Solo in questi ultimi anni la vicenda di Pavel Florenskij ha iniziato ad
essere conosciuta in Italia per merito di alcuni appassionati traduttori e
studiosi 1
. Eppure già nei primi decenni del secolo scorso diversi pensatori russi
parlarono di Florenskij come di un “Pascal russo” o di un “Leonardo da
Vinci della Russia”. Ci troviamo infatti di fronte ad una intelligenza
straordinaria, in grado di unire le più alte speculazioni metafisiche con
la matematica e l’ingegneria, la storia dell’arte con la filosofia del
linguaggio, l’invenzione scientifica con la creazione artistica, la
teologia con la semiotica e la simbologia. Pavel Florenskij era un uomo
dalla cultura poliedrica, che riusciva a coniugare con ardite intuizioni
scienza e fede, cristianesimo e cultura, vita e pensiero 2
.
Dopo la sua morte, per oltre cinquant’anni, un completo e assoluto oblio,
imposto dal regime sovietico, era caduto su questo grande personaggio, come
su tanti altri testimoni e intellettuali, divenuti scomodi per il potere
comunista. Proprio mentre si ritenevano ormai del tutto distrutte e
scomparse le principali opere scientifiche, letterarie e teologiche di
Pavel Florenskij, dagli anni ’90 del secolo scorso in poi molte vicende
oscure si sono chiarite, a cominciare dalla sua tragica fine; molte
preziose testimonianze sono improvvisamente riaffiorate alla storia e
numerosi importanti documenti sono stati trovati negli archivi dell’ex
Unione Sovietica, finalmente aperti agli studiosi. Nel contempo sono state
pubblicate diverse opere ormai da tempo irreperibili ed ora si sta tentando
una ricognizione sistematica della sua vasta produzione 3
.
Pavel Florenskij è oggi riconosciuto come uno dei maggiori pensatori del XX
secolo, dotato di una personalità davvero poliedrica: ingegnere
elettrotecnico, studioso di estetica, teologo, filosofo della scienza,
matematico e altro ancora. Lo stupore maggiore per chi accosta Pavel
Florenskij non è dato comunque essenzialmente dalla sua opera, che
attraversa con competenza e padronanza dei più svariati registri formali le
molteplici forme della scienza e della conoscenza, bensì dall’integrità
umana e spirituale della sua persona. Ha osservato Sergej Bulgakov nella
commemorazione dell’amico scomparso: “Padre Pavel non era solo un fenomeno
di genialità, ma anche un’opera d’arte. (…). L’attuale opera di padre Pavel
non sono più i libri da lui scritti, le sue idee e parole, ma egli stesso,
la sua vita” 4
.
Soprattutto, però, Pavel Florenskij è stato un martire della Chiesa
ortodossa: ha voluto rimanere fedele fino in fondo ai grandi valori che
aveva posto alla base della propria vita, rendendo così una testimonianza
alla verità nel cuore della tragedia del Novecento.
In Florenskij la vita e l’opera, malgrado siano rimaste tragicamente
incompiute, costituiscono un’unità indissolubile, un’unica totalità
organica, una sorta di unico tessuto. Questa immagine del tessuto esprime
in modo adeguato il senso dell'interazione e della connessione esistente
tra l'attività teoretica e l'integrità spirituale di Pavel Florenskij. È
ancora Sergej Bulgakov a dire che in lui si sono incontrate e unite Atene e
Gerusalemme, ossia il rigore speculativo e scientifico e la ricerca
teologica.
La figura di Pavel Florenskij è stata ricordata anche da Giovanni Paolo II
nell’enciclica Fides et ratio (74) proprio per il modo originale e
rigoroso con cui il pensatore russo ha saputo coniugare i dati della
conoscenza scientifica con quelli della fede.
Florenskij “viene oggi riscoperto in gran parte d’Europa non soltanto come
la punta di diamante del pensiero religioso russo del Novecento, ma anche
come uno degli interlocutori privilegiati del pensiero contemporaneo, per
tentare di comprendere più a fondo il destino presente e futuro della
Russia, della sua cultura filosofica ed ecclesiale” 5
.
La situazione della Russia tra fine Ottocento e inizi del Novecento
L’impero russo nel corso dell’Ottocento risulta molto esteso: va
dall’Europa orientale all’oceano Pacifico. Al suo interno convivono decine
di popoli, con lingue e tradizioni diverse, che rivendicano da tempo
autonomia e indipendenza. La Russia è governata da una monarchia assoluta,
quella degli zar, che reprime ogni forma di dissenso e di opposizione,
difendendo con decisione il proprio potere. Nell’Ottocento l’economia russa
si basa sulla produzione agricola; l’industria è ancora molto arretrata.
Nel 1861 lo zar Alessandro II abolisce la servitù della gleba, avviando
anche una timida riforma agraria, che permette ai contadini di riscattare
la terra che lavoravano. Non cambia molto: il 90% della terra coltivabile
resta in mano alle grandi famiglie nobili, alle chiese e ai monasteri. A
partire dal 1870, con il massiccio ingresso di capitali stranieri, ha
notevole impulso il settore industriale, soprattutto a Mosca (per
l’industria tessile), a Pietroburgo (per il settore metalmeccanico), a Baku
(per i giacimenti petroliferi). La crescita dell’industria porta alla
nascita di un proletariato urbano, tutto concentrato nelle poche regioni
industriali del Paese, che risulterà importante nelle vicende dei primi
decenni del Novecento. Oltre il 70% della popolazione attiva continua
tuttavia ad essere impiegata nell’agricoltura e versa in condizioni di
spaventosa arretratezza sociale ed economica. Nel 1898 viene fondato il
Partito Operaio Socialdemocratico Russo, al cui interno si creano ben
presto due blocchi contrapposti: i bolscevichi (termine che in russo
significa “maggioranza”), guidati da Vladimir Il’ic Uljanov, che prende poi
il nome di battaglia di Nicolaj Lenin, e i menscevichi (= la minoranza) con
a capo Julij Osipovic Cederbaum, detto Martov. Questi due gruppi hanno
obiettivi nettamente diversi: i menscevichi sostengono la necessità di
realizzare una serie di riforme in campo economico e sociale, senza
avanzare ipotesi rivoluzionarie e alleandosi con la borghesia; i
bolscevichi intendono, tramite la rivoluzione, abbattere l’assolutismo
zarista e creare uno Stato socialista in cui sia abolita la proprietà
privata e posto tutto nelle mani dello Stato. Nel 1905, anche a seguito
dello sforzo finanziario sostenuto per la guerra contro il Giappone, le
condizioni di vita della popolazione peggiorano e ovunque scoppiano
proteste. A Pietroburgo l’esercito interviene con decisione contro i
manifestanti, causando oltre mille morti. La situazione precipita
ulteriormente con la prima guerra mondiale. La fragile economia russa si
dimostra subito non in grado di sostenere il peso di un conflitto: la
necessità di aumentare le spese militari comporta un peggioramento delle
condizioni di vita della popolazione. La produzione di grano diminuisce e i
prezzi dei prodotti alimentari crescono. Ciò porta a nuovi scioperi e
dimostrazioni. Il 23 febbraio del 1917 a Pietrogrado (ex Pietroburgo) gli
operai in massa scendono in piazza. L’esercito, inviato a sedare la
rivolta, si schiera dalla parte dei manifestanti. Lo zar Nicola II è
costretto ad abdicare: ha termine così l’impero dei Romanoff e la Russia
diviene una repubblica. Viene creato un governo provvisorio di tendenza
liberale, espressione della Duma (Parlamento), presieduto dal principe
Georgij L’vov, appoggiato da tutti i partiti, tranne i bolscevichi. Questo
governo stabilisce la fine delle discriminazioni religiose ed etniche,
concede le libertà democratiche e il suffragio universale, ma non riesce a
porre rimedio ai gravi problemi economici, che hanno portato alla fame
larghe fasce della popolazione. Ad agosto del 1917 la guida del governo
viene affidata ad Aleksandr Kerenskij, un socialrivoluzionario moderato.
Frattanto nell’aprile del 1917 Lenin era tornato dall’esilio in Svizzera e
con le sue Tesi di aprile si schiera subito su posizioni radicali
e rivoluzionarie, sulla base di tre obiettivi: tutto il potere ai soviet 6
; la terra ai contadini; uscita dalla guerra e pace subito. Tra il 24 e il
25 ottobre del 1917 le guardie rosse, espressione militare dei bolscevichi,
occupano prima i punti più importanti di Pietrogrado e successivamente il
Palazzo d’Inverno, sede del governo. Viene creato il Soviet dei Commissari del popolo, guidato da Lenin e composto da
soli bolscevichi. Per molto tempo questa presa del potere da parte dei
bolscevichi guidati da Lenin è stata presentata anche sui libri di storia
come un grande e positivo evento rivoluzionario. In realtà si è trattato di
un atto di forza, di una presa del potere realizzata in modo violento ad
opera di una minoranza ben organizzata, ma che non aveva assolutamente
l’appoggio della popolazione. Questa minoranza, costituita dai bolscevichi,
non godeva del sostegno neppure di tutti gli operai, di cui tramite i
soviet diceva di essere espressione. Assolutamente estranea a queste
vicende la gran massa dei contadini. I bolscevichi poi posero fine non al
potere degli zar, che avevano già abdicato, bensì ad un governo che stava
faticosamente cercando di avviare la Russia sulla strada della democrazia,
il governo Kerenskij, espressione del Parlamento e delle principali forze
politiche del tempo.
Il 12 novembre 1917 si svolgono le elezioni per la formazione di
un’Assemblea Costituente. I risultati decretano la sconfitta dei
bolscevichi, che si ritrovano così in minoranza in questo organismo. Lenin
allora pensò bene di sciogliere l’Assemblea. Da questo momento in poi si
pongono le basi per la realizzazione in Russia di uno stato totalitario. In
breve, infatti, già con Lenin, tutto il potere viene assunto dal partito
comunista formato dai soli bolscevichi, mentre le altre forze politiche
vengono dichiarate fuori legge. Raggiunto il potere, i bolscevichi
riterranno di essere i veri interpreti della volontà popolare e delle leggi
della storia, in definitiva i depositari della verità. Non poteva dunque
essere tollerato ciò che poneva ostacoli al processo rivoluzionario.
Vengono chiusi tutti i giornali non bolscevichi, fra cui 205 testate
socialiste. Nascono, a partire dal 1918, i primi campi di concentramento,
in cui rinchiudere tutti i “nemici del popolo”, ossia gli aderenti ai
partiti di opposizione, i membri della borghesia e dell’aristocrazia, gli
esponenti dell’intellighenzia contrari alla rivoluzione, i soldati che
disertano, i contadini ribelli, gli ecclesiastici e altre categorie di
persone. Nonostante questa feroce repressione, coloro che dissentono e
reclamano la libertà e la democrazia faranno comunque sempre sentire la
propria voce 7
. Pavel Florenskij è tra costoro e, senza aver compiuto alcun particolare
reato, si ritrova a trascorrere numerosi anni di carcere, per poi essere
fucilato poiché ritenuto un “pericolo per la rivoluzione”.
L’infanzia di Pavel Florenskij
Pavel Florenskij nasce il 9 gennaio 1882 nei pressi di Evlach, in
Azerbajgian. Suo padre, Aleksandr Ivanovic, è un ingegnere delle ferrovie,
di cui tutti lodavano “la nobiltà, la magnanimità, la generosità,
l’intelligenza e l’onestà” 8
, mentre la madre, Ol’ga Sapar’jan, di origine armena, “era alteramente
timida e schiava di una rettitudine morale che rasentava l’asocialità; a
stento espletava i consueti doveri sociali, le sue visite di cortesia erano
quanto mai rare e non parevano nemmeno tali” 9
. A Evlach, dove è nato, Pavel Florenskij trascorre in tutto un anno e
mezzo. Qui il padre è direttore della locale tratta della ferrovia
transcaucasica, che fu lui a costruire. Questa cittadina si trova in piena
steppa, in mezzo a villaggi di tartari e a covi di briganti. L’alloggio è
un vagone merci foderato di tappeti; solo in un secondo momento hanno una
baracca di lamiera.
La famiglia di Pavel Florenskij si trasferisce poi a Tbilisi, il principale
centro culturale, commerciale e industriale dell’area del Caucaso, posto
sulla direttrice di traffico tra mar Nero e mar Caspio. Questa città non
lascerà tuttavia in Pavel un particolare ricordo: gli appare priva di vita,
con un caldo che soffoca e toglie le forze. La sistemazione è comunque
migliore rispetto a quella trovata a Evlach.
Pavel trascorre la prima infanzia e la giovinezza oltre che a Tbilisi,
anche a Batumi, località quest’ultima posta sulle rive del mar Nero. La sua
famiglia è, come molte del tempo, assai numerosa: vi sono infatti le
sorelle Julia, Elizaveta, Ol’ga, Raisa e i fratelli Aleksandr e Andrej. In
casa Florenskij viveva poi la sorella del padre, Julia Ivanovna, e le
sorelle della madre, Raisa Pavlovna, Sofija Pavlovna, Elizaveta Pavlovna.
I genitori di Pavel fanno di tutto per isolare la propria famiglia da
quanto la circonda, tagliandola fuori dall’ambiente sociale e dallo stesso
passato familiare. Il padre si fa carico di tutte le difficoltà della vita,
che non vuole far pesare sulla famiglia. L’infanzia di Pavel, dei suoi
fratelli e delle sorelle si svolge dunque come su un’isola solitaria, in un
posto desertico. Gli altri avrebbero potuto, secondo i genitori, attentare
alla purezza e al rigore di quel “paradiso”, che invece va preservato dalle
intemperie esterne, dal freddo e dai rapporti sociali che possono
esercitare influenze negative. “A casa nostra c’era troppo calore, troppo
affetto, e soprattutto troppa onestà e rettitudine. Andavamo d’amore e
d’accordo. Mai una brutta parola, mai un interesse di bassa lega, mai una
dimostrazione di egoismo: sempre e solo la reciproca premura di tutti verso
tutti, la bontà grande e attiva di mio padre per chi ci circondava, per gli
altri”
10
.
