Il verde come depuratore dell’aria
Siamo nel 1660 in Inghilterra, a Londra, la città che sta diventando il
centro dei grandi commerci internazionali e la cui borghesia cerca di
migliorare le proprie condizioni di vita. Londra è una città fredda e le
abitazioni erano riscaldate con il carbone importato da Newcastle e lo
stesso carbone era usato nei forni e nelle fabbriche dell’industriosa
metropoli. Con l’inconveniente che la combustione di crescenti quantità di
carbone rendeva l’atmosfera puzzolente e nera di fuliggine liberata,
insieme a ossidi di zolfo e a vari altri gas, dalla combustione. John
Evelyn (1620-1706) era una delle persone in vista nella città,
intellettuale e scrittore, apprezzato a corte dal re Carlo II; nel 1660,
insieme ad alcuni altri aveva fondato la Società Reale per migliorare le
conoscenze della natura, la Royal Society. Nel 1661 Evelyn scrisse al re un
a lunga lettera intitolata: “Fumifugium”, cioè le conseguenze
dell’inquinamento dell’aria e i mezzi per evitarlo. Dopo aver riconosciuto
che esso era dovuto all’uso del carbone fossile, nella seconda parte
indicava che uno dei rimedi sarebbe consumarne di meno, e nella terza parte
spiegava che almeno se ne possono attenuare i danni alla salute piantando
giardini e alberi che assorbono in parte i fumi nocivi.
“Fumifugium”, citato come prima analisi dell’inquinamento atmosferico
urbano, fu seguito da un altro saggio intitolato “Sylva” in cui Evelyn
raccomandava l’aumento della superficie dei boschi, utili, oltre che come
depuratori naturali, come fonti di energia e per ricavarne legname per le
costruzioni di edifici e di navi. Si trattava delle prime testimonianze del
ruolo salvifico del verde urbano.
La città è un ecosistema, un organismo vivente, che si autoavvelena in
seguito alla propria attività basata sulle fonti di energia. Ogni città,
grande o piccola, che sia, è una “macchina” che brucia energia sotto forma
di carburanti per muovere autoveicoli, per riscaldare le case, per uso di
cucina, per attività artigianali; questa energia è per lo più sotto forma
di prodotti petroliferi o gas naturale e si trasforma immediatamente in una
massa di gas. Un calcolo approssimativo indica che ogni persona in una
città immette ogni giorno nell’atmosfera da tre a cinque chili (da cento a
duecento litri) di una miscela di gas costituiti principalmente da anidride
carbonica, ma contenente anche ossido di carbonio, ossidi di azoto e di
zolfo, polveri carboniose di dimensioni da due a dieci millesimi di
millimetro (micron), cioè estremamente sottili e cariche di piccole, ma
apprezzabili, quantità di idrocarburi, alcuni dei quali cancerogeni.
Questi gas e polveri vengono respirati dalle persone e arrecano danni alla
salute nella maniera più perversa; a differenza dei veleni veri e propri,
che uccidono subito chi li ingerisce, gli inquinanti urbani fanno sentire i
loro effetti nocivi a distanza di anni o decenni, per accumulazione e per
interazione con altri agenti tossici immessi nell’aria delle società
“moderne”. Tanto è vero che, quando viene proposto, per migliorare la
qualità dell’aria, di limitare il traffico automobilistico, cosa che
disturba i venditori di automobili o di carburanti o i negozianti o gli
stessi cittadini, viene spesso obiettato che gli inquinanti dovuti al
traffico fanno “meno” danni di quelli assorbiti con le sigarette o con i
pesticidi o con qualsiasi altro frutto del “progresso”.
Il verde contro l’effetto serra
Oltre alla funzione di “depuratore” dell’atmosfera dai gas nocivi il verde
urbano – come del resto il verde dovunque – ha la funzione di liberare,
durante la fotosintesi, ossigeno e di “portare via” dall’atmosfera
quell’anidride carbonica che, prodotta dai combustibili fossili,
rappresenta il principale “gas serra”, responsabile dei mutamenti
climatici. E’ difficile fare i conti, ma, con grossa approssimazione, si
può dire che un metro quadrato di superficie coperta di vegetazione – non
solo quella degli alberi, ma anche quella dei prati e perfino delle umili
erbe che si fanno strada negli interstizi delle strade e delle piazze –
assorbe nel corso di un anno, circa 200 chili di anidride carbonica; direte
che sono pochi, se si considera che la stessa quantità è emesse da un solo
autoveicolo che percorre 1000 chilometri.
Comunque una superficie come quella del Parco di Porta Venezia, ben noto ai
lettori milanesi, assorbe in un anno più o meno 40.000 tonnellate di
anidride carbonica, più o meno la stessa quantità emessa in un anno da
oltre 10.000 veicoli che percorrono ciascuno 10 chilometri al giorno.
Purtroppo gli spazi verdi urbani, se non sono adeguatamente protetti, sono
molto appetibili in vista della possibilità di trasformarli in edifici,
strade, parcheggi, ben più “utili” a fini economici. Quando si parla di
“perdita di suolo” in Italia si pensa generalmente al territorio non
urbanizzato, ma la perdita di spazio urbano verde è doppiamente nociva, sia
per le maggiori difficoltà alla circolazione delle acque di pioggia, sia,
appunto, per la perdita della funzione depuratrice dell’aria.
