la sua produzione sterminata suggerirei una breve lettura che è in
grado più di ogni parola di restituire questa visione della tecnica: la storia
della sintesi dell’ammoniaca (http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/sm-3036-haber-la-sintesi-dellammoniaca-2009/). Un italiano di cultura media sa che nel 1914 scoppiò la prima
guerra mondiale, ma probabilmente ignora che l’anno prima si era verificato un
evento altrettanto importante per il futuro dell’umanità, la produzione
industriale dell’ammoniaca sintetica, e dunque dei concimi azotati che, insieme
alla meccanizzazione, saranno alla base della cosiddetta “rivoluzione verde”,
ovvero della moderna agricoltura, con la conseguente crescita imponente della
popolazione mondiale, ma anche con l’esasperazione della dipendenza dai
combustibili fossili, senza contare che la stessa ammoniaca sintetica alimentò
la produzione distruttiva degli esplosivi (la faccia “nera”, “paleotecnica” per
l’appunto). Infatti quella sintesi tra l’azoto atmosferico, in quantità
pressoché illimitate, e l’idrogeno, non presente libero in natura, -spiega
Giorgio- avveniva a partire dalla gassificazione del carbone (o, oggi, del
metano), quei fossili tanto prodigiosi, quanto ai giorni nostri, “maledetti”,
almeno a parole, per le prospettive dell’umanità sul Pianeta. Nella ricostruzione
storica, avvincente come un racconto, e che, come ben si comprende, non è
semplice esercizio di memoria, ma provocazione ad affrontare i problemi del
presente, Nebbia non tralascia un passaggio fulminante sull’ambiguità della
tecnica: l’inventore di quel processo, Fritz Haber, per spirito patriottico con
infinita dedizione al Reich tedesco, fu colui che convinse l’esercito germanico
ad impiegare per la prima volta l’arma chimica, il gas cloro, ad Ypres sul
fronte francese il 22 aprile 1915, con conseguenze letali per migliaia di
sprovveduti fanti. “La moglie di Haber, Clara Immerwahr (1870-1915), una
chimica anche lei, - ricorda Giorgio- cercò di dissuadere il marito dal barbaro
impiego di gas tossici in guerra; quando seppe dell’attacco di Ypres si uccise
con un colpo di pistola”. Il paradosso fu che Haber, ultranazionalista, con la
salita al potere di Hitler, nel 1933, fu emarginato da ogni incarico, perché di
origine ebraica ancorché convertito al cristianesimo, e fu costretto a
rifugiarsi all’estero. Insomma, un esempio illuminante dell’intreccio perverso
e tragico tra tecnica e potere, dove il medesimo scienziato può operare allo
stesso tempo per espandere la vita e per distruggerla.
La storia della
tecnica che Giorgio ci insegnò, aveva innanzitutto il pregio di nobilitare una
disciplina, poco amata in generale, soprattutto dalle nuove generazioni immerse
in una sorta di eterno e inafferrabile presente. I siti industriali inquinati,
con il oro carico di potenziale tossico per i cittadini dei dintorni, erano una
sua costante preoccupazione: ma come affrontarne la “bonifica” -si chiedeva- se
non si ricostruisce con puntiglio la storia di quei siti, le sostanze che vi
sono state impiegate, le trasformazioni che queste hanno subito, le emissioni
scaricate nelle matrici ambientali? Dunque la storia non è solo un esercizio di
rievocazione del passato per soddisfare curiosità conoscitive, ma diventa
utile, persino indispensabile per progettare e realizzare una tecnica di
risanamento efficace. Ma non solo: la storia praticata da Giorgio Nebbia
partiva dalle sue competenze e dai suoi insegnamenti di merceologia, era storia
appunto delle merci e, se vogliamo, del complesso metabolismo dell’attività
tecnologica umana in rapporto all’ambiente. In questa storia, la scienza,
chimica innanzitutto, e la tecnologia, nonché l’economia devono fare i conti
con la biologia e con la geologia, ovvero con le risorse naturali. Le merci
“non si consumano”, avvertiva sempre Giorgio: sono il risultato di
trasformazioni di sostanze ed energia prelevate dalla natura, vengono
impiegate, finché utili, poi gettate sotto forma di rifiuti, come rifiuti sono
le emissioni di gas, o scorie e acque inquinate dai processi produttivi.