La coscienza di Pavel si abitua ben presto a questa raffinatezza e la
accetta come un qualcosa di naturale. Non può essere diversamente. Le
persone non possono essere altro che educate, oneste, magnanime. E il mondo
intero deve essere così.
L’educazione religiosa
In casa Florenskij non vi è ostilità nei confronti della religione, ma nel
contempo non se ne riconosce alcuna. “Quanto alla religione, crebbi
completamente selvatico. Non mi portavano mai in Chiesa, non parlavo con
nessuno di argomenti religiosi e non sapevo nemmeno come si faceva il segno
della croce. Però sentivo che c’era tutto un ambito della vita, importante
e misterioso, e c’erano dei gesti particolari che preservavano dalla paura.
In segreto ne ero attratto, ma non li conoscevo e non osavo domandarne
notizia. Captavo quel che potevo e di nascosto cercavo, come mi era
possibile, di applicare le mie osservazioni. Sotto una coltre di
indifferenza, il mio rapporto con la religione era fluttuante e non poteva
certo essere definito distaccato. Ero combattuto fra un’appassionata
attrazione e degli accessi di ostilità contro quanto non conoscevo, ma la
cui realtà mi era data imperiosamente. Avevo la sensazione che quella
questione a me sconosciuta andasse necessariamente chiarita e che o dovevo
affermare in me Dio, con tutte le conseguenze che ne derivavano,
oppure…Oppure non sapevo neanch’io che cosa significasse quell’oppure,
perché l’eventualità di una semplice negazione non mi passava neanche per
la testa”
11
.
I genitori di Pavel vogliono ricreare in famiglia una sorta di paradiso e i
figli devono rimanere il più a lungo possibile in questo ambiente protetto.
In un tale mondo familiare la religione, nelle sue diverse manifestazioni
storiche, non è contemplata. Non si teorizza l’assenza di Dio, ma nemmeno
si sostiene il contrario.
La madre di Pavel, che è di origine armena, teme, per vari e anche
misteriosi e mai del tutto esplicitati motivi, tutto ciò che è legato
all’Armenia e si chiama fuori anche dalla Chiesa armena; il padre è lontano
dalla Chiesa ortodossa russa anche, ma certo non solo, per delicatezza
verso la madre di Pavel e per evitare con ciò di sottolineare il suo essere
russo. C’era tuttavia un profondo rispetto per le varie religioni e per i
loro ministri di culto: è un riguardo dovuto al fatto di non voler
assolutamente offendere l'uomo nelle sue convinzioni più profonde.
I genitori di Pavel ritengono avventato negare la religione, ma nel
contempo sostengono sia impossibile separarne il fondamento reale dalle
credenze storiche che si sono formate nel corso del tempo. La coscienza
infantile deve crescere senza essere condizionata da alcuna religione, in
modo da decidere liberamente, una volta adulta, quale strada intraprendere,
senza influssi determinati fin dall’infanzia. Non c’è dunque bisogno di
simboli e di puntelli artificiali; non serve una mediazione religiosa per
crescere. Il vangelo del padre è il Faust di Goethe, la sua Bibbia
è Shakespeare. La “religiosità” da coltivare in famiglia è quella della
nobiltà, della magnanimità, della reciproca dedizione; la religione, in una
sua qualsiasi determinazione storica, fa parte delle cose sconvenienti, da
evitare. Di fronte alle varie credenze religiose, l’unico dogma accettato
in famiglia è la coscienza della loro relatività. Il padre di Pavel coglie,
in particolare del cristianesimo, il grande spessore, tuttavia ritiene che
proprio una religione che diffonde l’idea della propria assolutezza non può
che essere fonte di intolleranza. “Umanità: era questa la parola preferita
di mio padre, quella con cui voleva rimpiazzare il dogma religioso e la
verità religiosa. Nell’umanità, nella benevolenza, egli scorgeva il
regolatore universale di ogni sorta di rapporti sociali e personali da
sostituire alla religione, al diritto e alla morale, l’unica cosa da
predicare e instillare”
12
. Il padre di Pavel ha una venerazione per la propria famiglia; ritiene che
debba essere una famiglia particolare, che debba rappresentare l’inizio di
una nuova era. La sua “religiosità”, se così la possiamo chiamare, ha
dunque un centro ben preciso: la propria famiglia.
Una grande curiosità per la natura e la scienza
“Mi piacevano l’aria, il vento, le nuvole; mi erano vicine le rocce,
sentivo spiritualmente affini i minerali, soprattutto i cristalli, amavo
gli uccelli, ma più di ogni cosa le piante e il mare”
13
. Queste parole di Pavel Florenskij rappresentano molto bene una
caratteristica della sua personalità, che fin da piccolo si manifesta
chiaramente: una grande curiosità verso la natura. Suddivide il regno della
natura in due categorie: il bello e il particolare. Ogni elemento
appartiene all’una o all’altra categoria. Le passeggiate, in particolare
nei dintorni di Batumi, sono occasioni per un’osservazione ininterrotta e
per una continua scoperta. Un interesse sempre vivo anima Pavel Florenskij.
“Della mia infanzia mi è rimasta la sensazione di non essere mai, o quasi
mai, giunto ad uno stato di quiete; la frenesia non mi abbandonava mai per
tutta la giornata, durante la quale o parlavo senza sosta oppure dentro di
me era tutto un cantare e uno sgorgare di suoni estatici. Non credo che si
trattasse della normale vivacità di un bambino. Evidentemente nel mio
cervello accadeva qualcosa se non di strano, quanto meno di insolito, che
mi procurava non poche sofferenze. Ricordo bene le emicranie iniziate sin
dalla più tenera età e che sarebbero cessate solo verso i dieci anni, se
non vado errato, e che in parte possono essere paragonate alla stanchezza
che si prova quando si è giunti alla fine di un prolungato e intenso lavoro
mentale. (…). Qualunque fosse stata la causa, tuttavia, tutto ciò che
veniva dalla natura mi interessava e non dava un attimo di tregua alla mia
mente”
14
.
Ben presto Pavel Florenskij sviluppa una grande attrazione e curiosità
anche per la musica. A suo tempo la madre di Pavel aveva studiato canto,
entrando nel Conservatorio di Lipsia, nelle classi di canto e pianoforte,
ma poi per motivi di salute aveva dovuto interrompere questi studi. Anche
alcune cugine di Pavel, particolarmente dotate in campo musicale, avevano
dovuto interrompere le proprie esibizioni proprio per motivi di salute.
C’era poi una persona leggendaria, Aleksandra Gotlibovna Pekok, una lontana
parente, che calcava i palcoscenici della lirica e si era esibita anche in
Italia. Di questa persona, per lo più avvolta nel mistero, e delle sue
esibizioni si parlava in casa. Infine una zia, che viveva in casa
Florenskij, studiava i classici tedeschi e così Pavel inizia ad apprezzare
quelli che diverranno i suoi autori preferiti: Wolfgang Amadeus Mozart e
Ludwig van Beethoven.
Già al ginnasio Pavel Florenskij è fortemente interessato alla fisica, alla
geologia, all’astronomia e alla matematica. Ciò che più attira la sua
attenzione sono comunque non tanto le leggi della natura, quanto le loro
eccezioni, ossia l’elemento irrazionale presente anche nelle leggi
apparentemente più ferree. Pavel è naturalmente portato al pensiero
scientifico e ciò, secondo lui, è anche un fatto ereditario, in quanto
diversi familiari che lo hanno preceduto sono stati validi uomini di
pensiero. Inoltre va considerato il fatto che il tipo di vita, di fatto
isolato, che conduce la sua famiglia, predispone alla riflessione e allo
studio. “Il giorno in cui non aggiungevo almeno qualche paragrafo alle mie Ricerche sperimentali, come mi piaceva chiamare i miei taccuini,
rifacendomi all’amato Faraday
15
, o non annotavo una qualche osservazione naturalistica su certi quaderni,
non scattavo qualche fotografia di carattere geologico, meteorologico o
archeologico, o non scrivevo anche solo qualche pagina esponendo a grandi
linee i miei esperimenti e le mie considerazioni e quel che chiamavo,
sull’esempio dei fisici francesi di fine Settecento e della prima metà
dell’Ottocento, mémoires, un tal giorno mi pareva perduto, perso
in modo quasi criminale”
16
.
Florenskij legge tutto ciò che riesce a procurarsi di fisica e di materie
affini. Molti i testi e le riviste in inglese e francese, oltre a dizionari
enciclopedici in altre lingue ancora. Si costruisce lui stesso gli
strumenti di cui poi ha bisogno per i vari esperimenti che conduce.
In famiglia questo interesse per la natura e per la scienza è sostenuto e
stimolato. “Mio padre, la zia Julja e, più di rado, mia madre ci
raccontavano e ci spiegavano ogni cosa, scacciando senza pietà il
soprannaturale: nello spirito del naturalismo ogni cosa aveva una sua
spiegazione schematica, semplice e comprensibile in tutto e per tutto. Nel
contempo si sottolineavano la rigida logicità della natura e la continuità
di tutte le sue manifestazioni”
17
.
L’assolutizzazione della scienza, propugnata dai genitori di Pavel,
comporta però il rischio di un dogmatismo e di un fanatismo, ossia proprio
di quegli atteggiamenti che si vogliono combattere. “I miei genitori, e
soprattutto mio padre, volevano educare in me il pensiero critico, volevano
recidere ogni eventualità di dogmatismo religioso e, di conseguenza, di
fanatismo e di intolleranza, che secondo la profonda convinzione di mio
padre era quanto di più pericoloso potesse esserci. Per estirpare da se
stesso e dagli altri ogni possibile fanatismo, egli minava la foga delle
convinzioni con l’assioma della relatività di ogni sapere e di ogni
opinione.(…). In luogo del dogmatismo religioso universale e
dell’universale intolleranza religiosa, dentro di me stava sbocciando il
dogmatismo scientifico, la catechesi di una concezione scientifica del
mondo, fondamentalmente innaturale, poiché il succo della scienza è
decisamente l’inverso, ossia il criticismo”
18
.
Oltre la scienza. La scoperta della dimensione spirituale
dell’esistenza
Il pensiero scientifico ben presto si dimostra inadeguato a rispondere alle
domande di significato che Pavel Florenskij si pone sempre più fortemente.
La fiducia assoluta nella scienza e l’appagamento completo, fornito
inizialmente dagli studi e dagli esperimenti scientifici, vengono messi in
crisi da una sensazione di incompiutezza, che occupa sempre più la mente di
Florenskij. “Se prima non dormivo le notti, eccitato all’idea
dell’esperimento del giorno seguente, ora che l’esperimento poteva essere
davvero significativo e nuovo, che il mio orizzonte intellettuale si era
ampliato e le abitudini intellettuali formate, ora esso era diventato
un’incombenza riconducibile più che altro al senso del dovere e che solo a
sprazzi riaccendeva l’entusiasmo. Sentivo la fisica e quanto a essa
connesso come un abito non mio o come una pelle morta che ormai si era
staccata da me. Ma non osavo confessare a me stesso quant’era accaduto e
cercavo di convincermi che si trattava di uno stato d’animo temporaneo”
19
.
Un’esperienza che influenza molto questo cammino di chiarimento interiore
di Pavel Florenskij è la visita alle rovine della cattedrale di Bagrat,
dove più volte si reca con suo padre. Quella grande Chiesa, con le volte
crollate, con massi sparsi dappertutto, con i mastodontici capitelli,
conferma in Florenskij la convinzione dell'esistenza di una vita spirituale
che neppure il tempo e le devastazioni hanno potuto cancellare. “Tra quelle
rovine nulla mi ricordava la visione del mondo con cui lottavo dentro di
me; anzi, quei muri cadenti emanavano gli effluvi spirituali di un’altra
cultura, alla quale, senza rendermene conto, io tendevo con tutta l’anima.
Quelle pietre vivevano e continuavano a vivere, e io non potevo non sentire
le forze spirituali che vi aleggiavano e che di sé dicevano, in beffa alla
fisica, molto più di quanto si potesse dire con elucubrazioni filosofiche e
teologiche. Lì la mia educazione natural–scientifica officiava, come
officiò molte altre volte in seguito, una liturgia contro il pensiero
scientifico che avrebbe dovuto onorare: mi costringeva a fare i conti con
quanto recepito senza mediazioni di sorta più che per il tramite di
concetti astratti. Compresa l’indubbia per me, seppur incompatibile con la
fisica, vita spirituale di quelle rovine, in armoniosa unione con la vita
della natura”
20
.
Importante nel cammino che porta Florenskij alla scoperta di una dimensione
religiosa dell’esistenza, ormai non più ignorabile, è la ricerca filosofica
sul problema del simbolo in generale e successivamente del simbolo
trinitario in particolare. “ Per tutta la vita ho riflettuto su un solo
problema, il problema del simbolo. (…). Il positivismo mi disgustava, ma
non meno mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l’anima, ma
volevo vederla incarnata. Qualcuno vorrà chiamarlo materialismo. Non si
tratta però di materialismo, ma della necessità del concreto o simbolismo.
Sono sempre stato un simbolista. (…). Era mio desiderio conoscere il mondo
proprio in quanto incognito, senza violare il suo mistero, ma spiandolo. E
il simbolo era spiare il mistero. Poiché dai simboli il mistero del mondo
non viene celato, ma anzi rivelato nella sua vera sostanza, cioè in quanto
mistero”
21
. Sotto la maschera del visibile si cela sempre, per Florenskij, una realtà
invisibile. La vera conoscenza non può che partire dalla chiara percezione
di questo mistero, che abbraccia ogni relazione con il mondo. C’è sempre
“un al di là” rispetto a ciò che noi percepiamo. Qui si inserisce per
Florenskij la fondamentale realtà del simbolo: l’azione personale, la
relazione con la natura e con il mondo acquisiscono il loro vero
significato in quanto espressione e incarnazione di una realtà eccedente,
di un altro mondo, dunque in quanto simbolo. A fronte pertanto delle
posizioni positivistiche allora ancora dominanti e della visione
scientifico - naturalistica, Florenskij propone una concezione del simbolo
che attraversa i diversi ambiti conoscitivi e permette di accostarsi
all’inconoscibile, pur senza possederlo compiutamente, appunto perché
mistero.