Senza considerare che è stato constatato che un bosco urbano ha un effetto
positivo sul clima rendendo meno afose d’estate le città soffocate dalla
cappa di calore che la città irraggia nell’aria. La presenza degli alberi
dei boschi urbani, infine serve per moderare gli effetti del vento, delle
piogge, della neve. Da qui l’importanza di una
energica e autorevole pianificazione urbanistica che tenga conto del
carattere di ecosistema, prima ricordato, della città e che imponga con
coraggio di proteggere il verde esistente e di aumentare la superficie dei
boschi urbani. Non a caso nella "Vita" di Alfieri, nel primo capitolo sulla
giovinezza, il poeta parla della "pianta-uomo" per ricordare come anche noi
si sia vincolati, parte integrante e non estranea, al suolo e al mondo
della natura.
Il verde come fonte di felicità
Nel passato a questa pianificazione provvedevano i re e i grandi
proprietari terrieri che volevano, intorno alle proprie abitazioni in
città, dei giardini e veri e proprio boschi per la propria felicità.
Ne sono esempi i grandi parchi di Parigi, di Londra, della stessa Roma
prima dell’unificazione. Ma anche nelle città dove non c’erano grandi
proprietari sono state preservati spazi verdi. Come è noto, la città di New
York è stata fondata come Nuova Amsterdam, ed è cresciuta partendo dalla
punta di una penisola nell’estuario del fiume Hudson, una volta selvaggia e
abitata da pochi nativi. A mano a mano che la città, ribattezzata dagli
Inglesi Nuova York, è cresciuta, le strade sono state tracciate, secondo
una tradizione europea e razionale, diritte e perpendicolari, Quando,
nell’Ottocento, la città di New York è diventata una grande metropoli, gli
amministratori hanno capito che occorreva conservare un polmone “verde”, al
di fuori del traffico già allora frenetico, e hanno deciso di riservare un
vasto spazio rettangolare nel centro della città ad un grande parco, il
Central Park. Sono state lasciate le rocce dov’erano, è stato conservato il
“disordine” naturale delle piante esistenti, sono state fatte crescere
nuove piante in totale biodiversità, creando insomma un vero e proprio
bosco urbano.
I boschi urbani, come i veri e propri boschi, infatti, dovrebbero essere
caratterizzati da un insieme di piante la cui crescita è affidata al
”disordine” che caratterizza la vita, al rispetto delle convivenze fra
specie diverse, ciascuna delle quali collabora con le altre secondo le
leggi della biologia. Un bosco urbano è importante per la vita e il
benessere umano sotto vari aspetti. Innanzitutto gli alberi viventi sono
belli e la bellezza della vita ha un valore: contribuisce a migliorare la
salute degli abitanti come spazio ricreativo soprattutto per gli strati più
deboli della popolazione, quelli dotati di minore mobilità, bambini e
anziani e disabili che vi possono trovare un riposo e aria pulita fuori dal
traffico e dal relativo inquinamento.
I boschi urbani hanno anche un vero e proprio valore terapeutico per
disabili e convalescenti e un valore educativo associato al contatto con
alberi e vegetazione, e alla scoperta della collaborazione e solidarietà
esistenti fra le varie forme di vita vegetale e animale, allo stato
naturale. E ciò vale in particolare per quella crescente frazione di
bambini urbani che, degli animali, conoscono spesso soltanto il gatto di
casa e quelli che vedono alla televisione.
In tempi recenti la città di Washington, la capitale degli Stati Uniti, ha
deciso di piantare cinquecento milioni di alberi nel tessuto urbano, in
ogni ritaglio di spazio sottratto al cemento. Secondo il pragmatismo
americano questo progetto è stato fatto con occhi attenti anche agli
aspetti economici; le piantagioni urbane, oltre alle altre funzioni
ricordate, consentono la creazione di zone d'ombra e di ventilazione
spontanea che si traducono in un risparmio di energia per il
condizionamento dell'aria e in un miglioramento delle condizioni di vita,
per un valore monetario che consente di coprire, in pochi anni, il costo
degli alberi messi a dimora.
Alle virtù delle piante nella città va aggiunta la proprietà di dare ombra,
un bene particolarmente prezioso d'estate nei paesi caldi, di filtrare e
attutire il rumore, e infine di fornire bellezza, una cosa così preziosa e
rara, che spesso si manifesta, quasi a sorpresa, nei posti più impensati,
sui muri delle case invasi da rampicanti, nell'angolo di un cortile.
Il verde presente in una città racconta anche come la città è sorta, è
cresciuta, viene rispettata. A Bari il piano regolatore voluto da
Gioacchino Murat nel 1806 per la città nuova da edificare al di fuori della
città antica, prevedeva blocchi di edifici quadrati, le “isole”, nei cui
cortili interni – ormai del tutto cementificati – dovevano essere tenute
delle piante ornamentali.
Un grande igienista del passato, Vincenzo De Giaxa (1848-1928), scriveva
all'inizio del Novecento: "Con il destinare una parte della superficie
stradale a giardino o ad aiuole, precedenti le case che prospettano sui due
lati delle vie, con l'alberare queste e con il situarvi strisce di
giardini, indi con le piazze-giardino e con i vari giardini e parchi
pubblici, si crea il verde sanitario della città, cui oggi si ascrive il
meritato interesse dell'igiene urbana e anche dell'estetica". Queste parole
risultano ancora più importanti oggi, alla luce dei progressi delle
conoscenze sull’inquinamento atmosferico urbano.