Ricomprendere la natura nella storia dell’uomo, quindi nella tecnologia e
nell’economia, fu la chiave offertami da Giorgio per rischiarare il confuso
smarrimento in cui mi trovavo e per rielaborare criticamente il mio trascorso
di impegno sociale e sindacale: concentrati sul miglioramento delle condizioni
salariali e dei diritti dei lavoratori ci sfuggiva del tutto che, accanto alle
contraddizioni sociali che stavamo combattendo con una certa efficacia,
cresceva la contraddizione distruttiva tra l’uomo tecnologico e la natura. Una
nuova prospettiva di ricerca e di impegno si apriva, che comunque non rinnegava
il meglio della precedente stagione. Va ricordato, infatti, che l’attenzione di
Giorgio Nebbia alla questione sociale ha sempre accompagnato l’impegno
ambientalista: anzi, ripeteva sempre che il contenimento del degrado ambientale
andava perseguito, non tanto per mantenere la biosfera che sopravvivrebbe anche
senza l’uomo, ma per consentire a tutti gli umani che abitano il Pianeta una
vita decorosa, cosicché giustizia ambientale e giustizia sociale devono procedere
di pari passo, inscindibili. E il suo impegno militante si è, dunque, espresso
nelle associazioni ambientaliste, come Italia Nostra, ma anche nella Sinistra
indipendente, come parlamentare eletto nelle liste del Partito Comunista, tra
il 1975 e il 1992. E, come cattolico, ha tanto amato sia l’enciclica sociale di
Paolo VI, Populorum progressio, sia
l’enciclica ecologica di papa Francesco, Laudato
Si’.
Col tempo,
quindi, ho avuto la possibilità di conoscere e apprezzare sempre meglio Giorgio
Nebbia.
Nelle ricerche
che Giorgio mi suggeriva, incappai in una notizia che dà conto dei percorsi a
quel tempo del tutto inesplorati della sua ricerca scientifica: siamo negli
anni Cinquanta del secolo scorso, quando il nostro Paese stava intraprendendo
la via nucleare nella ricerca di fonti energetiche diverse da quelle dei
combustibili fossili, carenti nel sottosuolo nazionale. A Milano verso la fine
del 1957, dal 13 al 14 dicembre, si tennero le “Giornate dell’energia nucleare”
ed il 15 la “Giornata dell’energia solare”. Ben 18 relazioni dedicate ai
reattori nucleari e solo tre al solare, tra cui quella di Giorgio Nebbia sui
dissalatori solari dell’acqua marina, che da anni andava sperimentando
all’università di Bari, e su cui aveva già pubblicato un saggio nella rivista
“La chimica e l’industria” del gennaio 1954. Era, quella intuita da Nebbia ben
65 anni fa, la via alternativa ai combustibili fossili ed alla scorciatoia
dell’energia nucleare, via che prefigurava e anticipava uno sviluppo capace di
futuro, come sarebbe stato definito quarant’anni dopo quando la crisi ecologica
apparve a molti evidente. Ma è interessante notare anche il rapporto con il
territorio, la sensibilità sociale del ricercatore che si preoccupa di trovare
soluzioni alla sete di acqua dell’assolata Puglia, soluzioni semplici, poco
costose, gestibili non solo dal cittadino pugliese, ma anche dalle popolazioni
del Sud del mondo. E sempre in omaggio al legame con il territorio nel 1971,
molto prima dell’emergenza dell’inquinamento industriale seguita all’evento
diossina di Seveso nel 1976, Nebbia tiene la relazione introduttiva al convegno
che per la prima volta affronta il tema dell’impatto delle emissioni del grande
complesso siderurgico dell’Ilva di Taranto. Percorsi, dunque, da vero pioniere
nel conteso nazionale che lo portarono nel 1972 a rappresentare la Città del
Vaticano alla prima Conferenza sull’Ambiente convocata dall’Onu a Stoccolma.