Importante per la definitiva scoperta della dimensione religiosa
dell’esistenza da parte di Pavel Florenskij è l’incontro con due grandi
guide spirituali: il vescovo Antonij Florensov, conosciuto nel 1903, e lo
starec
22
Isidor Gruzinkij, ieromonaco presso il monastero della Trinità di San
Sergio, del quale scrive anche un intenso ritratto spirituale
23
.
Il percorso scolastico e accademico
A Tbilisi, dopo gli studi primari, frequenta il ginnasio e il liceo, dove
si appassionerà in particolare allo studio delle lingue classiche. In
questi anni dell’adolescenza gli interessi di Pavel si indirizzano
soprattutto verso le scienze naturali, la botanica, la geologia, la
matematica e la fisica. La lettura dell’opera di Lev Tolstoj lo aiuterà ad
abbandonare una concezione positivistica della realtà per volgersi verso
una più attenta considerazione della prospettiva spirituale.
Nel 1900 si iscrive alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di
Mosca. Partecipa anche alle lezioni di filosofia antica e di psicologia,
presso la facoltà di Storia e Filosofia. Nel 1904 si laurea in Matematica e
Fisica, sotto la direzione di Nikolaj V. Bugaev, uno dei più eminenti
matematici russi, tra i fondatori della “Società matematica moscovita”.
Pavel Florenskij discute una tesi che suscita molta sorpresa e interesse:
Sulle caratteristiche delle curve piane come luoghi di violazione del
principio di continuità
. Gli viene subito offerta la possibilità di continuare il lavoro di
ricerca in ambito universitario. Pavel Florenskij si avvia così verso una
brillante carriera accademica, ma ben presto l’abbandona per dedicarsi a
tutt’altro: si iscrive infatti all’Accademia Teologica di Mosca e si pone
alla ricerca delle radici della spiritualità e della tradizione teologica
ortodossa. Approfondisce con particolare interesse le lingue antiche, oltre
a dedicarsi con entusiasmo agli studi relativi alla Bibbia, alla liturgia,
alla patristica e alla dogmatica. Pavel Florenskij non abbandona comunque i
suoi interessi per la matematica, anzi cerca di indagare ancora di più il
rapporto fra finito e infinito, unità e molteplicità.
In questi anni di grandi fermenti culturali, Florenskij frequenta
assiduamente a Mosca un circolo letterario simbolista, occupandosi in
particolare di teoria della conoscenza, di storia della filosofia, di
archeologia e di cultura ebraica. Importante a questo riguardo il rapporto
di amicizia che lo lega a Andrej Belyi (figlio di Bugaev), teorico del
simbolismo, oltre che narratore e poeta. Scrive anche i suoi primi saggi
filosofico-teologici, tra i quali Sui simboli dell’Infinito (1904)
e Il concetto di Chiesa nella sacra Scrittura (1906), e il poema
lirico Il Mosaico escatologico. In contrasto con la cultura del
tempo, che era fortemente anticlericale, Pavel Florenskij matura un
crescente interesse per la cultura religiosa.
Nel 1908 termina gli studi all’Accademia Teologica con una tesi Sulla verità religiosa, che verrà pubblicata sulla rivista
“Voprosy religii”. Presso la stessa Accademia da lui frequentata gli viene
poi assegnata la cattedra di Storia della Filosofia. Qui tiene lezioni e
seminari dedicati in particolare a problematiche relative alla storia delle
idee e della Weltanschauung.
Il 23 agosto 1909 sposa Anna M. Giacintova (1889 – 1973), da cui avrà
cinque figli: Vasilij, Kirill, Ol’ga, Mikail e Marija Tinatin. Nel 1911,
viene consacrato sacerdote ortodosso.
Dal 1911 al 1917 gli viene affidata la direzione redazionale della
prestigiosa rivista teologica “Bogoslovkij Vestnik” (Messaggero Teologico),
che contribuisce a rinnovare sia nella metodologia di lavoro che
nell’orientamento teologico.
In questi anni che precedono la rivoluzione russa, Florenskij scrive
numerosi saggi e pubblica due importanti volumi: La colonna e il fondamento della verità, un’opera imponente che
suscita vasto interesse nella cultura russa di quegli anni e che oggi è
stata riscoperta come una delle opere più significative del pensiero
filosofico e teologico del Novecento; il secondo testo è Il significato dell’idealismo, dove raccoglie i suoi studi su
Platone e sul rapporto “uno – molteplice”. Partecipa inoltre in modo attivo
alla vita e al dibattito culturale, venendo in contatto con S. Bulgakov, N.
Berdjaev e con altri importanti intellettuali e uomini di Chiesa di quel
tempo
24
.
Dopo la rivoluzione russa (ottobre 1917), la vita di Florenskij cambia
nettamente. Il nuovo regime professa e pratica l’ateismo. L’Accademia
Teologica viene chiusa e nel contempo vengono introdotte precise forme di
censura, rivolte soprattutto verso la ricerca e l’attività religiosa. Nel
nuovo Paese comunista che si intende costruire, le Chiese, di qualunque
confessione esse siano, devono scomparire, per lasciare il posto ad un
“uomo nuovo”, nelle cui convinzioni la religione non trova spazio in quanto
considerata una sovrastruttura, una forma di alienazione.
Molti intellettuali russi prendono la via dell’esilio
25
. Florenskij invece decide di rimanere in patria, a fianco della sua gente,
con la speranza di riuscire a modificare, con i mezzi che ha a
disposizione, i perversi meccanismi della nuova ideologia che ha preso il
potere. Il regime socialista comincia a conferire nuovi incarichi a Pavel
Florenskij, al fine di sfruttarne pienamente l’eccezionale competenza
scientifica. Nel 1921 gli viene assegnata a Mosca una cattedra agli Atelier superiori tecnico-artistici di Stato. Viene anche
incaricato di approfondire il problema dell’elettrificazione della Russia e
pubblica vari contributi scientifici su questo argomento. Nello stesso
tempo però Pavel Florenskij continua ad esercitare il suo ministero di
sacerdote. Inoltre ai vari appuntamenti scientifici si presenta sempre
rigorosamente in abito talare.
Fondamentale è in questo periodo il suo contributo scientifico alla Gravelektro (Amministrazione centrale per l’elettrificazione della
Russia) e al Goeltro (Istituto Elettrotecnico di Stato), per i
quali mette a disposizione le proprie capacità di ingegnere elettrotecnico
e le ricerche che aveva effettuato nel campo dei materiali isolanti ed
elettrici.
Fra gli anni Venti e Trenta Florenskij scrive una serie di saggi contro la
campagna di dissacrazione dei luoghi e degli oggetti sacri, avviata dal
nuovo regime, ed anche contro il massiccio cambiamento dei nomi delle città
e delle strade, che era finalizzato a distruggere le basi storiche e
religiose della cultura russa.
Le ricerche scientifiche lo portano alla pubblicazione di opere come Gli immaginari in geometria, ben presto colpita dalla censura,
poiché riporta alcune tesi collegate alla concezione metafisica dello
spazio presente nella Divina Commedia di Dante. Altra importante
pubblicazione di questo periodo è l’opera Agli spartiacque del pensiero. Lineamenti di metafisica concreta,
in cui cerca di approfondire l’elaborazione teorica e concreta
dell’antropodicea. Un’importante serie di saggi verrà raccolta nell’opera L’incarnaziona della forma. Azione e strumento.
Nel 1927 Pavel Florenskij viene nominato coredattore della grande Enciclopedia tecnica, per la quale cura la stesura di ben
centoventisette voci.
Dai primi arresti al gulag
26
Verso la fine degli anni Venti il potere sovietico inizia a porre in atto
precise forme di persecuzione nei confronti della Chiesa ortodossa,
considerata “oscurantista”. Prima della rivoluzione vi erano in Russia
circa settantamila tra chiese e cappelle. Nel 1939, alla vigilia dello
scoppio della seconda guerra mondiale, restavano aperte solamente un
centinaio di chiese e quattro vescovi in attività.
Il monastero della Santissima Trinità di San Sergio, uno dei luoghi più
significativi della spiritualità russa, viene naturalmente preso di mira.
In questo monastero risiede Florenskij.
Il potere sovietico, pur interessato allo sfruttamento delle grandi
competenze scientifiche di Pavel Florenskij, non può accettare il fatto che
egli continui ad essere un sacerdote ortodosso e che si presenti sempre in
abito talare. Non è ammissibile che un grande scienziato sia credente e per
di più presbitero: “un pope” oscurantista non può essere così bravo in
campo scientifico. Così nel 1928 Pavel Florenskij viene arrestato per la
prima volta, in quanto considerato una minaccia per il potere sovietico.
Viene condannato a tre anni di confino da scontarsi a Niznij Novgorod.
Trascorre alcuni mesi in carcere, ma poi viene rilasciato grazie
all'interessamento della responsabile della Croce Rossa Politica, Ekaterina
Pavlovna Peskova, ex moglie di Gorkij. A questo punto ha la possibilità di
andare in esilio a Parigi, ma sceglie di condividere fino in fondo il
destino del suo popolo e di rimanere a fianco della sua comunità costretta
a subire le stesse violenze e gli stessi soprusi. Ha scritto a questo
riguardo Sergej Bulgakov: “Non è stato un caso che egli non sia partito per
l’esilio, dove poteva legittimamente attendersi un brillante avvenire
scientifico e forse anche la gloria, che per lui, comunque, era come se non
esistessero nemmeno. Sicuramente sapeva quello che lo aspettava in patria,
troppo implacabilmente lo testimoniavano i destini dei suoi connazionali, a
cominciare dal bestiale assassinio della famiglia imperiale fino alle
innumerevoli violenze del potere. Si può dire che la vita lo abbia posto di
fronte alla scelta tra Solovski e Parigi, e che egli abbia scelto la sua
patria, fosse anche Solovski, perché voleva condividere fino in fondo il
destino del suo popolo. Padre Pavel non voleva e non poteva organicamente
diventare un émigré, separarsi volontariamente o involontariamente
dalla sua patria. Lui e il suo destino sono la gloria e la grandezza della
Russia, e nello stesso tempo il suo più grande delitto”
27
.
Quando alcuni suoi studenti e amici gli chiedono un consiglio in merito
alla possibilità di andare in esilio, essendo ormai evidente il clima di
persecuzione e la mancanza di libertà, la risposta di Pavel Florenskij è
questa: “Quelli tra voi che si sentono abbastanza forti da resistere devono
restare, invece quelli che hanno timore e non si sentono saldi e sicuri
possono andare”
28
.
Per alcuni anni Pavel Florenskij può continuare nelle proprie attività.
Viene nominato vice-direttore di un Istituto elettrotecnico e membro della
Direzione centrale per lo studio del materiale elettro-isolante. Prosegue
anche la propria intensa attività di studio e ricerca, in campo filosofico,
scientifico e teologico.
Il 26 febbraio 1933 padre Pavel Florenskij viene arrestato per la seconda
volta, con l’accusa di far parte di un’organizzazione controrivoluzionaria.
Trascorre sei mesi nel tristemente noto carcere della Lubjanka, dove è
sottoposto a continue minacce e torture. Alla fine, dopo un processo farsa,
di cui recentemente negli archivi dell’ex Unione Sovietica sono stati
trovati vari documenti, Pavel Florenskij sceglie di autoaccusarsi, per
permettere così la liberazione di altri compagni di prigionia. Il 26 luglio
del 1933 è condannato a dieci anni di lavori forzati, con l’obbligo, però,
di proseguire nella propria attività scientifica. L’arresto di Pavel
Florenskij risponde al proposito del potere bolscevico di distruggere lo
storico e profondo riferimento del popolo russo alla Chiesa, non solo con
la chiusura e la distruzione dei luoghi tradizionali della fede russa, ma
anche con l’arresto e l’eliminazione delle guide e dei responsabili delle
varie comunità
29
. La persecuzione non si rivolge solo contro le comunità cristiane, bensì
prende di mira anche tutte le altre religioni presenti nel Paese.
Nell’agosto del 1933 Pavel Florenskij viene inviato nel lager di
Skovorodino, nella Siberia occidentale, ove è incaricato di condurre
ricerche sul gelo perpetuo e sul suo utilizzo in campo elettrotecnico
30
. In breve tempo Pavel Florenskij realizza importanti ricerche e scoperte
in merito ai liquidi anticongelanti e al permafrost.
Il 1 settembre 1934 viene trasferito nel lager delle isole Solovki, situate
nel mar Bianco. Qui viene incaricato della direzione di un laboratorio per
l’estrazione dello iodio e dell’agar-agar dalle alghe marine. Approfondisce
anche, nonostante le terribili condizioni di lavoro e i pochi mezzi a
disposizione, vari aspetti di chimica organica e di botanica.
Le isole Solovski ospitavano, prima della rivoluzione russa, un antico
complesso monastico, che costituiva uno dei maggiori centri di spiritualità
della Chiesa ortodossa russa
31
. Con la presa del potere ad opera dei bolscevichi, questo antico
santuario, considerato dal totalitarismo comunista “simbolo di
oscurantismo”, viene trasformato, a partire dal 1923, prima in un luogo di
“rieducazione al lavoro”, poi in una gigantesca prigione, caratterizzata da
durissime forme di repressione, che spesso sfociavano nella malattia e
nella morte dei detenuti. In questo “cantiere infernale”, come molti
testimoni hanno definito le isole Solovski, trovarono la morte oltre un
milione di persone
32
.
Questa nuova “vocazione” delle isole Solovski, trasformate in luogo di
rieducazione, viene così delineata su un giornale del tempo: “Per cinque
secoli le Solovski hanno ottenebrato le menti del popolo. Oggi vi sorge un
campo di concentramento, dove vengono rieducati i cittadini che hanno
commesso dei crimini. Si è spento l’eco delle campane delle Solovski. Si è
destata una nuova vita. Lambite dalle onde impetuose del mare, le stesse
Solovski rivivono di una nuova impetuosa vita. Le Solovski sono diventate
ora il sanatorio che risana le infermità del passato. Si è spenta l’eco
della preghiera nella chiesa grande e solo raramente echeggiano suppliche
nella chiesa del cimitero, ma del resto sono ormai pochi quelli che le
ascoltano”
33
.