Del resto le sue
ricerche del tutto originali sul “metabolismo della produzione delle merci”,
hanno meritatamente riscosso un’attenzione a livello internazionale: “ha gettato le basi per una solida contabilità fisica
dell'analisi economica intersettoriale in un momento in cui questo approccio
era del tutto nuovo (Physical Input Output Tables, Piot) [le Piot sono tabelle simmetriche che mostrano i flussi fisici (per
tutti i materiali o un sottoinsieme di materiali) dall'ambiente o dal resto del
mondo all'economia, quindi all'interno dell'economia e infine dall'economia al
resto del mondo. Ndr]. Come scienziato della sua generazione, il suo lavoro e
la sua reputazione erano principalmente confinati nel contesto italiano e solo
poche pubblicazioni sono disponibili in inglese. Tuttavia, molti studiosi
internazionali hanno riconosciuto il suo lavoro fondamentale come uno dei primi
studi sulle tabelle di input ed output fisici (Giljum e Hubacek, 2001; Hoekstra
e Van Den Bergh, 2002; Allenby, 2002). Il suo primo e unico studio sui flussi
di massa globali dell’economia italiana elaborati nel 1995 ha la caratteristica
peculiare, forse unica, di incorporare il sistema economico all'interno del
sistema biofisico (G. Nebbia, Contabilità monetaria e contabilità
ambientale“Economia Pubblica”, n.6, 2000, pp. 1000-1029). Nelle sue tabelle, una voce denominata
"Natura" è messa a punto per fare il bilancio di tutti i flussi di
materia attraverso la matrice economica al fine di soddisfare la legge sulla
conservazione e ricomprendere il prelievo e lo smaltimento, da e verso
l'ecosistema ospitante. Nonostante sia stato scritto in italiano, questo lavoro
è ampiamente citato nella letteratura scientifica e un recente progetto
internazionale volto a stimare le tabelle di input-output fisici globali ha
compiuto una ricognizione del suo contributo (Merciai e Schmidt, 2018)”. E’
quanto si può leggere in una significativa commemorazione che, grazie alla
sollecitudine del professor Tommaso Luzzati dell’Università di Pisa, è stata pubblicata sulla più importante rivista
internazionale del settore, “Ecological economics”, iniziativa peraltro inusuale
per la stessa rivista, la cui eccezionalità dimostra la stima internazionale di
cui Nebbia gode. (F. Ruzzenenti, Obituary: Giorgio Nebbia (1926–2019). “Ecological economics”, vol. 167,January 2020, 106437).
Con questi
importanti ed innovativi lavori di ricerca alle spalle si comprende come abbia
accolto con favore ed abbia cercato di divulgare le opere di Georgescu Roegen
sulla bioecononia o di Barry Commoner sulla necessità di reinventare una
tecnica ed un’economia che tentassero di chiudere il più possibile il cerchio
dei flussi fisici in entrata ed in uscita nel sistema produttivo sul modello
dei cicli biologici. Così, quando venne nel 1972 pubblicato dal Club di Roma in
Italia la ricerca del Mit, I limiti dello
sviluppo, Nebbia poteva recepirlo semplicemente come una ulteriore conferma
delle sue ricerche e delle sue conoscenze: «A me piacque, -disse in
un’intervista rilasciata a Pier Polo Poggio- però lo considerai abbastanza
scontato. Dato che la riserva di beni naturali è fisicamente limitata, è ovvio
che, se si sottraggono beni dalle riserve della natura, questi, dopo essere
stati “merce”, ritornano a contaminare i corpi naturali; così, se si sfrutta la
fertilità del suolo, i raccolti diminuiscono […]I favolosi computer del Mit,
usati per “scrivere” i grafici del libro del Club di Roma, non avevano fatto
altro che riscrivere e rielaborare cose note, ma che in pochi sapevano o
ricordavano: i rapporti fra economia, produzione, merci e degrado ambientale».
Per questo Giorgio preferiva parlare di “limiti della crescita”, cioè della
produzione di merci, che comporta una tendenza al degrado ambientale che non si
può azzerare, perché la Natura non offre pranzi gratis, ma che bisogna il più
possibile ridurre, innanzitutto abbandonando l’immaginario dell’abbondanza per accontentarsi dell’abbastanza.