Dal lager, uno sguardo ecumenico
Nel libro La colonna e il fondamento della verità
34
, scritto appena prima della rivoluzione del 1917, Pavel Florenskij aveva
avuto parole molto dure nei confronti della Chiesa cattolica e di quella
protestante. Successivamente, soprattutto gli anni trascorsi nei lager
portano Florenskij ad avere uno sguardo chiaramente ecumenico, come emerge
molto bene da queste sue riflessioni: “Anche i fossati più profondi tra le
religioni non possono creare tra di loro divisioni tali da rompere
definitivamente la loro radicale unità.(…). Ogni confessione e ogni
religione poggiano in qualche misura sull’autentica realtà spirituale e
quindi non sono completamente prive della luce della verità. Per quanto
possano essere grandi e profonde le differenze religiose e confessionali,
esse sono comunque relative: alcune confessioni vivono in piena libertà,
altre in parchi recintati, altre in cortili piccoli ma con alte mura di
cinta, altre in torri auguste, altre in tende con una stretta apertura per
il fumo, altre ancora non hanno sulla testa che una stretta fessura. E gli
uomini che si trovano in queste differenti situazioni sono in condizioni
psicologiche e fisiche differenti, e possiedono orizzonti molto diversi. Il
cielo, da cui tutti ricevono luce, non appare omogeneo sulle loro teste e
tuttavia è un unico cielo. Vederlo magari anche attraverso una fessura è
meglio che non vedere nulla. Questo cielo è Dio. Avere una fede qualsiasi è
meglio che non averne nessuna, poiché la fede dà un autentico contatto con
il mondo spirituale. (…). Il mondo religioso è frantumato, soprattutto
perché le religioni non si conoscono reciprocamente. Anche il mondo
cristiano è frantumato per lo stesso motivo, perché le varie confessioni
non si conoscono reciprocamente.Tutte occupate in una polemica che
esaurisce, non hanno la forza di vivere per se stesse. (…). Se anche una
minima parte dell’energia che si disperde nell’ostilità verso gli altri,
fosse usata per amare se stessi, l’umanità potrebbe riposare e prosperare”
35
.
La fucilazione
Pavel Florenskij sta diventando una figura sempre più scomoda per il
regime. Nonostante le persecuzioni e gli anni trascorsi in carcere,
continua a professare la propria fede. Ciò è inaccettabile per il potere
totalitario, poiché un grande scienziato non può essere anche un credente.
Il 25 novembre 1937 la trojka speciale della zona di Liningrado condanna
Pavel Florenskij alla pena suprema, considerandolo un pericoloso
controrivoluzionario e dunque una minaccia per lo Stato sovietico. Assieme
ad altre cinquecento persone viene trasportato dalle isole Solovki a
Leningrado (oggi san Pietroburgo): sono cinque giorni di viaggio in
condizioni disumane nei cosiddetti “vagoni della morte”. In un bosco poco
lontano dalla città, Pavel Florenskij viene fucilato nella notte dell’8
dicembre 1937.
Gli atti giudiziari rimarranno a lungo segreti. Solamente negli anni ’90
sarà possibile avere accesso agli archivi di stato. È così che l’11 gennaio
1990, una lettera del KGB di Mosca comunica ai familiari di Pavel
Florenskij le circostanze della sua morte. Ancora oggi è sconosciuto il
luogo della sepoltura. Negli ultimi anni, tuttavia, sono state scoperte nel
bosco di Sandormoch, nei pressi di San Pietroburgo, delle fosse comuni di
prigionieri che provenivano dalle isole Solovki. I resti di Pavel
Florenskij sono probabilmente in quelle fosse comuni.
Alla notizia della sua morte, il teologo Sergej Bulgakov così lo ricorda:
“Di tutti i contemporanei che ho avuto la ventura di conoscere nel corso
della mia lunga vita, egli è il più grande. E tanto più grande il delitto
di chi ha levato la mano su di lui, di chi lo ha condannato a una pena
peggiore della morte, a un lungo e tormentoso esilio, a una lenta agonia"
36
.
Le lettere dal lager
Durante gli anni trascorsi nei lager, Pavel Florenskij riesce, due o tre
volte al mese, a scrivere delle lettere ai propri familiari. Questi testi,
raccolti in un volume e pubblicati in Russia solo nel maggio del 1998,
rappresentano un documento eccezionale, di assoluta bellezza e intensità
37
. Si tratta della testimonianza straziante di un uomo che un potere cieco
ha privato della libertà tentando, senza riuscirci, di umiliarne
l’intelligenza e la fede. Pavel Florenskij, dall’inferno delle Solovki,
cerca con queste sue lettere di contribuire alla crescita umana, culturale
e spirituale dei figli e intende farli partecipi del suo lavoro. Si rivolge
con premura e delicatezza ad ognuno di loro, cercando di stimolare lo
sviluppo dei talenti e degli interessi personali di ognuno. Non smette
nemmeno nel lager di proseguire nella propria attività e ricerca
intellettuale, come testimoniano le lettere in cui parla di Shakespeare e
di Puskin, di Bach e di Mozart, di Dostojevki e di Tolstoj. Frequenti sono
anche le riflessioni sugli aspetti naturalistici e scientifici, sulla
botanica, la cosmologia, la mineralogia. Nell’epistolario dal lager non
emergono le posizioni teologiche e le riflessioni di Pavel Florenskij sulle
varie tematiche di fede. Il freddo ed intransigente controllo della censura
impediva a lui, sacerdote, di esprimere le proprie riflessioni in tal
senso. Così le lettere di Florenskij rappresentano uno dei primi tentativi
di riflessione teologica condotta senza far ricorso alle categorie e al
linguaggio proprio di una tale attività, a partire dal paradosso di parlare
di Dio senza mai nominarlo
38
. Da questo punto di vista le lettere offrono una nitida rappresentazione
della tragedia vissuta dalla cristianità ortodossa sotto il dominio del
totalitarismo sovietico. Dalle lettere emerge una situazione desolante, di
grande sofferenza fisica e morale. Nonostante ciò, si avverte un forte
radicamento spirituale che porta Pavel Florenskij a sperare contro ogni
speranza e a ricercare la serenità interiore. Dalle parole di Pavel non
affiora né odio né rivolta, bensì tanta amarezza, ma anche altrettanta
misericordia. Pur nella consapevolezza che la fine si sta avvicinando,
Pavel Florenskij respinge ogni forma di odio poiché ciò renderebbe, secondo
lui, il mondo ancora più inospitale.
PAVEL FLORENSKIJ
Lettere dal lager
39
18 agosto 1933
Dopo essere stato arrestato, Pavel Florenskij viene portato alla
Lubjanka, il luogo di carcerazione preventiva più tristemente famoso di
Mosca. Da qui inizia il suo viaggio verso i gulag della Siberia. La
lettera qui riportata si riferisce proprio alla prima parte di questo
viaggio.
Cara mammina
40
,
ti scrivo da Sverdlovsk, dove ci siamo fermati, probabilmente per alcuni
giorni. Il tragitto fino a Sverdlovsk non è stato facile; come sarà in
seguito, non lo so. La mia destinazione è la città di Svobodnyj,
nell’Estremo Oriente, ma forse da lì mi manderanno da qualche altra parte.
Nel frattempo, ero molto preoccupato per la tua salute, ma dopo ho saputo
da Anna che non stai male. Sono lieto d averti visto l’estate scorsa.
Ho appena appreso che partiremo da qui il 21 agosto. Negli ultimi quattro
anni più volte mi sono rallegrato per Gosja
41
, poiché avrebbe dovuto soffrire troppo e non ce l’avrebbe fatta. Non ho
nessuna notizia di Lilja
42
, Sura
43
e Andrej
44
. Quando scriverai loro, salutameli.
Mi dispiace molto di non avere gli occhiali e quindi di non potere vedere i
paesaggi del tragitto, sebbene nel vagone detenuti, anche avendo gli
occhiali, sarebbe difficile fare tali osservazioni. In viaggio tutti
vengono derubati dai ladruncoli che nel vagone sono superiori di numero:
per questo bisogna viaggiare avendo pochissima roba. Inoltre anche gli
accompagnatori ti chiedono in dono di tutto e te lo strappano di mano.
Tutti siamo affamati, cenciosi e ridotti male.
Ti bacio, cara mammina. Un saluto a Ljusja
45
e a zia Sonja.
6 ottobre 1933
Questa lettera, scritta durante la detenzione in un lager della regione
Zabajkalskij, in Siberia, oltre il lago Bajkal, permette di conoscere i
molteplici interessi scientifici di Florenskij, culminati in
pubblicazioni o in manoscritti che stavano per essere pubblicati prima
dell’arresto.
Cara Anna
46
,
non ti ho scritto per così tanto tempo, perché non avevo soldi per
comprarmi un francobollo e poi aspettavo un eventuale trasferimento in un
altro posto. Attualmente, già da una settimana, vivo in un luogo nuovo,
situato più verso Oriente, ma sempre in riva all’Urium. Le montagne qui
sono più alte, il paesaggio più bello, ma l’ambiente è più urbano. Del
resto lavoriamo la terra assieme agli udarniki
47
,
per cui non sto sempre chiuso in camera, ma passo circa cinque ore all’aria
aperta. Il sole continua a brillare. Di notte fa molto freddo, saranno più
di 30° sotto zero, ma se si sta al sole, si sta bene. Il freddo comunque
qui non si sente come a Mosca: i 30° di qui corrispondono
approssimativamente ai nostri 10°. È nevicato un po’ e la neve leggera ha
cosparso le montagne, cosicché il loro rilievo ora si delinea in modo
particolarmente evidente. Al sorgere del sole e al tramonto tutto è
purpureo e purpureo-roseo. Dalle nove di mattina fino all’una o alle due di
notte si lavora, ma a metà della giornata, dalle cinque alle sette, c’è un
intervallo, durante il quale tutti pranzano e dormono. Non c’è un attimo
per fare qualcosa in modo autonomo ed è quasi impossibile trovare tempo
anche per mettersi a scrivere una lettera.
Ultimamente, prima di trasferirmi in un nuovo alloggio, dovevo camminare
molto a causa del lavoro, spesso da solo. A volte seguivo le rotaie della
ferrovia, altre volte i sentieri in montagna, tra polloni di larice. Qui
vicino non ci sono veri boschi, ma piuttosto alberelli bassi, che crescono
a fitti gruppi e che sono poco frondosi. Tuttavia, per le necessità del
cantiere edile, portano da fuori grossi tronchi di larici, purpurei e
violacei sotto la scorza esterna, di un colore meraviglioso. I toni
violacei, rosei e purpurei sono qui preponderanti, almeno in questo
periodo, cioè in autunno e in inverno, e conferiscono al paesaggio un
carattere del tutto speciale.
Ora che abito nel nuovo alloggio, vedo l’ambiente naturale solo passando
per strada o durante i lavori, quando facciamo gli straordinari; in genere,
sto in camera a fare calcoli e a scrivere. È veramente molto difficile
stare senza occhiali; qui non è possibile procurarseli. Speditemeli, come
da ricetta allegata che, per ogni eventualità, riproduco qui sotto:
lenti biconcave, 4D, distanza fra i centri 62 millimetri.
È meglio prendere lenti allungate e non rotonde, ma non è indispensabile.
Ho sempre in mente tutti voi e vivo solo di questo. Sono estremamente
preoccupato per non avere finora ricevuto da voi nemmeno una riga; non so
come e con quali mezzi vivete. Come ho già scritto, desidererei tanto che
Michail Vladimirovic pubblicasse il
Dizionario dei nomi dei materiali isolanti nell’industria elettrica
. Da questa pubblicazione lui e voi riceverete qualcosa. Le bozze può
spedirmele per le relative correzioni(ci vorrà un mese perché arrivino qui
e tornino indietro), ma non spedite il manoscritto.
Dì a Vasia di trovare i miei manoscritti:
1 - sull’asfalto di Giungar (in una cartella speciale, a Mosca);
2 - sulla capillarità del suolo: calcolo riguardante particelle elissoidali
(in una cartella speciale a Mosca) e di spedirmeli. Io cercherò di
completarli per la pubblicazione. Ma è necessario aggiungervi anche quei
materiali che sono già pronti per questi lavori e che si trovano sempre
nelle cartelle. Il primo lavoro esiste in diverse copie; non speditemele
tutte. Il secondo è un manoscritto, c’è anche una tavola numerica e alcuni
diagrammi.
Inoltre Vasia
48
dovrebbe dire (anche per mezzo di qualcun altro) a un impiegato del VEI
49
, K. A. Adrianov
50
, di spedirmi una copia dello scritto relativo alla re sistenza chimica dei materiali isolanti oppure di provvedere egli
stesso alla pubblicazione, ma le bozze devono essere spedite a me comunque.
Un altro scritto già completo, sull’utilizzo di pellicole laccate, si trova
al VEI. È necessario che sia pubblicato oppure spedito a me; una parte di
questo scritto ce l’ha Kremnevskij
51
, il resto Volkenstein
52
: ci dovrebbe pensare Kremnevskij.
Un altro articolo, scritto a macchina sulla carta velina, era a Mosca,
sulla mia scrivania o nella mia borsa. Là si tratta del tempo di
polimerizzazione della bachelite. Dovrebbero esserci anche i disegni
relativi ad esso, ma non so se siano da me o se li abbia Kremnevskij.
Speditemi anche questo scritto con i disegni.
Spero, in base a quello che mi è stato detto, di essere trasferito
prossimamente verso est, nella città di Svobodnyi, in cui dovrei avere la
possibilità di studiare, mentre qui non ci sono né libri, né laboratori, né
tempo, perché il tipo di lavoro è totalmente diverso, legato ai calcoli e
cose simili. Anche se l’avevo già scritto, per ogni eventualità scrivo di
nuovo sui soldi. Puoi ritirare ciò che mi spetta:
-
alla redazione dell’Enciclopedia Tecnica;
-
per la traduzione del libro di Stager Materiali di isolamento potrebbe farlo Michail
Vladimirovic;
-
alla cassa (di risparmio) del VEI: la procura te l’ho spedita;
dovrebbe esserci una certa somma;
-
si potrebbe forse avere qualcosa (ma penso che sia difficile) dalla
redazione di “Chimplastmassy”: anche queste trattative potrebbero
essere svolte da Michail Vladimirovic. La procura per ricevere
questi soldi l’ho data un anno fa al redattore tecnico, ma lui, o
non ha ricevuto i soldi, o non me li ha consegnati. Forse Michail
Vladimirovic potrebbe parlagliene e, se lui non dà i soldi,
restituisca almeno la procura. Perché sia eliminata.(…).
Come sta di salute la tua mamma e come va la mia? I figli mi ricordano
ancora con amore o cominciano a dimenticarmi? Dì a Vasja che qui ho scritto
un breve articolo, ma di contenuto importante, e che l’ho spedito
all’Accademia delle Scienze. Questo scritto è dedicato al cosiddetto
teorema dei quattro colori in cartografia.
Scrivimi come stanno i ragazzi: Vasja e Kira
53
si sono arrangiati con la camera, la roba e il mangiare? Scrivimi anche dei
bambini di Olja
54
, di Mik
55
e di Tika
56
, della mamma. Un bacio forte a te, mia cara, e a tutti voi; salutami la
tua mamma e Anastasia Fedorovna
57
.
12 novembre 1933
Le due lettere che seguono esprimono molto chiaramente la
preoccupazione educativa che animava Pavel Florenskij. Sono infatti
ricche di suggerimenti per l’educazione e l’istruzione dei propri
figli.
Cara Olecka
58
,
ho ricevuto la tua lettera e ora mi metto a risponderti. Innanzitutto, non
ti preoccupare per i tuoi insuccessi a scuola: tutto andrà bene e si
aggiusterà nel modo migliore. Studia con tranquillità, momento per momento,
ciò che ti è accessibile; cresci, completa il tuo sviluppo e sii sicura che
tutto quello che accumulerai con il tuo lavoro oggi, che sei giovane, un
giorno ti servirà, anzi, succederà che ti occorrerà proprio questo sapere
che ora sembra casuale. Te lo dico sulla base di una lunga esperienza di
vita.
Cosa devi fare allora? Per prima cosa bisogna acquisire certe nozioni che
sono necessarie indipendentemente dal mestiere che farai in seguito:
lingue, letteratura, matematica, fisica e scienze naturali, disegno (almeno
un po’), anche pittura e musica. Queste cose sono indispensabili in
qualunque situazione di vita e qualsiasi attività si svolga. Impara ad
esporre i pensieri, tuoi e quelli degli altri, impara a descrivere;
acquista l’abitudine a un atteggiamento attento verso la parola, lo stile,
la costruzione. È bene che tu abbia cominciato a studiare il tedesco in
modo serio; non dimenticare però di studiare anche il francese: per questo
leggi ogni giorno almeno una pagina, ma assolutamente a voce alta, e cerca
le parole sconosciute nel vocabolario. Non è male anche leggere in francese
avendo la traduzione russa del testo e confrontando cosa e come è tradotto,
cogliendo i difetti della traduzione.
In generale, cerca di far sì che le lingue, quella russa come quelle
straniere, siano per te un suono vivo e non solo segni sulla carta. Ricorda
pertanto di leggere ad alta voce anche gli scritti russi, se non interi,
almeno in parte, cogliendo la perfezione del suono e il ritmo della
costruzione, sia dal punto di vista sonoro, sia da quello contenutistico ed
espressivo. Leggi immancabilmente a voce alta belle poesie, soprattutto
quelle di Puskin e di Tjutcev; mentre gli altri ascoltino, per imparare e
riposarsi. Mi sono imbattuto qui in un volume di Puskin, dell’edizione del
Polivanov. Quanto è stato bello, dopo il pranzo, in riva al fiume Urjum,
leggere le poesie di Puskin a voce alta e meditare sulla somma perfezione
di ogni parola, di ogni modo di dire, senza parlare della costruzione del
tutto!
Per la matematica, cerca non solo di ricordare semplicemente cosa e come
fare, ma anche di capirlo e di apprenderlo come si apprende un pezzo
musicale. La matematica non deve essere nella mente come un peso portato
dall’esterno, ma come un’abitudine del pensiero: bisogna imparare a vedere
i rapporti geometrici in tutta la realtà e individuare le formule in tutti
i fenomeni. Chi è capace di rispondere all’esame e di risolvere i compiti,
ma dimentica il pensiero matematico quando non si parla direttamente di
matematica, non ha appreso la matematica.
Mi chiedi se devi studiare la botanica. Certamente, nei limiti del tempo e
delle possibilità, sforzati se non di studiare, almeno di prepararti a tali
studi: guarda più spesso le illustrazioni nei testi di botanica,
confrontando le piante disegnate con quelle vere, cerca di comprendere lo
stile delle specie, quell’unità artistica e biologica che sta alla loro
base. Devi infine a poco a poco accumulare quanti più nomi di piante, ma in
modo che non siano nomi vuoti, ma salvadanai in cui si raccoglieranno le
informazioni sulla vita, sulle proprietà e sull’utilità delle piante
contraddistinte da questi nomi.
Tieni conto che non è bene accedere ad alcuna scienza senza un bagaglio
acquisito precedentemente: ciò costringe a trascinare una zavorra morta e
nociva e gli studenti, non potendola digerire subito, rimangono per sempre
con le teste ingombre. Quando passeggiavamo insieme, cercavo di rivolgere
la vostra attenzione sulla somiglianza di singole piante, di dirvi i nomi
di alcune di esse. Ora a queste informazioni bisogna aggiungere le
caratteristiche tecniche delle piante. In particolare, leggi ogni tanto la Vita delle piante di Kerner von Marilaun: lì troverai molte cose
utili; non avere fretta, è meglio che tu legga a porzioni, tranquillamente,
assimilando e riflettendo. È molto importante guardare le raffigurazioni
della stessa pianta in diversi libri, e in genere tornare più volte alla
stessa pianta per saperla riconoscere.
Un bacio a te, cara Olecka, bacia la mammina. Vivi con forza e allegria,
lavora e sii sana. Tuo papà. Dì alla mamma di non preoccuparsi per me,
perché trovo sempre qualcuno che ha cura di me e mi aiuta a organizzarmi
col cibo e le altre cose quotidiane.
14 novembre 1933
In questa lettera Pavel Florenskij descrive l’ambiente che lo circonda.
Siamo oltre il lago Bajkal, in piena Siberia, verso l’estremo confine
orientale della Russia. La località si chiama Ksenievskaja ed è situata
lungo la linea della ferrovia.
Caro Mik,
ho ricevuto da te una sola lettera con i tuoi voti di scuola. Mi è
dispiaciuto che non mi abbia scritto niente dell’estate, cioè di come l’hai
passata e di quanto hai camminato per il bosco e le paludi. I tuoi voti
sono buoni, ma la geografia dovresti conoscerla particolarmente bene, visto
che tu ed i tuoi fratelli siete spesso in viaggio. Leggendo i libri ed
ascoltando le storie che ti capita di sentire, sarebbe bene che tu
individuassi tutti i luoghi sulla carta, misurassi le distanze fra di essi,
ti informassi della loro altitudine sul livello del mare e provassi a
trovare qualcosa sulla loro natura e popolazione. Se ti imbatti nel nome di
qualche animale o pianta, cercalo su un’illustrazione nel libro o nel
Dizionario Enciclopedico. Così leggere sarà per te più interessante e anche
più utile. Dovresti acquisire l’abitudine di cercare sempre tutte le
informazioni che non conosci relative a ciò che hai letto.
Ho sempre il ricordo tuo, di Tika e di tutti voi. Vorrei farti vedere il
fiume Urium, trasparente e pulito, i larici, i monti e i bellissimi colori
del cielo e di tutto il paesaggio, soprattutto al sorgere del sole. Ti
riferisco alcune informazioni sul posto in cui mi trovo: eccoti ancora
qualcosa che fa parte della geografia. Mi trovo nella regione al di là del
lago Bajkal, relativamente vicino all’estremo est della Russia. Ma anche
questo posto è molto a Est: gli Urali, il Caucaso, tutto questo è a Ovest
di noi. Anche l’India Orientale e la Persia rispetto a noi si trovano a
Occidente. Il sole sorge da noi sei ore più tardi che a Zagorsk: quando
vado a pranzare alle tre, tu stai andando a scuola. Quindi, trasferitomi
qui, sono invecchiato di ben sei ore.
Il posto è alto, si trova a più di 1500 metri sul livello del mare. L’aria
pertanto qui è lieve, il cuore batte più forte del solito e per questo si
deve andare a fare pipì molto spesso: non solo io, ma tutti, ce la facciamo
appena a resistere fino all’ultimo. L’aria è pulita e trasparente; anche
nei gabinetti, molto sporchi, non c’è nessun puzzo, perché non avviene la
fermentazione. Il clima è continentale secco, le precipitazioni sono
rarissime, i cambiamenti di temperatura sono bruschi. Si dice che qui piova
assai poco. E difatti finora non ho visto neanche una pioggia; la neve, sì:
è nevicato per una o due notti e la neve ha coperto un po’ le montagne, con
uno strato molto sottile che si vede da qualche parte. Vento non ce n’è e
il fumo si leva a colonne direttamente verso l’alto: è uno spettacolo molto
bello.
Di pomeriggio, al sole, fa caldo anche in questa stagione, ma di notte,
dopo il tramonto, diventa freddo e gela fino a meno 30°, e dicono che
d’inverno si arrivi a meno 60°. Tuttavia, per la mancanza di venti, è più
facile sopportare i meno 30° di qui che i meno 15° di Zagorsk. Quando c’è
il sole, basta entrare nell’ombra per avere subito freddo. Ma il cielo è
quasi sempre sereno, il sole brilla dalla mattina alla sera. L’acqua nel
fiume è assolutamente trasparente. Le sabbie qui sono ovunque aurifere e
sulle sponde si trovano gli insediamenti dei cercatori d’oro. Sembra che i
cercatori d’oro e i cacciatori siano quasi gli unici abitanti di queste
zone, senza contare coloro che stanno nei lager; per il resto, il posto,
soprattutto fuori dall’area della ferrovia, è del tutto disabitato. Sulle
montagne crescono larici e, in parte, pini; ma nella maggior parte dei casi
gli alberi sono piccoli, sono piuttosto cespugli che un bosco vero e
proprio. Il larice, scorticato un po’, ha un colore purpureo di una
bellezza particolare, mentre il legno, seppure non sempre, è arancione.
Ecco, caro ragazzo, ora puoi farti un’idea del luogo in cui vivo. Bisogna
anche aggiungere che sulle montagne corrono capre di montagna e geiran
59
, e sembra che ci siano anche i maral
60
.
Un bacio forte al mio caro figliolo. Bacia per me la mamma, i fratelli e le
sorelle. Salutami le nonne.
28 novembre 1933
Le autorità sovietiche sapevano perfettamente che Pavel Florenskij era
un grande scienziato. Pertanto nei lager, che erano dei campi di
lavoro, gli affidano compiti in qualche modo collegati alla sua
preparazione scientifica. Così Florenskij, pur con pochi mezzi a
disposizione, può continuare a studiare, ricercare e progettare. Le due
lettere che seguono evidenziano come Florenskij fosse ad esempio molto
interessato a trovare le modalità per sfruttare il gelo perpetuo tipico
delle regioni siberiane in cui si trovava a vivere.
Ho appena saputo che è deciso il mio trasferimento per la città di
Svobodnyi, e partirò domani, naturalmente se troverò posto in treno, il che
non è sempre così semplice, essendo qui i treni sempre sovraccarichi.
Mi dispiace lasciare Ksenievskaja, perché mi sono già abituato alle persone
e in parte anche al lavoro. Tutti però dicono che là, a Svobodnyi, ci
saranno condizioni migliori per il lavoro scientifico. Forse là sono già
arrivate le vostre prime lettere. Il clima a Svobodnyi è più temperato che
qui, per via della minor altitudine e della vicinanza (naturalmente
relativa) al mare. Secondo le proporzioni di qui, mille chilometri sono da
considerarsi “vicino” e, poiché fino a Svobodnyi dovrò percorrere 1200
chilometri, diciamo che è vicino. (…).
Qui godo del sole. Ogni giorno, dal mattino presto alla sera tardi, il
cielo è senza nubi e splende il sole, cosicché anche quando il gelo è
forte, al sole si sta bene e tutto è pieno di luce.(…). Dicono però che
anche a Svobodnyi il sole non sia meno frequente. Una persona che ci ha
vissuto per tre anni mi ha assicurato che su 365 giorni 360 sono di sole.
Quindi è una vera e propria stratosfera! In queste condizioni si può fare
un buon lavoro sul gelo perpetuo del suolo e dei terreni, cosa che finora
non è ancora stata studiata, nonostante la straordinaria importanza di
questo fenomeno in tutti i campi dell’economia e in generale per la
comprensione del mondo.
Quasi la metà dell’Unione Sovietica si trova nella condizione del gelo
perpetuo (il 47% del territorio) e fino ad oggi non conosciamo con
esattezza la frontiera della zona gelata, per non parlare delle cause,
delle dinamiche, del significato e dei mezzi per lo sfruttamento del gelo o
per la lotta con esso.
Ti scrivo queste cose per farti vedere le grandi possibilità di lavoro in
questa regione. Già fin d’ora, pur non avendo ancora cominciato ad
affrontare questi problemi, mi sembra di intravedere diverse conseguenze
pratiche di questo lavoro, per l’utilizzo del gelo nel campo dell’industria
elettrica, cosa che può essere importantissima per l’imminente
elettrificazione di questa regione. Non preoccuparti, dunque, per me e
soprattutto bada bene alla tua salute.
Ti bacio con affetto, cara mammina. Baciami Ljusja e dille di non lavorare
troppo.
Tra l’altro, qui spesso incontro delle persone del Caucaso e perciò ricordo
i luoghi in cui sono stato, il mare e le montagne. E siccome anche
l’ambiente naturale ricorda il Caucaso, i ricordi d’infanzia mi si
ripresentano particolarmente luminosi
61
.
Finisco la lettera per poterla consegnare in tempo.
Un altro bacio.