A noi della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia infine ha lasciato
un’eredità immensa: innanzitutto lo stimolo a percorrere l’impervio cammino
della storia ambientale ed in particolare del rapporto tra industria e
inquinamento; quindi il vastissimo archivio suo e della adorata moglie
Gabriella (http://www.fondazionemicheletti.eu/italiano/documentazione/archivio/dettaglio.asp?id=119&pagina=2); e ancora l’incessante spinta a costruire una sezione generale
dedicata agli archivi di studiosi e militanti in campo ambientale, che
comprende ormai una trentina di archivi; infine una sua bellissima creatura che
ha visto la luce vent’anni fa e che cercheremo di mantenere in vita, la rivista
on line “Altronovecento. Ambiente tecnica società”, una miniera di informazioni
per chi vuole attingere dall’opera sconfinata di divulgazione scientifica di
Giorgio (insieme al suo sito, Il mondo
delle cose, http://www.ilmondodellecose.it/) e per chi vuol capire in profondità le grandi tematiche della
crisi ecologica e vuole attrezzarsi per affrontare le sfide che attendono l’umanità
(http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/).
Dell’umanità di
Giorgio è difficile trovare le parole per rappresentarne giustamente la
grandezza: basti ricordare che mai una domanda, una richiesta che gli venisse
rivolta anche da un semplice ignoto studente rimaneva senza risposta.
Ci mancherà la
sua amicizia, dunque, e la sua guida, ma soprattutto quella sua capacità
ineguagliabile di andare a fondo nell’analisi, con un linguaggio volutamente
semplice e comprensibile a tutti, per svelare le tante “trappole” della
paleotecnica, anche di quella più innovativa. Immagino che lui, di fronte alla
martellante enfasi dei mass media sulla recente traversata dell’Atlantico ad
“emissioni zero” di Greta sulla barca di Casiraghi, avrebbe considerato con un
bonario e d indulgente sorriso le buone intenzioni della ragazza svedese e
avrebbe aggiunto qualche considerazione, non certo polemica, ma come pacata
riflessione tra sé e sé, e non tanto sui milioni di euro che costa quel mezzo
di trasporto non alla portata di tutti, ma sui materiali costruttivi, sui
metalli e le fibre speciali, sulle terre rare necessarie per i sofisticati
meccanismi ed apparati elettronici, sui costi ambientali ed umani per
l’estrazione, la produzione, e domani lo smaltimento, di quei materiali…
Giorgio ci ha
lasciato il 3 luglio 2019. Ha voluto che al suo funerale leggessimo insieme dalla Seconda Lettera di Paolo a Timoteo
(4,6-8) il suo testamento spirituale:
Io
infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io
lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho
conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il
Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma
anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Sì, caro Gorgio,
hai davvero “combattuto la buona battaglia”.
—Gli Asini, n. 68,
ottobre 2019
***
Memoria. Giorgio Nebbia ricordato a Viterbo
Peppe Sini
La sera di venerdi' 5
luglio 2019 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti
umani e la difesa della biosfera" e' stato ricordato Giorgio Nebbia,
l'illustre scienziato, docente, parlamentare, amico della nonviolenza deceduto
due giorni fa.
La commemorazione e'
stata tenuta dal responsabile della struttura nonviolenta viterbese, Peppe Sini
che ha ricordato con profonda commozione la figura e l'opera di Giorgio Nebbia,
recando anche una personale testimonianza delle luminose qualita'
dell'indimenticabile maestro, compagno di lotte ed amico.
Una breve notizia su
Giorgio Nebbia
Giorgio Nebbia, nato a
Bologna 23 aprile 1926, docente universitario di merceologia, gia'
parlamentare, impegnato nei movimenti ambientalisti e pacifisti, e' una delle
figure di riferimento della riflessione e dell'azione ecologista nel nostro
paese. E' deceduto il 3 luglio 2019. Dal sito di Peacelink riprendiamo la
seguente piu' ampia scheda di alcuni anni fa: "Giorgio Nebbia, nato a
Bologna nel 1926, professore ordinario di merceologia dell'Universita' di Bari
dal 1959 al 1995, poi professore emerito, e' stato deputato e senatore della
sinistra indipendente. Giorgio Nebbia si e' dedicato all'analisi del ciclo
delle merci, cioe' dei materiali utilizzati e prodotti nel campo delle
attivita' umane, agricole e industriali. Nel settore dell'utilizzazione delle
risorse naturali ha condotto ampie ricerche sull'energia solare, sulla
dissalazione delle acque e ha contribuito all'elaborazione dell'analisi del
flusso di acqua e materiali nell'ambito di bacini idrografici. Nel corso delle
sue ricerche, di ambito nazionale e internazionale, ha studiato il rapporto fra
le attivita' umane e il territorio, con particolare riferimento al metabolismo
delle citta', allo smaltimento dei rifiuti e al loro recupero, ai consumi di
energia. Giorgio Nebbia e' autore di numerosissime pubblicazioni scientifiche e
di alcuni libri divulgativi: L'energia solare e le sue applicazioni
(Feltrinelli); Risorse merci materia (Cacucci); Il problema dell'acqua
(Cacucci); Sete (Editori Riuniti); La merce e i valori. Per una critica
ecologica del capitalismo (Jaca Book). Si e' occupato inoltre di storia della
tecnica ed ha fatto parte di commissioni parlamentari sulle condizioni di
lavoro nell'industria. E' unanimemente considerato tra i fondatori e i
principali esponenti dell'ambientalismo in Italia". Tra le sue molte
pubblicazioni segnaliamo particolarmente: Lo sviluppo sostenibile, Edizioni
cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1991; La merce e i valori. Per
una critica ecologica del capitalismo, Jaca Book, Milano 2002; cfr. anche: Il
problema dell'acqua, Cacucci, Bari 1965, 1969; La societa' dei rifiuti,
Edipuglia, Bari 1990; Sete, Editori Riuniti, Roma 1991; Alla ricerca di
un'Italia sostenibile, Tam tam libri, Mestre 1997; La violenza delle merci, Tam
tam libri, Mestre 1999; tra le opere recenti: con Virginio Bettini (a cura di),
Il nucleare impossibile. Perche' non conviene tornare al nucleare, Utet
Libreria, Torino 2009; Ambientiamoci, Nuovi Equilibri, Viterbo 2011. Si veda
anche l'intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n.
360 (che contiene anche la seguente risposta a una domanda sulla sua biografia:
"Sono nato nel 1926 in una famiglia piccolo borghese, ho il diploma di
liceo classico, sono laureato in chimica. Dopo la laurea sono stato assunto
come assistente di Merceologia, una disciplina che si insegna (sempre meno)
nelle Facolta' di Economia, ho avuto quindi l'occasione di vivere una strana
esperienza di una persona di educazione naturalistica fra docenti di cultura
umanistica (economisti, storici, giuristi). A 32 anni ho "vinto il
concorso" alla cattedra di Merceologia nella Facolta' di Economia e
Commercio dell'Universita' di Bari dove ho insegnato fino alla pensione, nel
1995. Ho una laurea honoris causa in Discipline economiche e sociali
nell'Universita' del Molise e due laurea in Economia e Commercio delle
Universita' di Bari e di Foggia. Sono stato coinvolto nei movimenti di difesa
dei consumatori, di difesa dell'ambiente, nelle lotte contro l'inquinamento, la
caccia e l'energia nucleare, nella protesta contro tutte le forme di armi, a
cominciare da quelle nucleari, e contro la guerra. Sono stato impegnato nella
diffusione delle conoscenze sulle fonti di energia rinnovabili, soprattutto
solare, e mi sono impegnato nell'insegnamento del carattere violento di molte
tecnologie, di molte macchine, di molte forme urbane. Sono stato candidato ed
eletto al Parlamento come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano
e ho fatto parte del gruppo della Sinistra Indipendente alla Camera (1983-1987,
collegio di Bari) e al Senato (1987-1992, collegio di Brindisi). Mi sono
sposato nel 1955 con una donna che mi ha accompagnato per tutto la vita con una
presenza silenziosa e continua anche nelle scelte scomode e che e' morta dopo
54 anni di matrimonio felice nell'agosto 2009. Ho un figlio nato nel 1956,
laureato in architettura, impiegato nel campo dell'informatica. Sono un
cattolico credente e turbato").
Con la scomparsa di
Giorgio Nebbia perdiamo una delle figure piu' grandi dell'ambientalismo
scientifico e dell'impegno morale, civile e politico per i diritti umani di
tutti gli esseri umani e in difesa dell'intero mondo vivente.
Docente universitario,
parlamentare, e' stato un maestro e un compagno di lotte per intere generazioni
di militanti per il bene comune dell'umanita'.