6-9 dicembre 1933
Caro Kirill,
ecco che ancora una volta ti scrivo da un posto nuovo, ossia dalla città di
Svobodnyj, lungo il fiume Zeja
62
. Sono arrivato il 2 dicembre al mattino presto, ho cominciato a sistemarmi
e oggi, 9 dicembre, che riprendo questa lettera, mi sono del tutto
stabilito.
Sto cominciando un grande lavoro sullo studio della fisica del gelo; ora
stendo un piano di lavoro e leggo la letteratura scientifica.
Probabilmente, tra due mesi, da qui andrò alla Stazione di studi sul gelo,
dove potrò fare degli esperimenti. Questi lavori sono ben collegati a una
parte di ciò che facevo a Mosca. Spero di poter fare qualcosa di utile per
lo sviluppo economico di quelle regioni il cui territorio è sempre
ghiacciato, e in particolare per l’estremo est russo. Al gelo perpetuo è
legata una gran quantità di fenomeni caratteristici della natura di qui.
A proposito, l’ambiente naturale di Svobodnyi non è interessante. La vasta
valle del fiume Zeja è irrimediabilmente piatta e triste, spuntano solo le
dune di terra sabbiosa sulle quali crescono le querce della Manciuria, che
hanno l’aspetto di cespugli (così mi sono state descritte, io stesso le ho
viste solo di lontano e non le conosco). Il luogo è abbastanza basso e
l’aria è del tutto diversa da quella di Ksenievskaja, il cielo non è così
terso, il sole è pallido e riscalda debolmente. La città è costituita da
case basse di legno, piuttosto distanti una dall’altra, in vie molto larghe
e lunghe. Il terreno è sabbioso e il manto di neve è talmente sottile che
spesso si interrompe e lungo le strade non vedi la neve, ma la sabbia
mescolata alla neve. Insomma, non c’è niente di bello o attraente.
13 ottobre 1934
Pavel Florenskij aveva potuto incontrare la moglie e i figli, per la
prima e ultima volta dopo il suo arresto, agli inizi di luglio del
1934. A questo incontro fa riferimento in questa lettera.
Dopo vari trasferimenti, ora Pavel Florenskij scrive dalla città di
Kem’, in riva al mar Bianco, dove si trovava un lager di smistamento.
Qui venivano accolti i detenuti spediti dalle carceri della Russia per
essere poi trasferiti alle isole Solovki. Il lager di Kem’ era
tristemente famoso per le brutalità che venivano commesse nei confronti
dei detenuti
63
.
Cara Annulja
64
,
sono molto preoccupato per voi, perché sono ormai due mesi che non so
nulla, e voi, per giunta, avete dovuto affrontare il viaggio. Prima non mi
era permesso scrivere e in ogni caso non avevo niente da dire, perché non
sapevo nulla di preciso. Il 16 agosto sono partito da Ruchkovo, dal 17 al 1
settembre sono rimasto recluso in un carcere di isolamento a Svobodnyj, dal
1 al 12 settembre, scortato da guardie speciali, sono andato fino a
Medvezja gora, dal 12 settembre al 12 ottobre sono stato recluso in un
carcere di isolamento a Medvezja gora, e il 13 sono arrivato a Kem’, dove
attualmente mi trovo.
Arrivato al lager, sono stato derubato nel corso di un attacco armato ed
ero sorvegliato da uomini con tre asce; ma, come vedi, mi sono salvato,
anche se sono rimasto privo di vestiti e di soldi; del resto, una parte dei
vestiti è già stata trovata. Durante tutto questo tempo ho sofferto fame e
freddo. In generale la mia situazione era assai più grave e peggiore di
quanto avessi potuto immaginare partendo dalla stazione di Skovorodino.
Sarei dovuto andare alle Solovki, il che non sarebbe male, ma sono rimasto
bloccato a Kem’ e sono impegnato nella riscrittura e nella compilazione
delle schede di registrazione. Tutto si mette disperatamente male, ma non
vale la pena di scriverne. Non c’era alcun motivo particolare per portarmi
qui e ora parecchi vengono trasferiti al nord.
Un bacio forte a tutti voi, soprattutto ai ragazzi che non ho potuto
vedere. Chiedi a Pavel Nikol di spedire la mia roba – biancheria intima e
altro – a te e non a me, perché io non ho la possibilità di occuparmene.
Vivo adesso in una baracca colossale, in una stanza enorme, insieme a
persone di diverse minoranze etniche, per cui sento discorsi in tutte le
lingue orientali. Non posso spedire un telegramma perché non ho soldi, per
fortuna mi hanno venduto due cartoline. Sono sano, ma certamente molto
dimagrito e indebolito. Kem' è una città disgustosa: tutta piena di fango,
grigia, spenta e triste. Sperare in un'attività scientifica qui è
assolutamente impossibile; non solo per qualcosa di serio, ma di qualsiasi
tipo.
Ho continuamente l’immagine di tutti voi davanti a me, nonostante un forte
indebolimento della memoria e l’intontimento generale.
Scrivetemi all’indirizzo: Città di Kem’, 1mo punto lager del 9° reparto del
canale mar Bianco – mar Baltico.
Aspetto una vostra lettera.
Scrivetemi al più presto.
Un forte bacio.
7 novembre 1934
Il 23 ottobre 1934, dopo l’attraversamento del mar Bianco, Pavel
Florenskij è giunto alle isole Solovki
65
.
Sono seduto nell’ufficio e sono di turno al centralino telefonico. Voglio
comunicarvi subito che ieri ho traslocato in una nuova stanza, molto più
piccola, più calda e gradevole della precedente.
In occasione delle feste d’ottobre
66
è stata organizzata qui una piccola mostra di prodotti locali, soprattutto
verdure e ortaggi. Nonostante la latitudine, qui si coltivano ortaggi di
straordinarie dimensioni: patate, navoni, rape da foraggio e rape bianche;
le carote e le rape rosse sono più piccole e meno buone; molto buono è il
cavolo, anche il cavolfiore. I cereali che si trovano sono: avena, segale,
frumento. Proprio ieri ho lavorato in un campo da miglioria: la torbiera di
un bosco paludoso viene ora trasformata in terreno agricolo e bisogna
togliere dal suolo della palude tutte le radici e accatastare i tronchi.
Ieri è caduta la prima neve, che ha dato al paesaggio un aspetto migliore;
il cielo invece rimane disperatamente grigio.
Da molto tempo sono arrivato alla conclusione che, nella vita, tutti i
nostri desideri si realizzano, ma si realizzano con troppo ritardo e in
modo irriconoscibile e caricaturale. Negli ultimi anni desideravo una vita
a stretto contatto con un laboratorio e questo si è realizzato, ma a
Skovorodino. Avevo intenzione di occuparmi di problemi del suolo e pure
questo si è avverato, sempre lì. In passato sognavo di vivere in un
monastero e adesso ci vivo, ma sulle isole Solovki. Durante l’infanzia
avevo l’idea segreta di vivere su un’isola, di osservare l’alta e bassa
marea e di occuparmi di alghe. Ora sono su un’isola, qui c’è sia l’alta che
la bassa marea e forse presto mi occuperò di alghe. I desideri si
realizzano, ma in maniera tale che non li riconosci e soltanto quando sono
ormai sfumati.
Ti bacio forte, mia cara Annulja.
Non scoraggiarti, tieni alto il morale.
5 novembre 1934
Cara mammina,
finalmente mi sono giunte le vostre notizie; una cartolina da te, una
lettera di Anna, un telegramma di Anna che è arrivato in ritardo e il tuo
pacchetto che mi ha spedito Anna. Naturalmente ho molto gioito delle vostre
lettere, sono l’unica cosa piacevole qui. Ma non mi fido troppo delle
rassicurazioni che voi state bene.
La mia vita scorre in modo pressoché uguale a dopo il mio arrivo, cioè
estremamente scomoda, poco confortevole e faticosa. In definitiva, la mia
impressione delle isole Solovki non si è affatto attenuata, ma ha piuttosto
trovato conferma. Qui non è possibile occuparsi di qualcosa di sensato. Per
il momento sto apprendendo i cosiddetti lavori comuni, che cambiano
giornalmente, o al più ogni due-tre giorni. In ordine cronologico ho fatto
quanto segue: selezionare le patate, lavarle e sbucciarle, fare il turno al
centralino, setacciare il “mangime combinato” (qualcosa come crusca per il
bestiame), fare lavori di sterro, aiutare a caricare sacchi con rape
bianche e rape da foraggio, accatastare le rape bianche. Tutto questo, a
causa della norma di lavoro giornaliero molto elevata e delle mie scarse
forze, è assai pesante per me, per non parlare poi dello spreco mortale di
tempo. Forse però potrò presto avere un lavoro “in laboratorio”. Cioè, non
è un vero laboratorio, ma un piccolo luogo di produzione; e sebbene non si
faccia alcuna ricerca scientifica, è comunque sempre meglio che le patate.
Ti ringrazio per il pacco, che mi è stato di grande sollievo. Cerca però di
fare a meno di mandarmi pacchi, sono soldi sprecati. A proposito: quando
riceverete questa lettera, qui da noi già non accetteranno più i pacchi.
Per favore, non inviate denaro, tanto non mi viene consegnato e qui non c’è
nulla da comprare. A parte le cose che io stesso chiedo, non mandatemi
nulla. Altrimenti potete star certi che tutto ciò che mi arriva sparisce
immediatamente. Ora mi trovo in biblioteca, nel tempo libero preparo un
catalogo dei libri stranieri. Poi mi metterò a leggere i classici francesi,
per i quali nutro un vivo interesse. Naturalmente potrò leggere soltanto se
troverò un luogo adatto, per il momento non ne ho. Abito in uno stanzone in
cui sono sistemate cinquanta persone che non hanno niente in comune con me;
questo è molto scomodo.
Scrivetemi più spesso, mi farà piacere; da me invece non aspettate lettere,
perché posso scrivere una sola lettera al mese e non vi posso quindi
rispondere.
Ti bacio affettuosamente, cara mammina.
Grazie che mi hai pensato.
Bacio Ljusja, salutami i fratelli e la zia Lilja.
Scrivimi sulla salute di Sasa.
Ti bacio ancora con affetto.
25 gennaio 1935
Caro Kirill,
ti ricordo spesso, soprattutto quando di sera vado a letto tardi. Ricordo
con dolore di averti amareggiato, non considerando la tua età e chiedendo
ciò che tu non comprendevi. Caro figliolo, come vorrei – non correggere il
passato che è già passato ed è incorreggibile – ma in qualche modo
risarcirtelo! Vorrei lasciarvi in eredità un nome onorabile e la
consapevolezza del fatto che vostro padre ha lavorato tutta la vita
disinteressatamente, senza pensare alle conseguenze del suo lavoro per la
sua persona. Ma proprio per questo disinteresse ho dovuto privarvi delle
comodità godute dagli altri, dei divertimenti propri della vostra età e
persino della vicinanza con voi. Ora mi rattrista che da tutto questo mio
impegno, anziché trarre qualche vantaggio, voi non ricaviate neanche quello
che riceve la maggior parte dei vostri coetanei, nonostante che i loro
genitori abbiano vissuto per se stessi.
La mia unica speranza è che tutto ciò che si fa rimane: spero che un
giorno, in qualche modo pur a me sconosciuto, sarete ricompensati di tutto
ciò che ho tolto a voi, miei cari. Se non fosse per voi, rimarrei in
silenzio; la cosa più orribile della mia sorte è la cessazione del lavoro e
la sostanziale distruzione dell’esperienza di tutta la mia vita, esperienza
che è maturata solo adesso e che adesso potrebbe dare frutti autentici.
Ebbene, se non fosse per voi, non mi lamenterei di aver subito questa
sorte. Se la società non ha bisogno dei frutti del lavoro della mia vita
rimanga pure senza di essi: bisogna ancora vedere chi subisca il maggior
danno se io o la società, per il fatto che non darò ciò che potrei dare. Ma
mi dispiace di non poter far voi partecipi della mia esperienza e
soprattutto di non potervi accarezzare, come vorrei fare e come faccio
sempre nei miei pensieri.
In gennaio ti ho scritto una lettera, ma non so se ti sia giunta. Come
vivo, lo saprai dalla lettera alla nonna. Un bacio forte a te, caro. Devo
finire la lettera, è ormai molto tardi e casco dalla stanchezza.
30-31 gennaio 1935
Caro Mik,
ora è notte, sono le due. Mi trovo nel laboratorio, poiché oggi per la
prima volta abbiamo sperimentato l’apparecchiatura da me inventata per
precipitare e filtrare lo iodio. Si tratta di un grosso impianto, dotato di
due filtri, di un miscelatore elettrico e di un tubo provvisto di
ventilatore, più altri dispositivi. Finora il precipitato si otteneva a
mano. Ciò era faticoso per gli operai, ma soprattutto molto nocivo, dato
che vengono emanati abbondanti vapori di bromo, ossidi di azoto, vapori
acidi e di iodio; diventava impossibile respirare e la salute ne risentiva
in modo grave. Inoltre anche il processo di precipitazione e filtrazione
dello iodio, fatto a mano, non poteva essere impostato correttamente. Il
dispositivo costruito qui dalle mani dei nostri operai, su mio disegno,
funziona bene. Odore quasi non ce n’è, sforzi non occorre farne, tutto
funziona automaticamente e non richiede che sorveglianza. A me dispiacevano
sia i danni alla salute degli operai, sia lo spreco di iodio, e per questo
mi sono occupato della cosa. Spero che ora tutto vada avanti bene. (…).
15 novembre 1935 – Solovki
Cara mammina,
è da tanto tempo che non ricevo lettere da te e non so bene come stai.
Vasja, che probabilmente passa ogni tanto da te, non mi scrive. Anna può
andare a Mosca solo raramente e Kira anche lui non mi scrive. La mia vita,
esteriormente, non è male, ma interiormente sento una grande tristezza. Non
ho neanche un minuto per poter stare solo con me stesso. La natura non la
vedo mai e poi in questo periodo anche la natura è sempre triste, grigia e
uggiosa. Quanto al lavoro, si svolge in un’atmosfera che non predispone
affatto all’entusiasmo e all’attivismo. Perciò il tempo passa e io non
faccio niente di fecondo; o meglio, a qualcuno ciò che faccio sarà utile,
ma a me personalmente non dà niente.(…).
Vivo in uno stato di continuo torpore spirituale: è l’unico modo per
sopravvivere; i giorni e le settimane si susseguono sempre uguali. Se in
questo dormiveglia c’è qualcosa di vivo, sono i ricordi e i pensieri
rivolti a voi, tutto il resto è illusorio e passa come un’ombra. Così sono
le Solovki da ogni punto di vista: così qui sono la natura, il tempo e gli
uomini. La realtà sembra un sogno e spesso mi ritrovo a pensare che, se mi
sveglio, la visione si dileguerà. Lo stesso inverno qui non è un inverno
vero e proprio, ma una poltiglia continua, così come l’estate non è una
vera estate, ma pure una poltiglia, un po’ più calda di quella invernale.
Sono in camera. Dietro la porta, nel corridoio, è stato allestito un angolo
rosso
67
. La radio è accesa, ma a causa del chiasso non si capisce che trasmissione
è. Ci saranno una trentina di persone, se non di più. Chi gioca a scacchi,
chi discute, cercando di gridare più forte del rumore, chi canta, chi
strimpella la chitarra o qualche altro strumento. I ragazzini bisticciano,
si spingono, saltano. Un baccano infernale, insomma, ma di quelli
innocenti. Vedere i ragazzi è una pena, mi fanno venire in mente gli
uccelli allo zoo, nonostante i loro sforzi di essere allegri. C’è anche
qualcuno che si fa la barba. Altri stanno imparando il mestiere del
parrucchiere e tagliano i capelli al primo che capita, a quanto pare in
modo abbastanza decente. A volte la baraonda cessa in parte: cantano tutti
in coro o organizzano un’orchestra di tre o quattro strumenti. La cosa
riesce senza troppi intoppi. Tuttavia, intoppi o no, studiare è
assolutamente impossibile, non riesco a concentrarmi neanche sulla lettere
e infatti mi interrompo ad ogni frase.
A volte, purtroppo di rado, alla radio trasmettono le romanze di Schubert: E il mio canto… e altre. E allora mi ritorna in mente, in modo
straordinariamente vivo, come tu le cantavi e questi ricordi si ricollegano
a Batumi. È curioso che, delle impressioni di Batumi, particolarmente
nitide siano le prime, di quando vivevamo accanto alla ferrovia, nei pressi
del passaggio a livello, non lontano dal generatore. Vedo chiaramente di
fronte a me la galleria, la casetta che il papà vi aveva costruito sopra, e
la famiglia degli attori che vivevano nel cortile, quei contrabbandieri e
falsari che fuggirono all’improvviso. Ricordo in maniera precisa il mio
vestito da cacciatore, il negozio ‘Triandopulo’, il sapone tridas, le perle
veneziane, la banchina ecc. I più piccoli dettagli mi stanno davanti agli
occhi, come se tutto accadesse ora. Anche il periodo successivo della vita
a Batumi lo ricordo bene, ma non in modo così chiaro.
Ti mando un grosso bacio, cara mammina.
Salutami Ljusja e la zia.
Nelle due lettere che seguono Pavel Florenskij, oltre alle
preoccupazioni per la salute dei suoi cari, esprime il proprio forte
rammarico per non aver potuto portare a compimento tutti gli studi
scientifici che aveva avviato e che aspettavano solamente di essere
conclusi, sistemati e pubblicati.
Caro Vasjuska,
sono molto preoccupato per il tuo modo errato di porti nei confronti del
lavoro e della salute. Tu ti sovraffatichi e, oltre a ciò, non cerchi di
recuperare le forze perdute, nutrendoti in maniera soddisfacente e al
momento giusto. Innanzitutto, è possibile che tu voglia proprio ritrovarti
nella situazione di Olja? Un organismo esaurito non può combattere neanche
la più stupida delle malattie e tanto meno l’influenza dei nostri giorni.
Dappertutto si sente parlare di complicazioni post-influenzali che possono
portare all’invalidità.
Oltre a ciò, tu devi produrre qualcosa di unitario e significativo, ma
perché le cose maturino occorrono tempo e tranquillità e tu non puoi
continuamente sballottare, con la tua confusione, tutto ciò che hai dentro.
L’incapacità di organizzare la propria vita anche per ciò che riguarda i
suoi aspetti più semplici come il cibo, il sonno, il riposo, è segno o di
pensieri falsi, o di confusione interiore, ma io non voglio vedere in te né
una cosa né l’altra. Quante sofferenze inutili, che potrebbero facilmente
essere evitate, causate alla mamma con la vostra testardaggine e
sconsideratezza!
La mia vita prosegue come prima, così monotona esteriormente e così uguale
di giorno in giorno, che sto perdendo la nozione del tempo. I giorni si
susseguono in un baleno. D’altronde, devo dire di avere fatto parecchio, ma
non sono le cose che sarei chiamato a fare e non danno quindi nutrimento
diretto al pensiero, anche se arricchiscono, ma solo esteriormente. Mi sto
facendo un’esperienza più solida nel settore dei colloidi e della chimica
organica, in parte anche della chimica biologica, o meglio, mi sto
esercitando l’occhio e mi sto facendo la mano. Mi sento più o meno in
possesso di una serie di processi, di cui molti non hanno che una vaga
idea.
Ma, alla mia età, è un lusso troppo grande trattare tutti i fenomeni
spendendoci tempo così generosamente: sarebbe ora di trarre conclusioni,
riassumere, sommare. Ma non c’è tempo neanche per esaminare con l’intensità
desiderabile le opere che sto svolgendo: mi si richiede infatti di
procedere alla produzione al più presto, dare al più presto più e più
prodotti, anche adesso, nelle condizioni di un’officina artigianale. La
quantità (questa categoria del pensiero che io odio!) uccide, perché già
oggi servono chili della sostanza, per cui siamo costretti ad utilizzare
tonnellate di acqua. Fin da bambino la categoria della quantità mi è stata
nemica e la parola “molto” mi portava allo sconforto, o mi terrorizzava,
oppure mi faceva venire l’angoscia. E la produzione tutta quanta è
costruita sul “molto”.
Come sta Natasa di salute? Salutamela. Ha ricevuto la mia lettera? Un bacio
forte a te, caro Vasja. Mi dispiace che tu non possa assistere alle lezioni
di matematica che sto dando: credo che ti sarebbero potute essere utili.
Ti bacio ancora.
10-11 marzo 1936 - Solovki
Cara Annulja,
oggi ho ricevuto la tua lettera n. 9 del 23 febbraio 1936, la cartolina di
A.I. e lo stampato (la brochure di Vernadskij) da Mik. Chiedi della mia n.
46. È una lettera, come anche le nn. 37, 42, 49, a mamma.
Sbagli a pensare che le tue lettere mi diano noia, al contrario, ciò che mi
fa soffrire è pensare ai problemi che tu hai e all’assenza di gioie per te,
e perciò cerco di ispirarti a utilizzare la vita al meglio.
L’opera della mia vita è distrutta e io non potrò mai, né vorrò,
ricominciare dall’inizio il lavoro di cinquant’anni. Non ne avrò la
volontà, perché non ho lavorato per me stesso né per il mio tornaconto, e
se l’umanità, per amore della quale non ho mai conosciuto una mia vita
privata, ha ritenuto possibile distruggere semplicemente ciò che era stato
fatto per il suo bene e che non necessitava che degli ultimi ritocchi,
ebbene tanto peggio per l’umanità. Ci provino loro a rifare ciò che hanno
distrutto. Anche se in modo discontinuo, qualche libro mi arriva, e mi
rendo conto che altri cercano di risolvere quelle questioni che sono già
state trattate da me e da me solo, ma lo fanno alla cieca, a tentoni.
Naturalmente, ciò che io ho fatto verrà, parzialmente e a poco a poco,
rifatto da altri, ma ci vorranno tempo, forze, denaro e l’occasione giusta.
Pertanto, distruggendo quanto era stato fatto nella scienza e nella
filosofia, la gente si è punita da sé, perché dunque dovrei preoccuparmi di
me stesso?
Vi penso. Lavoro sì, ma ormai su altre cose, di secondaria o perfino
terziaria importanza: né le condizioni di lavoro e di vita, né l’età, e
infine lo stato psicologico mi permetterebbero di occuparmi di cose di
primaria importanza. Conosco abbastanza bene la storia e lo sviluppo
storico del pensiero per poter prevedere che un giorno si metteranno a
raccogliere i cocci di ciò che hanno distrutto. Tuttavia, questo non mi
rallegra affatto, anzi mi infastidisce questa odiosa stupidità umana, che
perdura fin dagli inizi della storia e sembra intenzionata a durare fino
alla fine. Ma basta parlare di me, ciò non è interessante. (…).
22 novembre 1936 – Solovki
Cara Annulja,
per quanto riguarda Mik, sono sicuro in cuor mio che il suo scansare le
occupazioni serie è un fenomeno temporaneo e che lui cambierà del tutto.
Forse è anche meglio che egli stia di più all’aria aperta e non si
affatichi troppo, visto che è sempre troppo nervoso e debole.
Ciononostante, vorrei che Mik accumulasse più impressioni concrete della
natura, dell’arte, della lingua. È molto importante accedere, in seguito,
alle occupazioni serie, avendo già un bagaglio di percezioni e non
strutturare se stessi nel vuoto e in modo astratto. Allora, se esiste
questo corredo di immagini concrete, di colori, di odori, di suoni, di
gusti, di paesaggi, di piante ecc., questo corredo potrà facilmente
acquistare forma e produrre un terreno fermo per sistemi astratti. Se
invece tale bagaglio non c’è, se un concetto non è accompagnato da
un’immagine, se l’astrazione è soltanto astratta, allora è priva di
qualsiasi valore e per lo sviluppo della mente è più dannosa che utile:
diventa un dogma mortifero, comprime lo spirito, lo priva della libertà e
della capacità creativa. Sarà un sistema nel senso brutto ella parola. Systemglaube ist Aberglaube, ha detto Novalis
68
: la fede nel sistema è superstizione.
Gli uomini dei tempi nuovi, a partire dall’epoca del Rinascimento, si sono
ammalati sempre più di fede nel sistema, sostituendo erroneamente il senso
della realtà con formule astratte che non hanno più la funzione di essere
simboli della realtà, ma diventano un surrogato di essa. Così l’umanità si
è immersa nell’illusionismo, nella perdita del contatto con il mondo e nel
vuoto, il che inevitabilmente ha portato alla noia, allo sconforto, allo
scetticismo corrodente, alla mancanza del buon senso. Uno schema, in quanto
schema, per se stesso, se non è controllato dalla viva percezione del
mondo, non può neanche essere seriamente valutato: qualunque schema può
essere bello, cioè strutturato bene in se stesso. Ma la visione del mondo
non è il gioco degli scacchi, non è costruire schemi a vuoto, senza avere
il sostegno dell’esperienza e senza tendere risolutamente alla vita. Per
quanto ingegnosamente possa essere strutturato in se stesso, senza queste
basi e senza questo scopo, ogni schema è privo di valore. Ecco perché credo
che sia assolutamente necessario accumulare da giovani una concreta
percezione del mondo e darle forma solo a un’età più matura.
Naturalmente mi piacerebbe poter aiutare Mik ad entrare più profondamente
in ciò che vede con i suoi occhi, ma questa non è la cosa più importante:
spero che ce la faccia da solo a suo tempo.
Un bacio forte a te, mia cara. Ora si sta proprio male, qui: il vento
soffia, sibila, ulula e raffiche fredde attraversano velocemente la stanza.
Tanto più fortemente penso a voi.
3-4 gennaio 1937 – Solovski
Cara Annaluja,
avrei voluto scrivervi di notte, al momento in cui è cominciato il 1°
giorno del nuovo anno, ma non è stato possibile. Ma vi ho pensati in modo
particolarmente intenso e mi sono rallegrato all’idea che in quel momento
voi eravate tutti assieme. Ho ricevuto la tua lettera n. 36 del 21
dicembre, e in breve tempo, il 30 dicembre. Ti rispondo secondo l’ordine
della tua lettera. (…).
Mi scrivi del piccolo e di mio padre. Mi sembra, da alcune informazioni,
che lui fosse sempre in ansia, anche quando io ero piccolo, e che verso la
fine della vita stesse in un’ansia insormontabile per la mamma e per noi; e
i tentativi di calmarlo provocavano una forte irritazione. Era una
condizione morbosa, in parte provocata dalla malattia fisica, la quale a
sua volta era forse aggravata dall’ansia.
Ma non indaghiamo sul futuro che a nessuno è noto. Lasciamo che il piccolo
cresca circondato dall’amore e dall’affetto, che si nutra culturalmente e
che viva senza conoscere preoccupazioni. Tocca a noi assumerci
preoccupazioni e ansie. Infatti, l’obiettivo della vita non è quello di
vivere senza ansie, ma quello di vivere decorosamente e non essere una
nullità e la zavorra del proprio Paese. Se nasci in un periodo burrascoso
della vita storica del tuo Paese e anche di tutto il mondo, se sono in
gioco problemi mondiali, ciò, certamente, è difficile, richiede sforzi e
sofferenze; ma proprio allora devi dimostrare che sei un uomo e manifestare
la tua dignità. Ci sono stati infatti dei periodi calmi e pacifici. Ma la
maggior parte delle persone ha forse approfittato di questi anni di calma?
Certamente no, si sono invece dati alle carte, agli intrighi, al
vaniloquio, hanno fatto pochissime cose degne di essere rilevate. Erano
soddisfatti? No, languivano dalla noia, si tuffavano a capofitto in qualche
attività, arrivavano perfino a farla finita con la vita.
Volgendomi indietro e rivedendo la mia vita (e alla mia età è
particolarmente necessario farlo) non vedo in che cosa, in sostanza, dovrei
cambiare la mia vita se dovessi ricominciarla da capo e nelle stesse
condizioni di prima. Certo, so di aver fatto molti singolari errori, gaffe,
esagerazioni; ma queste cose non mi hanno fatto deviare dalla direzione
principale e quanto ad essa non ho niente da rimproverarmi. Potrei dare
molto di più di ciò che ho dato, le mie energie neanche oggi sono esaurite,
ma l’umanità e la società non sono tali da poter prendere da me ciò che è
più valido. Non sono nato nel tempo giusto e, se parliamo di colpe, è colpa
mia. Forse fra centocinquant’anni le mie potenzialità potrebbero anche
essere usate meglio. Ma, considerando l’ambiente storico della mia
esistenza, non sento rimorsi per la mia vita nel suo insieme. Anzi, sento
piuttosto il contrario.