E per molti di noi non
solo un maestro e un compagno, ma un amico generoso e affettuoso, sollecito e
acuto, ironico e paziente, che alle virtu' della comprensione e della
gentilezza univa la fermezza nel bene, l'intransigente opposizione alla
menzogna e al male, la solidarieta' con chiunque di aiuto avesse bisogno.
Con gratitudine che non
si estingue lo ricordiamo, e ricordandolo sentiamo il dovere di proseguirne
l'impegno, di mettere a frutto quanto ci ha insegnato, di continuarne la
ricerca e l'azione.
Ricordando Giorgio Nebbia proseguiamo nell'impegno in difesa dei diritti umani
di tutti gli esseri umani e in difesa dell'intero mondo vivente.
Ricordando Giorgio
Nebbia proseguiamo nel cammino della pace e della giustizia, della solidarieta'
e della responsabilita', della condivisione e della nonviolenza.
—Telegrammi della nonviolenza in cammino,
n. 3439, 6 luglio 2019
***
È
morto Giorgio Nebbia
Barbara Tartaglione e Lino Balza
Tra i fondatori
dell’ambientalismo italiano, della scienza ecologica. Un riferimento umano e
politico quale docente universitario, pioniere di ricerche, divulgatore di un
numero incredibile di libri e articoli, poderoso archivista, militante
infaticabile, sempre disponibile per ogni impegno sociale e politico volto
all’ambiente e alla pace, affabile e ironico e di una gentilezza innata. Un
maestro capace di coniugare l’ecologismo scientifico con la necessità della
giustizia sociale, il rigore tecnico con la spinta utopica, il marxismo e la
religione con l’ecologia. Una eredità straordinaria. Un modello esemplare per i
giovani.
L’ultimo video è
stato in aprile 2016 con collegamento Skype dal liceo di Casale Monferrato
sull’amianto: una lectio magistralis. L’ultimo abbraccio fisico è stato in
Senato quando, il 10 maggio 2016, abbiamo festeggiato i suoi novant’anni. Gli
interventi sono stati raccolti dalla Fondazione Micheletti nel libro “Per
Giorgio Nebbia. Ecologia e giustizia sociale”. Ultimamente non rispondeva più
al telefono, non ci ha ringraziato per la consueta confezione di biscotti
Krumiri, ahimè abbiamo pensato a qualcosa di grave. Ci mancherà la sua
amicizia, che ci aveva degnato anche con la prefazione al nostro libro “Ambiente
delitto perfetto”, prefazione che da sola vale più delle restanti 500 pagine
del volume.
Sono esemplari le
sue parole a conclusione del Convegno in suo onore in Senato:
L’unica cosa che ha permeato tutta la mia vita è stata
l’amore per qualunque cosa e anche per le persone (Dio mi perdoni, per quasi
tutte) che ho incontrato. Qualcuno mi chiede che cosa penso di me e io dico che
nella mia esistenza ho avuto due amori (come cantava Josephine Baker), uno è la
Gabriella e l’altro la merceologia. Alla Gabriella, che mi ha lasciato alcuni
anni fa, devo tutto perché mi ha sostenuto è sopportato per 54 anni di
matrimonio felice, sempre vicino a me, sempre silenziosa è discreta, pronta a
“fare” le bibliogra?e, a rileggere quello che scrivevo, conosceva l’italiano
meglio di me, a correggere le bozze. Poi mi ha regalato un ?glio, Mario, che
ora ha 60 anni e che poi si è sposato con un’altra Gabriella e insieme mi hanno
dato un altro regalo, mia nipote Silvia. Come vedete la mia vita è stata sempre
piena di cose buone. Talvolta mi sono anche arrabbiato, e me ne scuso, ma
nell’insieme credo che il ?lo conduttore sia stato la grande ricchezza di amore
che ho ricevuto dai miei studenti universitari, dai miei colleghi e amici,
dalla mia famiglia. A tutti dico grazie e auguro, con tutto il cuore, una vita
bella come la mia. Poi faccio un augurio anche a me stesso, con le parole di
Marcello Marchesi, “che la morte mi trovi vivo”. Giorgio Nebbia
—Rete ambientalista, 4 luglio 2019