Mi pento (anche se questo pentimento non raggiunge la profondità) del fatto
che, avendo un atteggiamento passionale rispetto al dovere, non mi sono
consumato abbastanza a favore di me stesso; per “me stesso” intendo voi,
che sento come una parte di me stesso: non ho saputo darvi gioia e
rallegrarvi, non ho dato ai figli tutto ciò che avrei voluto dare loro.(…).
13 febbraio 1937
Cara Annulja,
ecco che di nuovo, per qualche motivo, non ricevo lettere da te; in
compenso, ne ho ricevuta una dalla mamma. Naturalmente sono preoccupato,
anche se inutilmente, dato che dalla mia preoccupazione voi non avete alcun
vantaggio. In ogni caso è difficile restare imperturbabili non sapendo già
da tempo come state.
Ora qui da noi ci sono giornate senza vento e perfino soleggiate. Ma la
forza che ha avuto il vento fino al 10-11 del mese non ve la potete neppure
immaginare. Se ti mettevi sottovento, ti costringeva a correre, se eri di
traverso, ti buttava fuori dalla strada, ti faceva cadere e ti trascinava.
Era interessante a questo proposito ricordare che sull’isola di Vrangel’,
d’inverno, non si può andare da un edificio all’altro senza tenersi a delle
corde tese tra di essi, altrimenti il vento strappa e porta via; la persona
non riesce a tornare indietro e muore di freddo e di fame. Da noi non si
arriva a questo punto; comunque è certo che non ci si può reggere sulla
superficie ghiacciata.
(…). Ho ricevuto un giornale zeppo di Puskin. Fa piacere anche solo il
fatto di questo interesse per Puskin. Per il nostro Paese non importa tanto
ciò che si dice di lui, quanto il fatto che se ne parli; poi Puskin parlerà
da sé e dirà ciò che è necessario. Ma a questo piacere si mescola
l’amarezza, un’amarezza insensata, per la sorte di Puskin. Non riesco a
liberarmi da questo sentimento. La definisco insensata, perché in Puskin si
manifesta in fondo solo quella legge universale che vuole che si lapidino i
profeti e poi si costruiscano loro i sepolcri, dopo che sono stati uccisi.
Puskin non è né il primo né l’ultimo: retaggio della grandezza è la
sofferenza, sofferenza che viene dal mondo esterno e sofferenza interiore,
che viene da noi stessi.
Così è stato, è, e sarà. Perché sia così, è del tutto chiaro: è una
sfasatura; sfasatura della società rispetto alla grandezza e sfasatura
della persona rispetto alla propria grandezza; cioè, una crescita
diseguale, inadeguata, e la grandezza è proprio il distinguersi dalle
caratteristiche medie della società e della propria struttura, poiché
anch’essa appartiene alla società. Ma noi non ci accontentiamo che si
risponda alla domanda “perché?” ed esigiamo una risposta alle domande: “ a
che scopo?”, “con quale fine?”.
Sì, la vita è fatta in modo che si può dare qualcosa al mondo solo
pagandone poi il fio con sofferenze e persecuzioni. E più il dono è
disinteressato, più crudeli sono le persecuzioni e dure le sofferenze. Tale
è la legge della vita, il suo assioma di base. E anche se nel tuo intimo
hai coscienza dell’irrevocabilità e dell’universalità di questa legge,
quando ti scontri con la realtà, con ogni caso specifico, resti colpito
come se fosse qualcosa di imprevisto e di nuovo.
Con tutto ciò, ti rendi conto che non è giusto il tuo desiderio di
respingere questa legge e di sostituirla con la tranquilla aspettativa da
parte dell’uomo che offre il proprio dono all’umanità; un dono che non può
essere ripagato né dai monumenti, né dai panegirici dopo la sua morte, né
dagli onori o dai soldi durante la vita. Al contrario, per il dono della
grandezza è l’uomo che deve pagare con il proprio sangue. E la società fa
di tutto perché questi doni non le siano offerti. Nessun uomo illustre ha
mai potuto dare tutto ciò di cui era capace, poiché ne è stato volutamente
impedito da tutto ciò e da tutti coloro che lo circondavano. E se non
riescono a impedirglielo con la violenza e con le persecuzioni, si
insinuano con lusinghe e regali, per corromperlo e sedurlo.
Quale dei più significativi poeti russi ha avuto una vita facile? Forse
solo Zukovkij
69
, ma anche contro di lui oggi si scoprono intrighi, compresa l’accusa di
aver capeggiato la rivoluzione russa. Anche i filosofi si trovano nella
stessa situazione (per filosofi intendo non coloro che parlano di
filosofia, ma coloro che pensano in modo filosofico), cioè sono
perseguitati, circondati da ostacoli, hanno la bocca tappata. La sorte
degli scienziati è di poco migliore, tuttavia solo nel caso in cui siano
mediocri. Lomonosov
70
, Mendeleev
71
, Lobacevskij
72
– per non parlare poi del gran numero di innovatori del pensiero, ai quali
la società non ha permesso di realizzarsi appieno (Jablockov, Kulibin,
Petrov e altri) – neppure uno di loro ha percorso una via piana, con
l’appoggio dei propri contemporanei e senza ostacoli, ma tutti sono stati
disturbati e si è cercato in ogni maniera di frenarli.
Sono sempre stati in auge, invece, i mediocri, coloro che rubano le idee
altrui e che cercano di farsi grandi; sono stati in auge perché hanno
adattato e falsificato ciò che è veramente grande secondo i gusti e gli
interessi materiali della società.
Qualche tempo fa ho provato invidia per Edison
73
, per il modo in cui ha potuto utilizzare il tempo e le energie, grazie al
fatto che era provvisto di tutto dal punto di vista materiale e soprattutto
grazie alla sua autonomia. Da noi invece il tempo passa inutilmente, lo si
perde per cose di nessun conto, nonostante l’enorme dispendio di forze, e
ciò perché non è possibile organizzare le cose come si vorrebbe.
Ti bacio con tanto affetto, cara Annulja.
Un altro bacio. (…).
4 aprile 1937
Cara Olen
74
,
mi sembra di averti già scritto della Storia d’Inghilterra di
David Hume che sto leggendo in una traduzione francese. Il quadro è
espressivo e vivo, ma infinitamente pesante. Guerre incessanti, ora
esterne, ora intestine, al cui senso e ai cui motivi non si riesce a
risalire; non credo, del resto, che essi fossero noti agli stessi
personaggi del XIV secolo. Ma la loro assurdità non ha affatto impedito a
queste guerre di essere estremamente sanguinose: gli uni cercavano di
sterminare completamente gli altri e chi non moriva in battaglia, finiva
sul patibolo. E siccome trionfava ora un partito, ora l’altro, nel corso
per esempio della guerra fra la Rosa Bianca e la Rosa Rossa (trent’anni)
75
, le classi superiori dell’Inghilterra furono totalmente cancellate dalla
faccia della terra, senza poi parlare degli innumerevoli contadini. Il
fatto che le guerre fossero immotivate lo dimostrano chiaramente i ripetuti
passaggi del corpo ufficiali e delle loro truppe da una parte all’altra;
quindi, non avevano nessun progetto e nessun previo interesse per l’esito
finale del conflitto.
Mi stupisce l’assurdità delle azioni umane che non trovano giustificazione
nemmeno nell’egoismo perché gli uomini agiscono a scapito anche dei propri
interessi. Della parte morale non parlo neanche. Dappertutto spergiuro,
inganno, assassini, uccisioni, servilismo, mancanza di qualsiasi principio.
I legami di parentela si buttano da parte, la legge si crea e si abolisce
per far piacere alla necessità del momento, e comunque non viene rispettata
da nessuno. Se prendi le cronache di Shakespeare, esse solo parzialmente
manifestano la verità storica, riducono gli orrori e non li caricano, come
si potrebbe pensare al primo sguardo.
La mia conclusione (del resto, sono giunto ad essa già da tempo) è questa:
nell’uomo c’è una carica di furore, di ira, di istinti distruttivi, di odio
e di rabbia, e questa carica tende a riversarsi sulle persone circostanti,
contrariamente non solo ai dettami morali, ma anche al vantaggio personale
dell’individuo. L’uomo si lascia prendere dal furore per pura brutalità. Le
catene di un potere duro lo trattengono fino ad un certo punto, ma poi
l’uomo si ingegna a fare le stesse cose, eludendo la legge, ma in una forma
più fine. Certamente non sarebbe giusto affermare che tutti siano così. Ma
sono così molti, moltissimi, e col loro attivismo questi elementi rapaci
dell’umanità arrivano ad occupare i posti dirigenziali della storia e
costringono pure il resto dell’umanità a diventare rapace.
Ecco, cara Olen’, che cosa ho notato partendo da un caso particolare:
quello dell’Inghilterra del XIV secolo. L’umanità è migliorata da allora?
Ne dubito. È diventata più decente esternamente, ha rivestito la violenza
di forme meno vistose, cioè quelle che non forniscono trame per tragedie ad
effetto, ma la sostanza delle cose non è cambiata. (…).
13 maggio 1937 – Solovki
Caro Kirill,
su un giornale ho trovato segnalato che viene istituito un dipartimento di
tecnologia delle alghe presso l’Accademia delle Scienze; la mamma, poi, mi
scrive sulle conferenze di P.N. dedicate al gelo. In questa maniera mi
viene tolto ciò che era il mio lavoro, in cui ho raggiunto certi risultati
e nella cui preparazione ho messo tanta fatica. Ripassando nella mente la
mia vita (è ora di tirare le somme), noto una serie di campi e questioni
che ho iniziato io e di cui, dopo, si sono occupati tutti, o almeno tanti,
mentre io o sono stato costretto ad abbandonare l’opera, o l’ho abbandonata
di mia volontà, perché ho orrore di studiare problemi dei quali tutti
vogliono occuparsi e cercano di impadronirsi.
Forse ti interesserà l’elenco di quelli più importanti.
In matematica
: 1) I concetti matematici come elementi costitutivi della filosofia
(discontinuità, funzioni…). 2) La teoria degli insiemi e la teoria delle
funzioni delle variabili reali. 3) Gli immaginari geometrici. 4)
L’individualità dei numeri (numero – forma). 5) Lo studio delle curve in
concreto. 6) I metodi di analisi della forma.
In filosofia e storia della filosofia
: 1) Le radici culturali delle origini della filosofia. 2) La base
culturale e artistica delle categorie. 3) Le antinomie della ragione. 4) Lo
studio storico-filologico-linguistico della terminologia. 5) Le basi
materiali dell’antropodicea. 6) La realtà dello spazio e del tempo.
In critica d’arte
: 1) I metodi di descrizione e datazione degli oggetti dell’arte antica
russa (intaglio, articoli di gioielleria, pittura). 2) La spazialità nelle
opere d’arte, in specie nelle arti figurative.
In elettrotecnica
: 1) Lo studio dei campo elettrici. 2) I metodi di analisi dei materiali
elettrici: la base della scienza dei materiali elettrici. 3) Il significato
delle strutture dei materiali elettrici. 4) La diffusione delle resine
sintetiche. 5) La diffusione e l’elaborazione degli elementi della
depolarizzazione aerea. 6) Le classificazioni e la standardizzazione di
materiali, elementi ecc. 7) Lo studio dei minerali di carbonio come gruppo.
8) Lo studio di una serie di rocce. 9) Lo studio sistematico della mica e
la scoperta della sua struttura. 10) Lo studio di suoli e terreni. E così
via.
Sono poi a parte: la fisica del gelo; l’uso delle alghe.
Avrei voluto scrivertelo in dettaglio, ma, trasferitomi nel Cremlino
76
, ho perduto un po’ i pensieri; ricordo però di aver dovuto scrivere molte
cose. Vorrei una sola cosa: che voi utilizzaste almeno un po’ i miei
lavori, li metteste in ordine e li faceste vostri; in essi ho messo tanto
sforzo e tante riflessioni, e so che di ciascuno di essi si può fare un
libro. Un’altra cosa: le osservazioni e gli esperimenti acquistano il loro
senso solo quando sono formulati matematicamente. E per questo, non sempre
serve una grande finezza dell’analisi, anzi, si riesce spesso ad ottenere
buoni risultati con metodi primitivi. Devi pertanto abituarti a formulare i
risultati di un lavoro almeno con semplici curve e con le loro equazioni.
Un bacio forte a te, caro Kira.
Anselmo Palini vive e lavora in provincia di Brescia. È docente di materie
letterarie nella scuola superiore e saggista. Nei suoi studi ha
approfondito soprattutto i temi della pace, dell’obiezione di coscienza,
dei diritti umani, della nonviolenza. Più recentemente ha preso in esame le
problematiche connesse con i totalitarismi e le dittature del XX secolo,
approfondendo in particolare le testimonianze di chi si è opposto a tali
sistemi. Tra i suoi ultimi libri: Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni (Ave,
2005); Voci di pace e di libertà. Nel secolo delle guerre e dei genocidi
(Ave, 2007); Primo Mazzolari. Un uomo libero (Ave, 2009); Oscar Romero. «Ho udito il grido del mio popolo» (Ave, 2010);
Sui sentieri della profezia. I rapporti fra Giovanni Battista
Montini-Paolo VI e Primo Mazzolari
(Messaggero, 2012);Primo Mazzolari. In cammino sulle strade degli uomini (Ave, 2012); Pierluigi Murgioni. «Dalla mia cella posso vedere il mare» (Ave,
2012);
Marianella García Villas. “Avvocata dei poveri, compagna degli
oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi
” (Ave, 2014);
Più forti delle armi. Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein, Jerzy
Popieluszko (
Ave, 2016);
Una terra bagnata dal sangue. Oscar Romero e i martiri di El Salvador
(Paoline 2017). È inoltre autore di articoli, saggi e inserti apparsi su
varie riviste. Per saperne di più si veda il sito: www.anselmopalini.it.